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 2013  dicembre 29 Domenica calendario

L’ALTERNATIVA BREAK-UP E LA PISTA FRANCESE


Può essere uno spin-off o addirittura un break-up il "piano B" per disincagliare la partita Mps? Già una ventina d’anni fa, il Montepaschi del provveditore Carlo Zini era incappato in qualche disavventura di troppo: come il crack del finanziere Giuseppe Gennari, prodromo del disastro Parmalat. E la Banca d’Italia di Carlo Azeglio Ciampi (e poi di Antonio Fazio) non esitò a imporre a Rocca Salimbeni una dieta severa: ricetta classica di vigilanza. Siena, per di più, faceva orecchie da mercante anche ai dettami della legge Amato-Carli: la separazione della Spa bancaria e la nascita della Fondazione si realizzarono solo nel 1995, abbondantemente fuori termine. E più tarda ancora fu la quotazione in Borsa, solo nel ’98.
A metà anni ’90, il Monte fu in ogni caso obbligato a rinunciare ai suoi capisaldi al Nord: il Credito commerciale finì all’emergente Cariparma; il più piccolo Credito lombardo all’altrettanto dinamica Antoniana: un test di fiducia, allora, per la banca padovana che una decina d’anni dopo sarebbe divenuta (suo malgrado) la "madre" del dissesto Mps. All’inizio del 2014 proprio la rivendita di AntonVeneta (o di altre parti di Mps) emerge come un’alternativa meno teorica a quella che fino all’assemblea di ieri era la via maestra della ricapitalizzazione accelerata sul mercato.
Sulla carta, la "soluzione Profumo" resta da manuale. Non c’è dubbio che l’afflusso per cassa di nuovo capitale core tier 1, la prospettiva di rimborso veloce dei Monti-bond, la marginalizzazione di una Fondazione manifestamente problematica, l’avvento possibile di una public company rimarrebbero la prima scelta per il Tesoro, per Bankitalia, per la Bce che sta scaldando i motori dell’Unione bancaria. Ma anche a Londra piacerebbe di sicuro esser fuori da Lloyds o da Rbs: cinque anni dopo il crack Lehman, invece, lo stato-salvatore è ancora in maggioranza ovunque e la City ha dato una mano solo a collocare un modesto 6% di Lloyds. Nella Germania di Angela Merkel e della Buba, intanto, rimane di proprietà pubblica il 25% dell’ex blasonata Commerzbank. Berlino, dal canto suo, non mostra fretta di vendere ed è prevedibile che la nuova grosse koalition cercherà soluzioni "di sistema": come quando la potente Postbank fu "privatizzata" presso la Deutsche Bank.
È vero che, in Italia, il bunker del Monte si sta rivelando difficile da aggredire su qualunque versante: non solo da parte dell’ortodossia mercatista di Profumo. Intesa Sanpaolo ha smentito, alla fine, esplorazioni informali del dossier che Piazza Affari seguiva attentamente. E a Natale è naufragato, per ora, il tentativo di "aiuto fraterno" di altre grandi Fondazioni per diluire gradualmente l’Ente senese. Forse in attesa di un ingresso "di sistema" da parte della Cdp, ultima step immaginabile prima della nazionalizzazione tout court. O di un commissariamento.
Gli spin-off di reti bancarie, d’altra parte, non appaiono strade spianate: in Italia uno sportello su tre è giudicato in esubero. Ma non è abbastanza per escludere a priori operazioni "di sistema"" sul Monte: da discutere magari (è il gossip di queste ore) con due gruppi europei che la grande crisi ha colto nel mezzo di un percorso di radicamento di lungo periodo in Italia. Due gruppi che non hanno mai fatto mistero di voler continuare a crescervi.
Il primo è il Credit Agricole, ben conosciuto in Italia dai tempi in cui fu "cavaliere bianco" dell’Ambroveneto di Giovanni Bazoli. Oggi la Banque Verte controlla Cariparma: gruppo radicato al Nord, di stazza già importante, affidabile nei conti, sperimentato nel management. Non è il solo sulla dorsale transalpina del sistema bancario continentale. Anche BnpParibas controlla dal 2005 la Bnl: gruppo a guida e strategia italiana, capace nuove dimensioni. E se a Parma l’operazione Credito commerciale è ormai una curiosità da annali, le stanze romane di Via Veneto risuonano ancora degli echi lontani dei ripetuti tentativi di integrare la Bnl proprio con il Monte.
Era un’epoca in cui ogni sistema-Paese faceva ancora "politica creditizia", sotto la pressione dell’euro in arrivo. Ed erano anche gli anni in cui l’Eurozona in cantiere sperimentava concretamente le prime strategie crossborder (non va dimenticato che anche Deutsche Bank ha, da allora, un’importante piattaforma retail in Italia). Dal 2014 per le banche europee il gioco si chiamerà definitivamente exit strategy e new normal e le regole verranno dettate dall’Unione bancaria: una supervisione che promette di miscelare old e new nel ridisegnare il sistema bancario continentale prima ancora che nel sorvegliarlo.