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 2013  dicembre 29 Domenica calendario

LA BAMBINA DI TINTORETTO DI FRONTE ALLA SCALA DELLA VITA


Il nostro viaggio è iniziato con una porta: la soglia del Parnaso di Paul Klee. Finisce con una scala. La scala dai gradini luccicanti d’oro che molti anni fa Jacomo Robusti detto Tintoretto mi ha invitato a salire – con umiltà ma senza paura, come la piccola protagonista della sua tela.
Dalla Pasqua del 1556, la tela è appesa nella chiesa della Madonna dell’Orto, a Venezia. A qualche metro dal suolo, emana una luce propria nella penombra della navata. In origine era divisa in due parti, identiche, che foderavano gli sportelli dell’organo. Nel XVI secolo la Madonna dell’Orto era la chiesa di un monastero di monaci intellettuali e musicisti. I notabili ci si sposavano e ci si facevano seppellire; gli altri ci ascoltavano i predicatori e i concerti. Ma quando le ante si schiudevano e l’organo suonava, il dipinto non si vedeva più. “Suonava” nel silenzio: aveva la stessa funzione mistica della musica.
La presentazione di Maria al tempio è stata la mia porta d’ingresso nel Museo del Mondo. L’emozione indelebile di quella visione ha alimentato la mia sete d’arte e di artisti, e una ricerca potenzialmente infinita. Da allora, frequento la bottega di Tintoretto (così soprannominato per il mestiere del padre e l’esigua statura). Aveva un “terribile cervello”, ovvero una mente geniale, un carattere ispido come i ricci della sua barba, e non accettava in bottega garzoni cui dover insegnare i rudimenti della pittura. Solo lavoranti già capaci di fargli da assistenti. Fece un’eccezione per la figlia e i figli, ma questa è un’altra storia - e l’ho raccontata altrove. I genitori si ereditano, i maestri si cercano e poi si scelgono – e così Tintoretto è diventato il mio.
Fu incaricato di dipingere La presentazione di Maria nel 1548, per 5 scudi, 1 botte di vino e 2 stare di farina: aveva 29 anni, talento prepotente e sconfinata ambizione. Con la volontà feroce degli autodidatti, aveva assimilato la maniera di Raffaello, Michelangelo, Tiziano, Giulio Romano, ma non aveva ancora elaborato una propria lingua e liberato la sua originalità. Però nello stesso 1548 si affermò come il pittore più promettente della nuova generazione, e ignorò la commissione. Nel 1551 ridiscusse il contratto, come farebbe un calciatore nel frattempo richiesto da squadre più blasonate, e riuscì a strappare un aumento. Tintoretto, di inesauribile immaginazione ed energia, seminò fino alla morte centinaia di quadri negli edifici pubblici di Venezia: La Presentazione di Maria fu l’unico che riscosse entusiasmo unanime. Perfino i suoi detrattori, che lo biasimavano come sbrigativo mestierante, ammirarono la raffinata armonia della composizione, la plasticità delle figure, il gioco del chiaroscuro, la qualità del disegno e del colore.
Illustra un episodio dei Vangeli apocrifi e della Legenda Aurea. Anna e Gioacchino hanno consacrato a Dio la loro tardiva figlia Maria: verso i 5 anni la conducono al Tempio di Gerusalemme, dove sarà educata con altre vergini. Tintoretto omette i genitori e fa della bambina il fulcro dell’immagine. Sintetizza la città nella folla e riduce l’architettura dell’edificio all’imponente scala di 15 gradini, vista con prospettiva dal basso – la stessa dello spettatore. Costringendolo a muovere gli occhi per seguire la bambina, mette in movimento la scala stessa, e lo coinvolge nella scena. L’oro sparso sui gradini barbaglia una luce calda e avvolgente di prodigio. La figuretta esile di Maria si staglia in controluce. Allo spettacolo assistono storpi e mendicanti (risucchiati nell’ombra ma resi in scorci virtuosistici), scribi, signori e soprattutto donne. Una processione di velate coi ceri avanza dal fondo; le altre (con le figlie tra le braccia o al seno) formano una specie di coro, sul proscenio. Una sinfonia femminile di donne di ogni età – lattanti, bimbe, adolescenti, madri, anziane – come se il quadro fosse una meditazione sul loro ruolo, e destino. Scelta singolare per il telero della chiesa di un monastero maschile. Ancora più singolare la figura al centro dell’immagine – la bionda di spalle, col piede sollevato. Un piede scalzo in una chiesa, cinquant’anni prima di Caravaggio.
I pittori ideavano i propri quadri rielaborando quelli con lo stesso soggetto che avevano visto dal vero o su riproduzioni a stampa. Tintoretto tenne presente quelli di Tiziano e di Daniele da Volterra, allievo di Michelangelo. Ma la monumentale donna con la spalla nuda è una sua invenzione. La donna e la figlia accanto a lei – con gli abiti e l’acconciatura delle veneziane del ’500 – sono dipinte con tale tenerezza e verosimiglianza che subito si generò la leggenda che rappresentassero l’amante del pittore e la sua diletta figlia. Tintoretto aveva davvero avuto una bambina, in quegli anni: Marietta – la piccola Maria. È un’ipotesi possibile, perfino probabile. Ma ciò che conta è che Tintoretto offrì a loro il ruolo- chiave del quadro: non al sacerdote né ai santi genitori né alle vergini ebree né ai committenti né a se stesso. Mediatrici fra gli spettatori e la storia sacra, testimoni e guide sono una donna qualunque e sua figlia. In pittura e nella vita, Tintoretto era un temerario, e un uomo libero.
Maria sale, con grazia, verso il sacerdote barbuto che l’aspetta in cima alla scala. Il suo ingresso nel Tempio permette l’inizio della salvezza dell’umanità. Maria è unica, irripetibile. Infatti è sola, ritagliata contro un cielo di nuvole. Ma la donna la indica a esempio alla figlia – perché anche lei accetti il suo destino e lo compia. Così il quadro, al di là del significato teologico, che Tintoretto tradusse con esemplare fedeltà, finisce per diventare altro. Un’epifania malinconica del mestiere di genitore, e di maestro. Che può solo accompagnare con amore il figlio (la figlia) ai piedi della scala, in cima alla quale lo (la) attende il futuro. L’età adulta, il compimento di una vocazione, la felicità o il dolore. La scala è ripida, nessuno può aiutarci ad affrontarla. Tocca a noi trovare il coraggio di avviarci lassù – qualunque cosa ci attenda.