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 2013  dicembre 29 Domenica calendario

MARINO, L’ELISIR DEI CURRICULA PER PULIRE I RIFIUTI DI ROMA


QUELLA sconcertante foto dei maiali che grufolano tra i rifiuti di Roma è «una situazione reiterata e in parte creata ad arte» dicono l’assessore Estella Marino e il sindaco Ignazio Marino (non sono parenti) evocando il complotto dei maiali, forse il porco-Napoleone di Orwell. Eppure Boccea a Roma non è suburra.
MA UN quartiere di piccolo decoro borghese: «Stiamo facendo verifiche». E lo sproloquio comunale riserva altre sorprese, proprio come uno di quei cassonetti che attorno a Fontana di Trevi vengono rovistati alle 5 del mattino dalle bande dei barboni scortati dai cani. Il sindaco infatti dichiara: «La spazzatura irrita me più ancora delle romane e dei romani» e dunque «stiamo esaminando da qualche settimana i curricula più prestigiosi per cambiare la leadership».
Come vedete, in un solo straparlio ci sono tutti i tic ideologici e tutte le cautele da tartufo del linguaggio: “le verifiche”, la cospirazione suina, “le romane e i romani”, “la leadership”, i “curricula più prestigiosi”. Ma purtroppo non è con l’igiene della lingua che si pulisce Roma. Questo è un codice di indignazione che fa il paio con il famoso vestito da spalaneve indossato da Alemanno: a ciascuno la sua demagogia. La verità è che, anche per il sindaco di sinistra come fu per quello di destra, la preoccupazione dell’immagine, comprensibile entro certi limiti, prevale ormai su tutto. Forse davvero per rendersi finalmente efficace, Ignazio Marino dovrebbe, come prima mossa, diventare invisibile.
Di certo lui, che va in giro in bici e non sfreccia in auto blu, avrebbe dovuto sapere com’è ridotta Roma almeno da quando è stato eletto, se non altro per evitare che la situazione peggiorasse come sta accadendo in queste settimane. E invece per irritarlo c’è voluta la foto dei maiali che io, in vacanza in Inghilterra, ho visto su un giornale del Sussex. È come se il sindaco vivesse all’estero e avesse bisogno delle immagini più strambe per scoprire che la sporcizia a Roma fa subito plebaglia da esportazione.
Attenzione: non stiamo parlando qui del problema delle discariche e del riclico, ma della manutenzione normale, roba da ramazza, sporcizia ordinaria di una città che una volta, diceva Moravia, era disordinata e perciò sembrava sporca. Mentre adesso, nel disordine generale, solo la sporcizia è ordinata. E addirittura è pianificata. Chi decide di sporcare sa infatti dove collocare i propri sacchetti, e chi decide di non pulire sa dove non deve andare.
Ci sono archi e piccoli passaggi tra i vicoletti attorno a Piazza Navona, Campo dei Fiori e Piazza Farnese che sono diventati “non luoghi spontanei” direbbe Marc Augé, re-cessi che tutti conoscono, anche le amministrazioni che fanno finta di non sapere: sacchetti, materassi, porte sfasciate, e qualcuno al Testaccio li butta direttamente dal balcone di casa come nei film di Ficarra e Picone. E il disordine di Trastevere, che per Moravia era vita, mercato, pannolino usato e brulichio di casbah, ora è putrefazione e liquame, i graffiti sono sporcizia che sporca sporcizia, e su tutto domina il fetore di marcio, di orina, una puzza sempre uguale di cibo andato a male, come di topo fritto.
Davvero basterebbe al signor Sindaco una passeggiata a piedi, senza pubblicità e senza fotografi, per accorgersi dove si sono trasferiti i brutti sporchi e cattivi del cinema, che il gioioso Colle Oppio è ridotto a triste e infetto letamaio, e che Alberto Sordi e Silvana Mangano oggi “lo scopone scientifico” lo giocano tra le lamiere della sosta abusiva, nelle stradine più belle del mondo che sembrano gli studios di un nuovo neorealismo, non più straccione e poetico ma lercio e umiliante, non sottoprelatariato ma sottosviluppo.
E forse davvero è riassuntivo di tutto il Paese quel prato che fa risacca attorno alle fondamenta di Castel Sant’Angelo. Già dall’alto vi fanno spicco i giallo bruni degli escrementi. Nessuno lo pulisce, nessun se ne cura: è il gabinetto dei cani. E Castel Sant’Angelo è preso d’assedio dai topi. Prima sotto i cassonetti ho notato il nereggiare di un piccola folla aggrumata, poi, come in un vero spettacolo di orrore, le sorche d’acqua e i ratti di venti centimetri si sono disputati i rifiuti in tutta tranquillità, mentre due turisti giapponesi, con la macchina fotografica pendula sul petto, li scrutavano con degli aggeggi che somigliavano a piccoli binocoli fosforescenti.
E invece, vicino al gasometro e agli ex mercati generali, quartiere di nuova movida, ma anche lungo la commerciale via Gregorio VII, i cassonetti ogni sera più alti, più schiumosi e strabordanti vengono presi d’assalto da gruppi di nuovi poveri che razzolano alla ricerca di roba da riciclare, squartano e sventrano plastica e cartoni, raccolgono ogni cosa su vecchi carrelli di supermercato, anche pezzi di elettrodomestici ancora funzionanti. Sono gli scarti della più incivile civiltà che finiscono nei punti vendita dei mercatini, da non confondere con le bancarelle selvagge che invadono, tanto per citarne una a caso, la via Appia Nuova, davanti ai portoni, e producono altra sporcizia, altri rifiuti che in queste sere senza vento si spalmano sui marciapiedi come una patina di decomposizione.
Eppure ci sono città dove buttare la spazzatura è poesia civile. Calvino la racconta magnificamente ne “La poubelle agréée” e si dilunga nel descrivere «la competenza e la soddisfazione del mettere fuori l’immondizia… Ecco che già scendo le scale reggendo il secchio per il manico a semicerchio, attento a che non dondoli tanto da ribaltare il carico…». È una prosa magnifica del 1976 che al sindaco Marino potrebbe essere dedicata sin nel titolo: la pattumiera infatti è agréée (splendido anglesismo) perché condivisa, accettata, regolata e «gradita anche quando non è gradevole». Tutto il contrario di Roma dove gettare la spazzatura non è rassettare, ma spurgare. E difatti non trovi mai i cestini dei rifiuti e poi improvvisamente ne scopri tre o quattro in pochi metri, vaghi dunque con in mano il cono o la carta sporca a Largo Chigi, in via del Corso, in via Nazionale, in corso Rinascimento. Mi hanno spiegato che dove ci sono i palazzi della politica, cioè dappertutto, anche i tombini vengono sigillati e, così, quando piove la città eterna si allaga ma non si lava mai.
Infine al sindaco Ignazio Marino vorrei raccontare che, invitato da Renzo Piano il 29 ottobre scorso, ho vissuto con lui la sua prima giornata in Senato. Ebbene, l’architetto fece togliere dalla sua stanza a palazzo Giustiniani, come fosse spazzatura, gli arredi umbertini, gli arazzi di gusto rinascimentale, le Savonarola, i Fratini e le consolle dorate sostituendo il tutto con un grande tavolo di compensato attorno al quale fece sedere architetti, ingegneri e intellettuali. Spiegò che avrebbe utilizzato il suo salario di senatore a vita per finanziare i progetti di dieci giovani studiosi. E pregò i presenti di selezionarli: «Ma per favore non con i curricula. Migliori sono i curricula e peggiori sono le persone». Ecco, le vie della spazzatura sono infinite.