Armando Massarenti, Il Sole 24 Ore 29/12/2013, 29 dicembre 2013
TRA BENI E MALI ESTREMI
Ovunque sui trovvasse, Cicerone (106 a.C.–43 a.C.) non mancava di approfittare della pace offerta dalla villeggiatura per coltivare, tra meditazioni e chiacchiere con compagni fidati, la passione per l’affascinante musa di cui si era innamorato da giovanissimo: la filosofia greca. «Che cosa bisogna ricercare nella vita con tanta cura quanto investigato in questi libri? Cioè: qual è il termine, l’estremo, l’ultimo punto a cui bisogna riferire tutte le norme per viver bene e agire rettamente, che cosa la natura persegua come sommo fra ciò che è desiderabile, che cosa eviti come supremo fra i mali?». Questa la domanda, il problema dei problemi secondo Cicerone, che suscita «grandissima discordia» anche tra le persone più sapienti e dotte. È l’interrogativo attorno a cui ruota l’intera opera De finibus bonorum et malorum (I termini estremi del bene e del male), che si apre nella tranquilla ambientazione della tenuta di Cuma, dove l’oratore si ritrova con due amici, il raffinato epicureo Lucio Torquato e il retore seguace di Pompeo Gaio Triario. «Dato che ti abbiamo trovato una buona volta libero dagli affari», esordisce Lucio, «vorrei sentire il motivo per cui tu, non dico che abbia in odio il nostro Epicuro, come fanno generalmente quelli che da lui dissentono, ma certo non approvi colui che, a mio avviso, è l’unico che vide la verità e insegnò tutto ciò che porta a una vita retta e felice». L’eclettico Cicerone, che in gioventù aveva studiato a fondo proprio la dottrina di Epicuro, per poi allontanarsene abbracciando – ma solo in parte – lo stoicismo, non poteva che sentirsi punto sul vivo. E alla confutazione dell’epicureismo sono dedicati, infatti, i primi due libri del De finibus, dove, dipanando vari argomenti, i filosofici villeggianti si interrogano sulla natura del sommo bene: piacere o virtù? Come in un originale torneo filosofico, tre diverse scuole si fronteggiano – epicurei, stoici e accademici – arbitrati, per così dire, dall’ingegno e dalle abilità retoriche di Cicerone. È così che, qualunque sia l’ultima parola sul problema cruciale della natura del bene e del male, si svela l’insegnamento più profondo, da ereditare e fare nostro, della storia del pensiero antico: quello di farci capire che, nella sua essenza e nelle sue principali scoperte, la filosofia si basa sul dialogo, sulla critica e il confronto.