Mario Andreose, Il Sole 24 Ore 29/12/2013, 29 dicembre 2013
IL FURORE DI UN ANTIEROE
Il gusto di raccontare storie tremende deve essere associato alla sua prima formazione, se le letture di William Falkner (la u è un’aggiunta successiva), propiziate da mamma e nonna, già in età prescolare, sono le Fiabe dei Grimm e Dickens. Ma crudeltà ed efferatezze non mancano nemmeno in certi episodi biblici ascoltati in casa o nell’elitaria chiesa presbiteriana frequentata assieme alla madre. Però la fonte magistrale della sua conoscenza della storia del profondo Sud sono i racconti della tata negra Caroline Barr. Tutta la vita Collie ha nutrito la mente del giovane William con i suoi ricordi: l’orgoglio dei vinti, lo straniamento degli schiavi liberati, il declino delle grandi famiglie, i nuovi ricchi, i nuovi poveri bianchi, il Ku Klux Klan...
Alla fine della Prima guerra mondiale, entrato nell’età adulta, Faulkner se ne torna a casa sua, Oxford, Mississippi, in divisa di ufficiale di complemento dell’aviazione britannica di stanza in Canada (per quella americana non aveva la statura sufficiente), senza avere compiuto una sola missione di volo (tra le sue più forti passioni). Privo di titoli di studio, si deve arrangiare con mestieri non proprio gratificanti che però gli lasciano qualche tempo per leggere e scrivere.
A differenza dei suoi coetanei Hemingway e Fitzgerald, non si rifugia a Parigi a cercare avventura, e ispirazione tra dissipazione e struggente nostalgia. Una visita a Parigi e in Italia l’aveva fatta anche lui nel ’25, avrebbe dovuto incontrare Pound, Joyce e T.S. Eliot, ma timido com’era avrà preferito vagare tra monumenti, bar e facili ragazze. Poi però rientra nel suo "francobollo di terra", quella Lafayette County, sua residenza definitiva, da lui ribattezzata Yoknapatawpha, leggendario palcoscenico della maggior parte della sua narrativa.
In quel momento è solo un aspirante scrittore, una condizione insufficiente per aspirare alla mano di Estelle, la deliziosa ragazza della porta accanto, per la quale il padre preferirà un brillante laureato (Estelle tornerà dieci anni dopo, con due figli avuti nel frattempo, a formare con William una famiglia stabile, compresa una nuova loro bambina). Intanto aggiunge al suo curriculum le esperienze indispensabili agli artisti e intellettuali della sua generazione, al seguito di un maestro, anche di débauche, come Sherwood Anderson, in quel di New Orleans. Ed è Anderson che gli fa pubblicare il suo primo romanzo La paga dei soldati nel ’26, dopo vari rifiuti o richieste di umilianti interventi "migliorativi" da parte degli editori. Sull’abbrivio, altri romanzi seguono, per lo più capolavori, in prodigiosa sequenza, come L’urlo e il furore (’29), Mentre morivo (’30), Santuario (’31), Luce d’agosto (’32), Pilone (’35), Il borgo (’40), oltre ai racconti. Di questi, solo Santuario ha avuto allora successo commerciale, programmato, secondo l’autore, grazie agli ingredienti forti e a una meno impervia narrazione (ingredienti così affini alla poetica di Tarantino che viene da chiedersi perché non ne abbia ancora tratto il "suo" film).
È stato il suo primo libro che ho letto, in una bella edizione Mondadori illustrata da Renato Guttuso, sulla copertina l’immagine di una pannocchia insanguinata, Ersatz fallico del turpe Popeye. Celebre l’epigramma critico di André Malraux che ha accompagnato la fortuna mondiale di Santuario: «La tragedia greca irrompe nel romanzo poliziesco». La Francia, infatti, è il primo Paese europeo a celebrarne la grandezza. Sartre constata che «per i giovani francesi Faulkner è un dio» e nel ’39 pubblica nella «N.R.F.» un saggio sulla metafisica del tempo in Faulkner, dopo aver letto L’urlo e il furore dove «niente accade e tutto è già accaduto» e «il passato non è mai morto, non è nemmeno passato». L’urlo e il furore, che la Modern Library colloca al settimo posto dei 100 migliori romanzi di lingua inglese, è l’apoteosi narrativa dei Compson, i fratelli più celebrati della letteratura, dopo i Karamazov e i Buddenbrook, con una tecnica, resa in seguito popolare dal film Rashomon, in cui ogni personaggio racconta diversamente la stessa vicenda.
In patria, per vivere di scrittura, William pubblica molti, spesso bellissimi, racconti nelle riviste e lavora per il cinema, soprattutto con Howard Hawks, per il quale firma le sceneggiature di Il grande sonno di Chandler e di Avere e non avere di Hemingway, ambedue interpretati da Humphrey Bogart e Laureen Bacall al loro esordio di coppia. Alla fine della Seconda guerra mondiale, a quasi cinquant’anni, con tredici libri già pubblicati, Faulkner è un autore invisibile in libreria: in mancanza di ordini, i suoi editori hanno cessato di ristampare. Ma un onesto critico, Malcolm Cowley, vice di Edmund Wilson alla «New Republic», un tempo sbeffeggiato dai divi della Lost Generation, come Hemingway e Dos Passos, si inventa nel ’46 un Portable Faulkner, un’antologia di circa 700 pagine, tra le più appetibili, e con apparati, redatti da Faulkner, per rendere il suo mondo più accessibile, come una cronologia degli avvenimenti, una genealogia dei Compson, che abbiamo incontrato in molte situazioni e a tutte le età, e una mappa dell’immaginaria contea di Yoknapatawpha. (In Italia sarà pubblicata dal Saggiatore nel ’59 con il titolo 644 pagine di William Faulkner). Inizia da qui la grande rinascita di Faulkner che, nel ’49 vince il Nobel, cinque anni prima di Hemingway.
La loro rivalità incendia anche la nostra adolescenza, come altri duelli di campioni, perché nel frattempo ce ne siamo impadroniti frequentando le accoglienti biblioteche U.S.I.S., sorte quando l’aria delle nostre città odorava di nuovi esotici tabacchi. È probabile che l’"information service" contenuto nell’acrostico fosse più orientato all’uscita dal nostro Paese, ma per noi era comunque la scoperta dell’America. Bompiani, Mondadori, Einaudi avevano già pubblicato, prima e durante la guerra i loro primi libri, come quelli di Steinbeck, Dos Passos, Cain, ma solo ora sono disponibili per noi, gratis. E poi c’era Americana di Vittorini dove almeno due racconti dei nostri eroi bastavano a riaprire la contesa: Una rosa per Emily e Vita felice di Francis Macomber, per poco. Certo, era più facile essere per Hemingway, che con il suo understatement minimalista, il suo strepitoso dialogato aveva, come paventato da Emilio Cecchi, influenzato non pochi scrittori e giornalisti italiani. Leggere Faulkner invece richiede, come per l’ascolto di Wagner, piuttosto che attenzione, immersione. E come non essere catturati dalla sua prosa densa, musicale, sballottati nelle sue vertiginose costruzioni narrative in avanti (flashforward) e indietro (flashback), dove epifanie e intermittenze del cuore non sono imitazioni ma lezione maturata, consapevole? E poi scoprire un mondo lontano che mai ci saremmo sognati di conoscere!
La vita di William Faulkner non ha conosciuto momenti eroici, gesti estremi, esposizioni da cronaca. Beveva molto, ma non durante il lavoro, se mai per festeggiarne la conclusione. Ha esercitato un tranquillo libertinaggio, ma non ha mai divorziato da Estelle. Sul problema dell’integrazione razziale ha tenuto un atteggiamento moderato, perché auspicava una soluzione gestita dagli Stati del Sud. Una parte del suo patrimonio l’ha destinata a una fondazione per l’educazione primaria dei bambini neri e un’altra alla istituzione del prestigioso "Pen Faulkner Award" per scrittori. Le innumerevoli immagini fotografiche ci mostrano in diversi momenti un signore di bell’aspetto, snello, dall’aria mite e dalla tipica eleganza sudista, e una pipa che sembra connaturata al suo profilo, per non dire dei baffi, belli, come quelli di mio padre.