Chiara Pasetti, Il Sole 24 Ore 29/12/2013, 29 dicembre 2013
EROTISMO IN RIVA ALL’ACQUA
Se Gustave Flaubert aveva dichiarato di «essere nato lirico», ma di «non scrivere versi», Guy de Maupassant (1850-1893) invece iniziò la sua attività letteraria come poeta, e di lui si cominciò a parlare nel 1876, quando la poesia Au bord de l’eau uscì, sotto lo pseudonimo di Guy de Valmont (nome che rimanda al celebre libertino delle Liaisons dangereuses di Laclos), sulla «République des Lettres», rivista fondata da Catulle Mendès. Di questo lungo componimento di 226 versi, che narra gli amori del narratore e di una lavandaia ambientati in un lavatoio in differenti ore del giorno e della notte (e che ispirerà le immagini più lascive del Peccato di maggio di D’Annunzio, nonché la sua Venere d’acqua dolce, il cui titolo ricalca la Vénus rustique di Maupassant, ma i cui versi più caldi sembrano richiamare appunto Au Bord de l’eau), Maupassant aveva confessato: «casto nei termini, è quanto di più immorale e impudico si possa fare per le immagini e il soggetto».
E lo stesso Flaubert l’aveva definito «un capolavoro di poesia erotica». Senza il consenso dell’autore, la poesia venne ripubblicata alla fine del 1879 sulla «Revue moderne et naturaliste»; il titolo era stato modificato in Une Fille, eliminati una decina di versi, e la firma non riportava più lo pseudonimo ma il nome dell’autore, il quale apprese la notizia soltanto alla fine di dicembre, con comprensibile disappunto. Nel febbraio 1880, in seguito a quella pubblicazione, fu invitato a comparire davanti al tribunale di Étampes, accusato di «oltraggio ai costumi e alla morale pubblica». Temendo che un procedimento penale potesse minacciare il suo posto al ministero della Pubblica istruzione (posto che aveva ottenuto, ironia della sorte, grazie all’intervento dell’allora ministro Bardoux, proprio dopo che quest’ultimo lesse Au Bord de l’eau su invito di Flaubert e ne rimase affascinato!), Maupassant chiese, dietro consiglio del suo avvocato, l’autorevole intervento di Flaubert: domandò al maestro, un tempo condannato per «oltraggio ai buoni costumi e alla morale pubblica e religiosa» per il suo capolavoro Madame Bovary, di scrivere una lunga lettera da pubblicare su «Le Gaulois». Flaubert abbandonò immediatamente la stesura di Bouvard et Pécuchet per assolvere il compito richiesto dal suo discepolo, e produsse una lettera, come Maupassant desiderava, piena di "tenerezze", che ribadisce il valore della poesia «sia dal punto di vista letterario che morale», e afferma con forza che «la moralità nell’Arte non è che il Bello».
L’operazione ottenne l’effetto sperato: il 28 febbraio 1880 il tutto si concluse con un’istanza di non luogo a procedere, e Maupassant, come un tempo Flaubert, ricavò da questo spiacevole (e grottesco) episodio giudiziario un’improvvisa pubblicità. Poco più di due mesi dopo, l’8 maggio 1880 Flaubert si spegneva a Croisset. Per Maupassant l’epoca dei versi era finita. Dalla morte del maestro, a cui aveva fatto in tempo a dedicare, il 25 aprile 1880, il volume Des Vers che conteneva la poesia incriminata (di cui l’esemplare originale, conservato nella Bibliothèque Flaubert a Croisset, reca la commovente dedica «Flaubert, à l’illustre et paternel ami, que j’aime de toute ma tendresse, à l’irreprochable maître, que j’admire avant tous») Maupassant abbandonò la poesia, e si dedicò all’attività di narratore e romanziere, che fu intensissima e molto prolifica, seppur molto breve. Il tempo del lirismo era terminato, si apriva la stagione della prosa, che risponde più che mai agli intenti un tempo espressi da Flaubert: «un grande tentativo, e molto originale», sarebbe poter dare «alla prosa il ritmo del verso, ma lasciandola prosa e molto prosa». Passaggio di testimone… basta leggere Maupassant per rendersi conto che il tentativo flaubertiano è stato splendidamente raggiunto dal suo discepolo.