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 2013  dicembre 29 Domenica calendario

“CHE DELUSIONE, DOVREI DIRVI ADDIO”


SIENA – NON è arrabbiato, è pentito. Di non avere dato retta a quanti – tra cui la moglie – lo consigliavano di stare alla larga da Siena.
DALLA cittá del Palio e dalla sua banca, che ieri hanno dissotterrato la maschera di livore e divisione, vizi di cui qui ci si compiace. Alessandro Profumo si presenta in conferenza stampa con una faccia lunga, indispettito per la figuraccia che gli ha riservato la Fondazione Mps in assemblea, preoccupato per il futuro della banca, convinto che il primo socio stia giocando col fuoco, in una cornice da Palio dove al posto delle Contrade vede, ed è peggio, fazioni politiche, potentatucci locali e personalismi. «Dal mio punto di vista la cosa migliore era venire in conferenza stampa con la lettera di dimissioni — ha confidato ai collaboratori — ma ha prevalso il senso di responsabilità. Ora stacco qualche giorno, il tempo necessario per riflettere a sangue freddo. Finora non ho preso decisioni, voglio valutare bene pro e contro delle future scelte. A gennaio riuniremo il cda e vedremo. Ed esamineremo anche la possibilità di impugnare la delibera assembleare». Tanti giornalisti gli chiedono delle dimissioni; al primo risponde in sostanza «non adesso», gli altri li rimanda con fastidio crescente al primo: «Anche se sono un bancario, non sono di coccio e non cambio versione». Un piano piú sotto nella sede di via Mazzini Antonella Mansi, che ieri i soci riottosi di Mps hanno trasformato nella Madonna del Palio, cercava di non infierire sullo sconfitto, in un saluto alla stampa dimezzata, perchè i protagonisti non hanno avuto il garbo di lasciarsi la scena per intero.
Profumo quindi aspetta. Anche perché troppe sono le variabili, da subito. Come reagirá in Borsa la maltrattata azione Mps? Cosa faranno i manager della prima linea — tutti portati da Profumo e Viola — dopo la virtuale sfiducia del socio forte? Come procederá il piano di ristrutturazione del Monte, una camicia di Nesso imposta da Bruxelles e dal Tesoro? Che ne sará della trattativa con la cordata delle fondazioni, disposte a mettere sul piatto 900 milioni per liberare l’ente Mps dal giogo dei debiti? L’esigenza di controllare queste variabili, da cui dipende la stabilità della terza banca italiana a rischio crescente di nazionalizzazione, potrebbe indurre le autorità ad attivarsi affinchè il management garante del riassetto possa continuare l’opera.
Oggi, é solo il giorno della delusione. «Qui ci sono solo due alternative: o si salva Mps e la si trasforma in una banca seria o se ne fa il terminale della Fondazione locale, che visti i trascorsi non mi pare un modello», continua il presidente con la valigia in
mano. Piú volte, durante e dopo l’assemblea, ha esortato gli azionisti a non ripetere l’errore fatto solo due anni fa, quando per difendere «quota 51%» nel Monte la Fondazione s’indebitò firmando l’attuale e la futura indigenza: «Questo rinvio di sei mesi ripiomba la banca nell’incertezza. Sono convinto che la Fondazione stia rifacendo lo stesso errore, con il rischio che ne facciano le spese i contribuenti italiani, che con l’aumento riavrebbero subito i 3,3 miliardi dei Monti bond». A un ex manager che comprò venti banche in venti paesi, quali in Borsa quali privatizzande, non possono andar giù i ragionamenti assembleari di tanti “montepaschini” (non la Fondazione), lieti se Babbo Monte tornasse nel solco pubblico, dove sempre è stato fino al 1995. La storia dice che quella trasformazione in spa, del vero, aprì la strada delle sventure, con tante operazioni sbagliate, quasi sempre targate politicamente per la blindatura dell’attuale Pd sugli enti locali. Ancora oggi Comune, Provincia e Regione nominano sette dei 14 poltrone in fondazione. Ma Profumo rigetta le letture politicanti: «Se la politica ha un peso nelle scelte della Fondazione? — ha detto sibillino — Chiedetelo alla Fondazione. Quel che posso assicurare é che la politica non ha avuto un peso nelle scelte della banca». E più tardi, ai suoi: «Sto provando a salvare e ci ho messo la faccia e un’infinita passione, rinunciando ai compensi per evitare polemiche di sorta. Mi amareggia molto che questa vicenda sia letta come una faida personale e politica, anzi di correnti politiche. È un modo di agire e ragionare che non mi riguarda per nulla». E a chi ricorda che lo chiamò a Siena l’ex sindaco Ceccuzzi, dalemiano di osservanza, replica piccato che non sente «da mesi e mesi» l’antagonista di Matteo Renzi. «Non sono eletto a Siena, sono venuto a salvare una banca, un ruolo totalmente diverso», sbotta, e rammenta quando, un anno fa, ci mise la faccia e il carisma antico, facendo il giro delle tesorerie per recuperare i miliardi di raccolta che Mps perdeva a ogni nuova puntata delle inchieste giudiziarie.
Orgoglio di banchiere, non inferiore di quello di azionista tradito sfoderato da Mansi in assemblea. E poca pazienza verso i parallelismi storici con la caduta da Unicredit, quando le fondazioni socie lo misero alla porta stufe del suo tirar dritto (anche verso la ricerca di soci nuovi, dicevano). «Avrò il mio carattere, anche se invecchiando divento troppo buono — racconta ai collaboratori — ho fatto di tutto in questi mesi per convincere la Fondazione dell’urgenza della situazione, che ci imponeva di convocare l’assemblea per sfruttare la finestra di ricapitalizzazione che si apre il 16 gennaio. Comunque finirà, credo di aver fatto il presidente molto bene, raccordando Consob, Bankitalia e Tesoro con la Commissione Ue, tenendo coesi i manager cui tagliavamo gli stipendi, ascoltando gli ammini-stratori durante consigli che durano anche dieci ore». E sorbendosi l’odio dei senesi, di cui seguita a diffidare ricambiato.