Gianluca Paolucci, La Stampa 29/12/2013, 29 dicembre 2013
MODELLO PROFUMO ADDIO CRESCONO LE POSSIBILIT
DI NAZIONALIZZAZIONE –
Il “modello Profumo” di fare di Montepaschi una public company, con un azionariato diffuso e non più “Siena-centrico” è stato ieri bocciato clamorosamente. Con quali conseguenze, per la banca e per Siena, è difficile dirlo. Di certo si apre una lunga fase d’incertezza per la banca già scossa da scandali, inchieste e malagestione.
La prima conseguenza importante di un rinvio di sei mesi dell’aumento di capitale da tre miliardi richiesto dalla Ue è il possibile incremento dell’ammontare degli interessi di alcune centinaia di milioni. L’ipotesi, peraltro smentita ieri da fonti interne alla banca, è già alle esame del pool di istituti che ha fatto parte del consorzio per l’aumento. I conti sono presto fatti. Intanto serviranno 120 milioni per pagare le cedole dei Monti bond. Poi, con i dieci istituti che si erano impegnati a garantire l’aumento in gennaio dovranno essere rinegoziati i termini del contratto: ammesso che siano ancora disponibili, l’allungamento della finestra temporale aumenta il rischio e di conseguenza aumenta le commissioni che saranno richieste. Giova ricordare che questi costi, nell’ipotesi di piano in gennaio, erano ricompresi nell’importo di tre miliardi. Nel frattempo ci saranno gli stress test, ai quali Mps si presenterà con il fardello degli onerosi Monti bond ancora da ripagare integralmente e un piano estremamente complesso e duro di ristrutturazione da attuare sotto i monitoraggio costante dell’Unione europea. Che, come rivelato dalla stessa banca il 24 dicembre scorso, prevede anche l’invio a Siena di un controllore che vigilerà sull’esecuzione del piano stesso. Gli scenari che si aprono per il futuro di Mps sono a questo punto almeno due, che prescindono entrambi dal ricambio o meno dei vertici.
Il primo scenario, quello più favorevole, vede l’aumento di capitale realizzato in giugno come voluto dalla Fondazione, seppur con un importo più alto. I mercati continuano a crescere, il titolo resta stabile o si apprezza, la Fondazione vende parte del suo 33,5 per cento, ripaga i debiti e resta un azionista rilevante. I Monti bond vengono rimborsati in giugno invece che in gennaio, la Ue è contenta lo stesso.
Il secondo scenario vede una correzione dei mercati, prevista ormai da molti osservatori, che comporterebbe un incremento delle difficoltà per l’istituto che non riesce a pagare le cedole dei Monti bond “cash” ma con azioni, e lo Stato diventa azionista. Ai prezzi di venerdì scorso, prenderebbe il 16% già in giugno. E’ l’anticamera della nazionalizzazione, che arriverebbe per gradi e in modo soft. Il titolo inizierebbe a trattare in Borsa come una banca “nazionalizzanda”, l’aumento non potrebbe probabilmente andare in porto e i Monti bond, grazie al meccanismo di conversione, si trasformerebbero in azioni. Lo Stato tornerebbe azionista di una banca, la banca verrebbe delistata dalla Borsa e la Fondazione sparirebbe lo stesso.
Sullo sfondo resta la politica: la “moral suasion” del Tesoro non è stata sufficiente a convincere la Mansi. E Siena cerca nuovi padroni. Tra l’antipatico Profumo - sostenuto con molti maldipancia da un Pd locale dilaniato al suo interno, che ha comunque come referenti nazionali il mondo bersaniano-dalemiano - e l’energica e giovane Mansi - definita “di area cattolica non renziana”, sostenuta in primis da Confindustria - i senesi non hanno avuto dubbi. Resta da capire se l’assemblea di ieri comporterà un cambio definitivo anche negli assetti del potere cittadino.