Alex Frosio, La Gazzetta dello Sport 28/12/2013, 28 dicembre 2013
IL SIGNOR MONEYBALL: «CON LE MIE TEORIE CAMBIERO’ ANCHE IL CALCIO»
Per cinque ore al giorno ascolta podcast sul calcio («Quando porto a spasso il cane o negli spostamenti in macchina»), la sera discute con la moglie: lei vuol vedere gli highlights del baseball – è una passione di famiglia –, lui le partite di calcio. Tutto normale se «lui» non fosse americano e soprattutto se non fosse Billy Beane, general manager degli Oakland Athletics di baseball, una delle figure più influenti dello sport americano. Grazie ai metodi descritti in «Moneyball», ha portato gli A’s, una delle squadre più povere della Mlb, a competere con le superpotenze.
Come si è innamorato del calcio?
«Nel 2003 ero in Inghilterra per lavoro, e sono rimasto stupefatto da tutta la passione e l’entusiasmo intorno alla Premier. Se ne parlava ovunque, ogni giorno: i risultati influenzavano lo stato d’animo della gente! E dove c’è emozione c’è un’opportunità, quindi mi ha interessato dal punto di vista del business. Seguo soprattutto la Premier, che negli Usa ha una grande copertura tv».
Mai stato allo stadio in Italia?
«Anni fa un mio amico viveva a Roma e aveva dei biglietti per il derby. Scegliemmo di fare qualcos’altro, purtroppo. Non avevo ancora questa passione. Oggi non me lo perderei di certo».
Pensa che lo scouting statistico possa essere applicato al calcio?
«Non c’è niente al mondo che non si possa quantificare. Non è una questione di se ma di quando. Il calcio è un business enorme, ci sono sempre meno aziende “familiari” e sempre più “corporation”. C’è più rischio in termini imprenditoriali. Diventa indispensabile cercare di quantificare qualsiasi cosa. Anche sul campo da calcio».
Nessuno però ha ancora capito quali statistiche utilizzare.
«Intanto vanno messe da parte le solite statistiche. Nel baseball, i giornali americani le pubblicano da un secolo ma quei numeri noi neanche li guardiamo. Cerchiamo altrove. Anche nel calcio ci sarà già qualcuno che sa dove guardare, e magari in questo momento nemmeno è nel business».
Damien Comolli, che è un suo amico, ha provato a farlo al Tottenham e al Liverpool ma non gli è andata troppo bene...
«Solo perché stai usando l’analisi quantitativa, non vuol dire che ogni decisione che prendi sarà giusta. E poi quando cerchi di cambiare una cultura ci vuole tempo. Quel che devi fare è togliere l’emotività da qualsiasi decisione (Beane non guarda mai le partite dei suoi A’s, ndr). Chi usa la sabermetrica deve essere spietato. E avere sempre il completo appoggio dei proprietari del club».
Secondo i suoi parametri, Bale vale 100 milioni?
«Lo vedremo a fine stagione. Il problema nello sport è che troppo spesso si danno giudizi affrettati. Diciamo poi che alcune buone decisioni possono costare tanti soldi, perché magari te ne portano più di quanti ne spendi. Cristiano Ronaldo per esempio è costato molto ma rende anche molto».
È Cristiano il migliore?
«No, la mia prima scelta è sempre Leo Messi. Quando cerco di spiegare ai miei amici americani cosa può fare Messi, dico che è una combinazione tra Wayne Gretzky, il più grande giocatore di hockey della storia, per la sua capacità di vedere corridoi impossibili, e Barry Sanders, uno dei miglior running back della Nfl, per velocità e capacità di spostamento. Due che sembrava praticassero uno sport tutto loro. Poi certo c’è Cristiano. Ma sul loro livello metto anche Luis Suarez. Spettacolare. E poi Ibrahimovic: mi piace la sua voglia di vincere, il suo carattere».
Lei però tifa Wenger.
«Ammiro il modello di business dell’Arsenal. Gestione equilibrata, buon calcio, ottimi risultati».
Ma non è la migliore squadra d’Europa.
«Bayern e Barcellona sono irraggiungibili. Ma non è detto che vincano la Champions, competizione che mi affascina, perché non ci sono certezze assolute. E il bello del calcio è proprio questo».