Federico Geremicca, La Stampa 29/12/2013, 29 dicembre 2013
RENZI: “CON LETTA E ALFANO NON HO NIENTE IN COMUNE MAI FATTO ACCORDI CON LORO”
«Me l’ha mai sentito dire? Io quella parola, intendo rimpasto, non l’ho mai pronunciata e mai la pronuncerò. E se proprio lo vuol sapere, anzi, mi fa anche un po’ senso». Matteo Renzi al telefono, sei del pomeriggio, giusto così, per uno scambio d’auguri. Auguri per un 2014 migliore del 2013, naturalmente. Auguri anche ad Enrico Letta, certo: pur se la letterina che il leader del Pd invia al premier è di quelle che uno preferirebbe non ricevere mai.
Partire dal presidente del Consiglio e dall’indecifrabile rapporto tra i due «giovani leoni» del Pd può forse avere un senso perché è proprio quella vicinanza generazionale – tanto per cominciare – che Matteo Renzi rifiuta, anzi rigetta, spiegando con puntiglio il perché: «Non posso accettare – dice – l’impostazione che Enrico ha dato alla sua conferenza stampa di fine anno, quando ha detto che un salto generazionale è compiuto, facendo quasi immaginare una intesa tra lui, Alfano e me. Le cose bisogna raccontarle per come stanno. Lui, Enrico, è stato portato al governo anni fa da D’Alema, che io ho combattuto e combatto in modo trasparente; e Angelino Alfano al governo ce l’ha messo Berlusconi, quando io non ero ancora nemmeno sindaco di Firenze».
Si interrompe per un attimo, riflette e poi riprende: «È vero che loro provengono da una generazione più giovane di quella che li ha preceduti, ma io non voglio assolutamente essere accomunato a loro, integrato in uno schema: io sono totalmente diverso, per tanti motivi. E uno di questi motivi, in particolare, non può esser sottovalutato: io ho ricevuto un mandato popolare, tre milioni di persone che mi hanno votato perché hanno condiviso quel che ho promesso che avrei poi fatto. È per questo che non si può più perder tempo: con l’anno nuovo si passa dalle chiacchiere alle cose scritte. E le prime cose scritte riguarderanno i due temi capitali: il lavoro e le riforme».
L’idea, dunque, sarebbe quella di continuare lealmente a sostenere Letta e il suo governo: a condizione, naturalmente, che faccia quel che deve. Quindi non andrebbe interpretata come un «fine corsa» la dichiarazione di Davide Faraone (renziano e membro della segreteria pd) che ieri ha messo in agitazione i palazzi romani: «Non basta un ritocco, un “rimpasto”: o si cambia radicalmente o si muore». Renzi prova a gettare acqua sul fuoco: «Uno sfogo di pancia», spiega. E sarebbe tutto perfettamente rassicurante, se fermasse il suo commento qui. Ma non lo ferma.
«Uno sfogo di pancia – ripete –. Non è una dichiarazione di guerra, perché le dichiarazioni di guerra le faccio io, mettendoci la faccia. Però Faraone ha detto quel che pensa il 99% degli italiani. E nel merito è difficile dargli torto... Un po’ di tempo fa Enrico mi ha spiegato che i provvedimenti che il governo avrebbe varato a fine anno erano frutto di un lungo lavoro preparatorio, che ne aveva parlato con Epifani e i partner di maggioranza... Mi chiese, insomma, di non ostacolarli: e io non ho disturbato. Ma potevano risparmiarsi e risparmiarci tante cose. E la faccenda della nomina da parte di Alfano di diciassette nuovi prefetti è soltanto la ciliegina sulla torta...».
È una storia che Matteo Renzi non riesce a mandar giù, per due diversi motivi. «Il primo mi pare evidente - dice -. Caro Angelino, ma non dovevamo abolirli i prefetti? E invece di abolirli tu ne nomini altri diciassette? La seconda la dico quasi per fatto personale: non può annunciare le nomine e aggiungere “ho fatto come Renzi: sono più le donne che gli uomini”... Io con le donne ci lavoro da sempre, in giunta, in segreteria, nei posti che contano... Non ci voglio entrare nelle nomine di Alfano. E se pensano di ingabbiarmi con un rimpasto, sbagliano alla grande. Io fatico a tenere Delrio al governo, perché ogni tanto mi dice che vorrebbe lasciare: è quello il mio problema, altro che un sottosegretario o un ministro in più. Io spero davvero che Letta colga la portata della sfida: non basta cambiare tre caselle. E da gennaio ci faremo sentire sul serio...».
Un fiume in piena, anche perché dalla politica fiorentina alla “piazza romana” il salto si è rivelato forse più insidioso di quel che il sindaco-segretario immaginava: una partita a scacchi, dove sbagli una mossa e sei fregato: «Sfogliate le collezioni dei giornali – dice – e trovate una mia dichiarazione dove chiedo un rimpasto, per la miseria. Ne ha parlato Scelta Civica per prima, poi Cuperlo ed Epifani: io mai. Non ho alcun interesse a mettere pedine e scambiare caselle: chiedo solo che si cambino stile e velocità nel governo del Paese. Se loro sono d’accordo, si va avanti: ma devono accettare di fare le cose che non hanno fatto in questi ultimi 20 anni. Altrimenti non avrebbe senso continuare».
Fare le cose, appunto. Renzi insiste molto su questo punto «perché è quel che ho detto durante la campagna per le primarie: il governo va avanti se fa. Alla gente che mi ha votato ora non posso dire che si va avanti anche se il governo non fa». Fare, dunque. E fare, prima di tutto, sul piano del lavoro – di nuove occasioni di lavoro – e della riforma della legge elettorale. «Vedo che ora c’è qualcuno che critica me – ironizza Renzi –. Dicono: “Ma com’è, ha cambiato idea? perché non parla più del sistema elettorale col quale si eleggono i sindaci”? È il giochino dello scaricabarile, per far confusione. Ma con me cascano male...».
Non è che perché arriva da Firenze e non frequenta da lustri i «palazzi romani» il neo-segretario del Pd sia uno sprovveduto: «Non mi impicco a un sistema preciso – spiega – perché appena dovessi indicarlo tutti direbbero che non va bene. Ma ho spiegato chiaramente modello e metodo: dopo il voto si deve sapere subito chi ha vinto, e chi ha vinto deve governare e poterlo fare per cinque anni. Questo è il modello. Quando al metodo, l’ho detto: per me la legge elettorale si fa con tutti e parlando con tutti. Anche con Grillo e Berlusconi, certo».
Con l’anno nuovo, sul tema legge elettorale Renzi annuncia una nuova offensiva: «Torno all’attacco degli elettori di Grillo e dei suoi parlamentari: in quel mondo lì c’è attenzione vera sull’urgenza di riformare il sistema. E a Berlusconi – aggiunge – manderò un messaggio chiaro: caro Silvio, tu te ne stai andando, ai servizi sociali o non so dove. Dai un tocco finale diverso alla tua vicenda da leader e partecipa al varo della nuova legge ed alla Grande riforma di cui il Paese ha bisogno. Vediamo cosa risponderanno gli uni e gli altri – conclude – ma io con loro ci parlo e ci parlerò».
È da qui – e Matteo Renzi naturalmente lo sa – che nasce il grande sospetto che circonda il leader dei democratici: vuole subito una nuova legge per andare a votare. «Calma, ragazzi. Sapesse quanti mi dicono “Matteo bisogna andare subito al voto” e io rispondo calma ragazzi, calma. Bisogna tener fede a quando detto: se Letta fa, va avanti. E continuo ostinatamente a credere che sia possibile. Certo, se si fanno marchette e si passa dalle larghe intese all’assalto alla diligenza, non va bene. E per fortuna che stavolta non l’ho detto io: visto che il primo critico, in questa occasione, è stato il Capo dello Stato. E certo non si può accusare il Presidente di essere un nemico del governo-Letta».
Napolitano, già. Il rapporto tra i due va lentamente scongelandosi, ma citare il Presidente fa tornare alla mente di Renzi una cosa che proprio non sopporta più: i rilievi al suo stile. «Sono stufo, ogni volta che scendo giù – lamenta – mi sembra di rileggere Flaiano, un marziano a Roma. I giornali hanno perfino ipotizzato che io mi sia presentato in giacca chiara agli auguri al Quirinale per farmi notare. Insopportabile. Lì ci ero stato una sola volta con Benigni. Non ci sono abituato. E quando ho visto come erano vestiti i papaveri di Stato... ho capito che avevo sbagliato giacca. Una gaffe, tutto qui». Una gaffe, va bene. Ma stia tranquillo, Renzi. Non sarà certo per questo che potrà esser rimproverato...