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 2013  dicembre 29 Domenica calendario

CINA, ADDIO A FIGLIO UNICO E CAMPI DI LAVORO


LA SVOLTA
PECHINO Le famiglie cinesi potranno da oggi avere più di un figlio. Lo ha stabilito ieri il parlamento di Pechino, in una decisione epocale che mette fine a trent’anni di ridimensionamento familiare coatto da quasi un miliardo e mezzo di abitanti.
Alle coppie di cui almeno un componente sia figlio unico sarà concesso avere due bambini, secondo uno schema graduale e regionale che permetterà di eliminare la famigerata politica del figlio unico. Finisce, così, l’era dei bambini solitari e viziatissimi, l’oblìo di legami familiari estesi, la pressione economica sui figli unici chiamati a mantenere genitori e nonni, lo squilibrio demografico e dei sessi e una serie di effetti collaterali che ha reso la legge sulla pianificazione familiare una delle regole più criticate, odiate e abusate della Cina.
NUOVA GENERAZIONE POLITICA
Il partito comunista della nuova generazione, quella del presidente Xi Jinping, ha deciso che il Paese ha bisogno di grandi riforme, per mantenere un livello di crescita accettabile e soprattutto per mantenere alto il morale della popolazione, già sconvolta da enormi tensioni sociali e ingiustizie di ogni genere. E la regola del figlio unico è all’origine di molti di questi mali: secondo il ministero della Salute dal 1971 a oggi sono stati compiuti 336 milioni di aborti e 222 milioni di sterilizzazioni, in nome della pianificazione familiare e della riduzione delle nascite. Sebbene la regola sia stata adottata alla fine degli anni ’70, quando la Cina usciva dagli anni bui del maoismo, dalla povertà e dall’isolamento per lanciare con più leggerezza il Paese verso le riforme, le stime contano oggi una soppressione di almeno 400 milioni di vite potenziali durante il suo periodo di applicazione.
Dopo la fondazione della Cina comunista, il “grande timoniere” Mao Zedong lanciò una campagna per esortare le famiglie proletarie a fare quanti più figli possibili da offrire alla causa rivoluzionaria. Il risultato fu un boom senza precedenti: da 500 milioni la popolazione crebbe fino a quasi un miliardo all’inizio degli anni ’70, quando il partito usava gridare «più popolazione uguale più forza». Nell’era delle riforme di Deng, però, più popolazione significava soltanto più bocche da sfamare. La crescita demografica fu, allora, incanalata per servire gli obiettivi di sviluppo economico.
L’INVECCHIAMENTO
Oggi però il controllo delle nascite sta mettendo a repentaglio quello stesso sviluppo economico che rimane il mantra della politica cinese. Quest’anno la Cina ha registrato più di duecento milioni di persone over-60, ed entro il 2025 un quarto della popolazione avrà più di 65 anni. Quest’anno per la prima volta il Pil cinese si aggirerà intorno al 7%, dopo che per quattordici anni dal 1989 all’anno scorso l’economia del paese è cresciuta a una media del 9,2%, impensabile per qualsiasi altro Paese. Quella della Cina è ora si la seconda economia del mondo ma l’invecchiamento della popolazione pesa sui milioni di giovani che ogni anno fanno ingresso nel mondo del lavoro. Ora che le famiglie potranno concedersi più di un figlio, il costo della vecchiaia sarà ripartito, almeno tra la prole.
Il Parlamento cinese ha varato anche un’altra attesa riforma, quella del sistema di rieducazione attraverso il lavoro. Introdotta da Mao, la forma punitiva è stata creata per mettere in riga i dissidenti politici e gli attivisti di ogni sorta. Oggi, dopo più di sessant’anni, Pechino dice addio ai campi di lavoro forzato simbolo della repressione ideologica. E il nuovo anno sembra cominciare con il piede giusto, almeno in Cina.
Antonia Cimini

«FA PAURA L’INVECCHIAMENTO DELLA
POPOLAZIONE» –

L’INTERVISTA
NEW YORK «Anche la Cina teme di non poter fornire i servizi di cui la sua popolazione avrà bisogno man mano che invecchia». Ecco una delle ragioni per cui Pechino ha deciso di abolire la legge che obbligava ad avere un solo figlio. Il Messaggero ha chiesto al professor Henry Rosemont di spiegare il significato di un simile passo. Noto sinologo, Traduttore di Confucio e autore di testi sulla Cina, il professore insegna alla Brown University del Rhode Island, dove lo abbiamo raggiunto:
Professore, come mai ora?

«La legge del figlio unico è sempre stata impopolare. Quando fu imposta, il Paese aveva un vero terrore dell’esplosione incontrollata della popolazione. Lo dico non per giustificarli, ma per spiegare che i governanti si sentivano fra l’incudine e il martello. E anche oggi, il rischio della sovrappopolazione non è finito. Ma c’è un altro rischio, più pressante: lo Stato non può garantire i servizi sociali a tutta la popolazione che invecchia. Si è dunque fatto un calcolo: la famiglia e la comunità locale dovranno supplire alle carenze dello Stato. Ed ecco la decisione di ammettere un secondo figlio. E poi c’è la tragica realtà dell’infanticidio delle bambine»
Causato proprio dalla legge del figlio unico, giusto?

«Sì, perché purtroppo è vero che una donna avrà meno opportunità finanziarie nella sua vita. E quindi in comunità povere, contadine, avere solo una bambina è una condanna alla continuazione della povertà. E da qui è nata l’orrenda pratica dell’infanticidio delle neonate. Due figli avranno non solo un effetto nella vecchiaia dei genitori, ma nella situazione finanziaria della famiglia: due figli che lavorano contribuiranno anche alla diminuzione della diseguaglianza economica nel Paese».
Allo stesso tempo, si è deciso di chiudere i campi di lavoro. Stiamo vedendo dei passi verso una maggiore democrazia?

«Vari campi sono stati già chiusi. Ma questo cammino verso un approccio più umanitario non è da leggere come faremmo noi nell’Occidente, perché i cinesi guardano alla democrazia con scetticismo. Per un Paese di quelle dimensioni, le uniche democrazie che possano servire da modello sono quelle grandi e culturalmente varie, come l’indiana e l’americana. Ma la democrazia indiana è ingiusta e inefficiente, non riesce a sollevare dalla povertà milioni di indiani o ad abolire la violenza e l’ingiustizia verso le donne: non può essere un modello da imitare. Quella americana è vista come guidata dall’oligarchia dei ricchi: allora i cinesi si chiedono che vantaggio ci sia, loro sono guidati dall’oligarchia del governo e sono ancora convinti che questa voglia il loro benessere, quindi non vedono perché dovrebbero imitare gli americani».
Professore, ma allora dove sta andando la Cina?

«Dobbiamo tenere d’occhio alcuni sviluppi importanti: la lotta contro la corruzione e l’inquinamento. Sono due impegni sovrumani, che però il governo sembra deciso ad affrontare. In parte spinto anche dalle critiche dei cittadini».
Dunque, le critiche sono ammesse?

«L’unica proposta non tollerata è quella di cambiare forma di governo. Ma denunciare corruzione o casi di inquinamento, lamentarsi di torti o problemi, è concesso. Guai però a parlarne con la stampa estera: allora si perde di autorità morale. I cinesi sono patriottici: non vogliono lavare i propri panni sporchi sulla stampa internazionale. E’ per questo che non appena un dissidente scappa, perde autorità in Cina».
Anna Guaita