Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  dicembre 30 Lunedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL TERRORISMO CECENO


REPUBBLICA.IT
VOLGOGRAD - Nuova attentato a Volgograd, nel sud della Russia: 14 le vittime, compreso il kamikaze, un uomo che ha fatto saltare in aria, a bordo di un filobus, 4 chili di esplosivo. Una quarantina i feriti, tra cui tre bambini, uno dei quali ha tra i 5 e i 7 mesi, ed è in coma. Il nuovo attacco è avvenuto a poche ore da quello alla stazione dei treni che ha causato 17 morti. Il bilancio è stato confermato dal ministro federale della Sanità, Veronika Skvortsova, intervistata dall’emittente tv ’Rossiya 24’. L’attentato di oggi ha "elementi identici" con quello di ieri nella stazione ferroviaria, ha detto il portavoce degli investigatori citato dai media russi. "Come alla stazione, la bomba era piena di schegge. Forse i due ordigni sono stati fabbricati nello stesso posto", ha aggiunto. Ferma la reazione di Mosca: gli attentati di Volgograd sono "tentativi da parte dei terroristi di aprire un fronte interno", ma noi "non arretreremo" dalla lotta al terrorismo, si legge in una nota del ministero degli Esteri russo, paragonando questi attacchi a quelli che si verificano "in Usa, Siria e ovunque".
Identificato il kamikaze. Il kamikaze, autore dell’attentato, sarebbe stato identificato. A quanto riferito da una fonte della sicurezza all’agenzia Interfax, si tratta di Pavel Pechenkin. Nato a Volzhsk, nella repubblica dei Mari, nel centro della Russia, nella primavera del 2012 si è unito ai militanti del Daghestan dopo essersi convertito all’islam e aver cambiato nome in Ansar ar-Rusi, ha aggiunto la fonte. Sono intanto in corso gli esami del Dna delle vittime dell’attentato.
Attacco a politica di Putin. L’attacco è un colpo alla strategia del presidente russo Vladimir Putin, che punta al rilancio internazionale con le Olimpiadi invernali di Sochi. Sembra questa la scelta dei terroristi islamici, che sono tornati a colpire nel territorio della Federazione. Una kamikaze di 26 anni, Oksana Aslanova, si è fatta esplodere ieri all’ingresso della stazione di Volgograd provocando la morte di almeno 17 persone e il ferimento di altre 40. È stato il secondo attentato in pochi mesi nella ex Stalingrado dopo quello del 21 ottobre che causò la morte di sette persone.
Allarme terrorismo a Mosca. La tensione è alle stelle. A Mosca è stata evacuata la Piazza Rossa per un allarme bomba. Secondo le informazioni diffuse dal canale tv Ntv, è stato ordinato lo sgombero urgente della piazza a ridosso delle mura del Cremlino. L’allarme è scattato quando una donna, che poi è stata arrestata, ha lasciato una borsa presso la Torre Spasskaya. Nella Capitale è alta l’attenzione sul terrorismo. Per ora sono due le stazioni della metropolitana della capitale transennate. La prima e più centrale è Biblioteca Lenin, accanto al Cremlino: secondo quanto riferito, sulla piattaforma tra i due treni è stata trovata una borsa sospetta. Stessa cosa per la più periferica Izmailovskaja, vicina al mercato di Izmailov, noto anche ai turisti: è stato trovato un oggetto sospetto. Gli esperti hanno esaminato una valigia incustodita. In entrambi i casi, non sono state evacuate le stazioni della linea sotterranea.
Bloccati i siti estremisti. Putin, intanto, ha firmato una legge per bloccare i siti con contenuto estremista. In base a quanto pubblicato, la norma prevede il blocco immediato di siti web che distribuiscono appelli a sommosse e altre informazioni estremiste.
Le condanne internazionali. Un coro di condanne si è sollevato contro gli attentati in Russia. "Con animo profondamente turbato mi rivolgo a lei oggi per esprimere al popolo e al Governo della Federazione Russa, oltre che a lei personalmente, la costernazione degli italiani e mia per i due vili e barbari attentati che tante vittime hanno causato nella città di Volgograd" si legge in un messaggio scritto dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a Vladimir Putin. "L’Italia sente oggi vivissimi legami di amicizia con il suo paese, rafforzati dalla più ferma e decisa opposizione alla follia del terrorismo, che ha preso piede in tante aree del mondo anche a noi vicine per storia e millenaria tradizione", scrive ancora il capo dello Stato. Ugualmente critico il ministro degli Esteri italiano, Emma Bonino, che ha parlato di "un atto terroristico così barbaro e vigliacco". "Dobbiamo mantenere alta la guardia e rafforzare la cooperazione tra gli apparati di intelligence in uno scenario internazionale che presenta numerosi elementi di frammentazione, in particolare sulla sponda sud del Mediterraneo e in Medioriente", ha commentato la titolare della Farnesina. "Gli Stati Uniti condannano con forza gli attacchi terroristici avvenuti a Volgograd", afferma l’ambasciatore degli Usa in Russia, Michael McFaul. "Tutti i miei pensieri e le mie preghiere vanno alle vittime di queste efferate atrocità", ha scritto su Twitter l’ambasciatore. Anche l presidente dell’Europarlamento, Martin Schulz, ha condannato ’’con forza’’ l’attacco suicida alla stazione ferroviaria di Volgograd. ’’Non c’è alcuna giustificazione - afferma - per atti simili’’. Stesso tono quello usato dalla Francia: "Quest’attentato che ha colpito ancora una volta la popolazione e i trasporti pubblici costituisce un atto particolarmente vile e barbaro". Gli attentati sono stati condannati anche ai leader islamici russi.
L’attacco alla stazione ferroviaria. Ieri la kamikaze, originaria del Daghestan, ha fatto esplodere la bomba che indossava all’entrata della stazione, in prossimità della fila davanti ai metal detector. La ragazza era stata sposata con due terroristi entrambi uccisi dalle forze di sicurezza russe ed aveva avuto rapporti con Naida Asiyalova, la donna che si è fatta esplodere lo scorso ottobre su un autobus sempre a Volgograd. Il bilancio poteva essere molto più pesante: un agente ha notato la terrorista e l’ha bloccata lontano dalla folla.
Condividi
Si teme che anche la nuova raffica di attentati siano stati orditi da Doku Umarov, il ’signore della guerra’ ceceno che lotta per la secessione dalla Russia. Umarov, in un video diffuso nel luglio scorso, aveva esortato i militanti a utilizzare "la massima forza" affinché il presidente Putin non possa acquistare popolarità dalle Olimpiadi Invernali che si terranno dal 7 al 23 febbraio a Sochi, sul Mar Nero.
Vicino alle Olimpiadi. Volgograd è una città di circa un milione di abitanti, dista circa 690 chilometri da Sochi e si trova a due passi dal Caucaso settentrionale, in cui tutte le province musulmane sono coinvolte dall’insurrezione islamista. Il ministero degli Interni russo ha rafforzato le misure di sicurezza in tutte le stazioni ferroviarie e negli aeroporti del paese, che si appresta a ospitare i Giochi Invernali di Sochi 2014. L’annuncio è arrivato da un portavoce del Cremlino. Putin, vuole evitare a ogni costo che la minaccia terroristica, di matrice islamica, incomba su Sochi, la località situata ai piedi del Caucaso che sarà teatro, a febbraio, delle Olimpiadi Invernali.
Nessuna modifica a piano sicurezza Sochi. Nessuna misura di sicurezza aggiuntiva verrà presa a Sochi, in occasione dei Giochi Olimpici invernali. Lo ha annunciato il primo vice presidente della Duma e presidente del Comitato olimpico russo Alexander Zhukov, dopo un incontro con i leader del partito Russia Unita, la formazione politica del presidente Vladimir Putin. "Tutte le necessarie misure sono state previste per i Giochi Olimpici di Sochi", ha detto Zhukov, secondo quanto riporta l’agenzia Itar-Tass, aggiungendo che "nessun’altra misura verrà presa a causa degli atti terroristici a Volgograd perchè è stato fatto tutto il necessario".
Uccisi 5 islamisti: preparavano attentati. Stavano preparando attacchi a Natale e Capodanno cinque militanti islamisti uccisi nel Caucaso russo.
Secondo il comitato nazionale anti-terrorismo della federazione russa tre terroristi sono stati uccisi a Chegem, in Kabardino-Balkaria, altri due in Daghestan. Avrebbero avuto piani per attentati da mettere a punto tra Capodanno e il Natale ortodosso, ossia dal 31 dicembre al 7 gennaio. In tutto cinque terroristi, "tra cui il capo della banda", secondo il comitato.
"I banditi, al fine di destabilizzare il Paese, avevano effettuato la preparazione di atti eversivi e terroristici durante le vacanze", ha detto il Comitato anti-terrorismo nazionale.

PEZZI USCITI STAMATTINA
CORRIERE DELLA SERA
FABRIZIO DRAGOSEI
MOSCA — È l’incubo peggiore che torna a stringere la Russia in una morsa a quaranta giorni dalle Olimpiadi di Sochi. Quello del terrorismo che punta ad ammazzare i civili nei luoghi meno vigilati, nelle situazioni più «normali», nelle città che nulla hanno a che fare con le battaglie dei gruppi estremisti islamici o con la preparazione per la Grande Manifestazione che Vladimir Putin ha voluto a tutti i costi.
Ieri a Volgograd, l’ex Stalingrado, ha colpito un commando formato da una delle ormai tristemente celebri vedove nere, e da due uomini. Uno di questi avrebbe portato l’esplosivo nello zaino. L’esplosione è avvenuta all’ingresso della stazione ferroviaria, affollata di gente in viaggio per il Capodanno.
I tre non sono riusciti ad entrare nel salone dove si erano ammassate centinaia di persone, ma hanno attivato l’innesco proprio di fronte ai metal detector posti subito dietro le porte, mentre alcuni poliziotti si stavano avvicinando per controllarli. Una esplosione fortissima, che è stata anche registrata dalle telecamere di sorveglianza situate all’esterno dell’edificio. Alcuni viaggiatori che erano ancora fuori della stazione sono stati scagliati lontano dallo spostamento d’aria provocato dall’equivalente di 10 chili di Tnt.
Nell’area dello scoppio c’è stata una carneficina, con pezzi di metallo inseriti nella bomba che partivano in tutte le direzioni come proiettili. Almeno sedici morti, una cinquantina di feriti tra i quali anche diversi bambini. Morti, secondo la polizia, anche i tre attentatori, Oksana Aslenova, 26 anni, per due volte sposata a terroristi eliminati dalle forze di sicurezza russe, e i due accompagnatori.
Quello di ieri è il secondo attentato della settimana, dopo la bomba piazzata tre giorni fa in un’auto a Pyatigorsk, capitale del distretto del Caucaso del Nord. In quella occasione i morti erano stati tre. Sempre ieri, in tarda serata, altri due attentati, fortunatamente senza vittime, nella repubblica del Daghestan, quella dalla quale proveniva la Aslenova e che è diventata il principale centro operativo dei terroristi.
La Cecenia oramai è stata pacificata, in un modo o nell’altro, ed è gestita con pugno di ferro dall’ex guerrigliero passato nelle file governative Ramzan Kadyrov. Gli irriducibili, guidati da Doku Umarov, che si fa chiamare emiro del Caucaso, operano adesso nelle altre repubbliche a maggioranza islamica della regione. Daghestan in primo luogo, ma anche Kabardino-Balkaria. A luglio Umarov ha lanciato un appello ai guerriglieri superstiti per organizzare attentati contro civili in tutta la Russia allo scopo di far deragliare le Olimpiadi di Putin.
A Sochi e nelle zone limitrofe sarà assai difficile per i terroristi riuscire a fare alcunché, visto che la vigilanza è già altissima e che fra dieci giorni l’intera area verrà praticamente sigillata. Allora si colpiscono i punti deboli, quelli dove diventa quasi impossibile in un Paese grande come la Russia organizzare controlli adeguati. Intanto le città del Daghestan, con la capitale Makhachkala dove quasi ogni giorno vengono attaccati esponenti delle forze dell’ordine. Poi i grandi centri vicini, quelli più facilmente raggiungibili, come appunto Volgograd che si trova a circa 600 chilometri dalla Cecenia. Mosca, almeno per ora, sembra un obiettivo non raggiungibile.
Fabrizio Dragosei

DOKU UMAROV
Doku Umarov, che si autodefinisce «Emiro del Caucaso», ha dichiarato guerra ai Giochi di Putin. Lo scorso luglio, in un video (sopra, al centro), ha rivolto un appello ai guerriglieri ceceni superstiti per organizzare attentati contro i civili in Russia in occasione delle Olimpiadi di Sochi.
«Sono una danza satanica — ha detto — compiuta sulle ossa dei nostri antenati». L’allarme terrorismo è scattato a ottobre, con un altro attentato suicida a Volgograd: un ordigno era esploso su un autobus locale affollato, uccidendo 5 persone e ferendone una trentina

LE VEDOVE NERE
Quel battaglione di venti vedove nere pronte al martirio
Per infliggere i loro colpi, gli estremisti del Caucaso hanno creato una piccola armata. Giovani militanti, determinati e senza remore nel mietere vite di innocenti. Spesso, al loro fianco, le vedove nere. Una delle prime ricostruzioni ha indicato in Oksana Aslenova la responsabile dell’attacco a Volgograd. Altre fonti hanno poi parlato della presenza di un giovane, con uno zaino sulle spalle, e di un’altra donna tutti dilaniati dalla bomba. Se fosse confermato il ruolo di Oksana sarebbe la ripetizione di un modus operandi. Lei, che ha visto morire i suoi mariti negli scontri con i soldati, ha deciso di trasformarsi in una bomba che cammina. Ha indossato la carica esplosiva e si è fatta saltare ieri nella stazione. Lo stesso percorso di una sua amica Naida Asiyalova, responsabile di un attentato su un bus sempre nella stessa città, e di Madina Aliyeva, 25 anni, legata a due compagni «martiri» vendicati facendo strage di militari. In altri casi sono stati i mujaheddin a portare a termine la missione distruttrice o a piazzare un ordigno.
Storie di uomini e donne che si aggiungono a quelle di 46 ragazze protagoniste di attacchi suicidi nell’arco di un ventennio. Un elenco incompleto, in quanto altre sono morte senza che vi fossero testimoni o cronache a raccontarlo. Una falange strumento di lotta e simbolo di chi ritiene di non aver più speranza o futuro. Talvolta manipolate, altre volte fermamente convinte che sia giusto obbedire agli ordini di Doku Umarov, capo dell’Emirato del Caucaso, il movimento che minaccia la regione cerniera ed è deciso a sabotare i giochi olimpici a Sochi.
Gli attacchi non sono certo una sorpresa. Umarov, in estate, dopo mesi di contrasti con altri dirigenti separatisti sull’opportunità di colpire o meno i civili, ha lanciato il suo messaggio. E via Internet ha chiesto di mandare un «segnale forte» per impedire lo svolgimento delle Olimpiadi.
Alla sfida locale si è aggiunta quella internazionale. I ceceni vogliono far pagare al Cremlino l’appoggio incondizionato e decisivo in favore del regime di Damasco. I separatisti sostengono la rivolta dei fratelli siriani e non solo con le parole. Sono centinaia i volontari caucasici presenti nelle file dell’insurrezione. Una saldatura temuta da Mosca che da mesi ha mobilitato risorse importanti per proteggere i Giochi pur consapevole della difficoltà dello scontro. Così è iniziata una partita mortale. Vladimir Putin ha dato carta bianca ai servizi segreti, autorizzando l’Fsb ad una massiccia attività di controllo. Intercettazioni a tappeto, raccolta indiscriminata di dati, fermi, arresti. In Cecenia e Daghestan, oggi punto focale della tensione, hanno fatto lo stesso. Pochi giorni fa, il vice ministro degli Interni ceceno Apti Alaudinov ha esortato i suoi uomini a usare ogni metodo: «Se avete possibilità di infilare nella tasca di un sospetto false prove, fatelo. Se volete eliminare qualcuno, uccidetelo». Repressione feroce che non porta soluzioni ma solo altro odio. Il dittatore pro-russo che regna a Grozny, Ramzan Kadyrov, è tornato a sostenere (come in passato) che Umarov fosse morto. Sortita alla quale gli avversari hanno risposto diffondendo un video, di difficile datazione, per provare il contrario.
Schermaglie ininfluenti sul corso della sfida dei militanti. Insieme ai colpi di mano, gli estremisti hanno curato l’addestramento di altri kamikaze e «vedove», forse in un centro creato lontano dalla zona operativa. Informazioni non confermate parlano di almeno venti ragazze «diplomate». In un’altra base avrebbero preparato gli uomini. È molto probabile che il massacro di Volgograd sia l’inizio della campagna. Mancando ancora più di un mese ai giochi i militanti dell’Emirato vogliono accentuare la pressione e, al tempo stesso, lanciare un messaggio ai Paesi che parteciperanno alla competizione. Mossa propagandistica e terroristica che potrebbe costare molto. A tutti.
Guido Olimpio

REPUBBLICA
PIETRO DEL RE
DAL NOSTRO INVIATO
MOSCA
— Il poliziotto in servizio al metal detector della stazione di Volgograd l’ha riconosciuta tra mille donne, forse perché impacciata dall’esplosivo che portava sotto al cappotto. Ha allora tentato di fermarla, ma la kamikaze ha azionato il detonatore: con i dieci chili di tritolo che aveva indosso, in tasche piene di proiettili per rendere ancora più letale lo scoppio, ha ucciso almeno 16 persone. Senza l’intervento del poliziotto-eroe, anche lui dilaniato dalla bomba, le vittime sarebbero state molte di più, poiché la terrorista stava dirigendosi verso un luogo molto affollato per vendicare con il
suo gesto chissà se il padre o il marito. La telecamera che ha ripreso la deflagrazione di ieri all’interno della stazione mostra prima un raccapricciante lampo arancio, poi colonne di fumo nero che escono dalle finestre infrante. Tutto ciò è accaduto alle 12.45, nel momento di massima affluenza di viaggiatori in partenza per le vacanze di fine anno.
Torna dunque il terrorismo separatista di matrice islamica in Russia. Si tratta del secondo attentato nel giro di tre giorni nel sud della Federazionee e del secondo attentato a Volgograd negli ultimi tre mesi. Qui, infatti, nella città ricostruita nel 1945 sulle macerie di Stalingrado, lo scorso ottobre una kamikaze del Daghestan, moglie di un jihadista ammazzato dalle forze di sicurezza russe, si era fatta saltare in aria in un autobus pieno di studenti uccidendo 6 persone.
Volgograd dista meno di 700 chilometri da Sochi, dove tra poche settimane avranno inizio i Giochi olimpici invernali. E la sanguinosa minaccia islamica è il nuovo incubo del presidente russo Vladimir Putin, che questi Giochi ha fortemente voluto, e che inaugurerà lui stesso il prossimo 7 febbraio. Adesso, oltre all’angoscia di ritrovarsi alla cerimonia di apertura circondato solo da qualche leader da strapazzo, perché i grandi del pianeta, quali Angela Merkel e Barack Obama, hanno già dichiarato che non andranno,
si profila la paura per attacchi terroristici di quell’indipendentismo caucasico che è lentamente scivolato nel radicalismo islamico, e che in Cecenia, Inguscezia e Daghestan o Ossezia provoca quotidianamente attentati più o meno mortiferi.
Il 3 luglio scorso, Doku Umarov, il capo degli islamisti del
turbolento Caucaso russo, aveva incitato in un video i jihadisti a portare morte e distruzione a Sochi. Umarov, che è anche l’uomo più ricercato di tutte le Russie per aver rivendicato l’attentato del 2011 contro l’aeroporto Domodedovoa Mosca (37 morti) e quelli dell’anno prima nella metro della capitale
(40 morti), ha definito i Giochi «danze sataniche organizzate sui resti dei nostri antenati, e sulle ossa dei molti musulmani uccisi sulla nostra terra». Umarov è alla testa dell’Emirato del Caucaso, un movimento nato tra le due guerre d’indipendenza in Cecenia che già figura nella lista delle organizzazioni terroristiche
stilata da Washington.
Sempre che ci sia lui dietro all’attentato alla stazione di Volgograd, o dietro all’autobomba che l’altro ieri ha falciato la vita di tre uomini nella città Pjatigorsk, vicinissima a Sochi, da quando Umarov ha lanciato la sua jihad contro la «grottesca
farsa dei Giochi invernali di Putin », il Caucaso russo è in preda al terrore. Dopo l’attacco di ieri, Putin ha ordinato di rafforzare le misure di sicurezza e garantire ogni tipo di assistenza alle decine di feriti, anche trasportandoli a Mosca, se necessario. Ma per i jihadisti, i bersagli russi sono infiniti.
L’attentato di ieri è stato portato a termine da una donna, proprio come quello di ottobre. L’arruolamento di terroriste è frequente in Russia dal giugno 2000, quando iniziò la seconda guerra in Cecenia. Da allora, le kamikaze hanno ucciso complessivamente 790 volte: questa è la cifra ufficiale, che include però le centinaia di vittime dell’assalto del teatro Dubrovka di Mosca nel 2002 e del sequestro della scuola di Beslan nel 2004, molte delle quali provocate dall’intervento delle forze di sicurezza. Dopo Beslan, per 6 anni le donne del Caucaso smisero di caricarsi di tritolo per seminare morte tra la folla. Ma nel 2010 sono ripresi gli attentati. Anche se da allora, a perpetrarli non sono state donne cecene, bensì daghestane.

LOMBARDOZZI
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
MOSCA
— Non si può far finta di niente, la Guerra delle Olimpiadi è già cominciata da mesi. Mosca, San Pietroburgo, tutte le città russe sono in pericolo e si preparano a lunghi giorni di tensione e di invasive misure di sicurezza. Prima di ieri c’erano già state altre vittime, a fine ottobre, sempre a Volgograd, ex Stalingrado, simbolo ideale della voglia di Impero della Nuova Russia di Putin. Altre ne vengono minacciate ogni giorno dall’uomo più ricercato del Paese, dall’inafferrabile Emiro del Caucaso Doku Umarov che ha giurato di punire con un bagno di sangue la spericolata provocazione decisa dal Cremlino: imporre a tutti i costi un evento di interesse mondiale come i Giochi Olimpici Invernali in una delle aree a più alto rischio del Paese.
Sochi, la placida località balneare sul Mar Nero che il 7 febbraio vedrà accendere il braciere olimpico davanti alle televisioni di tutto il mondo, è infatti al centro di quello che gli osservatori internazionali come ad esempio l’International Crisis Group sostenuto da Bill Clinton e Kofi Annan, definiscono «il più sanguinoso conflitto esistente in Europa ». Una guerra vera, con una media di 700 morti all’anno, che Putin si ostina a nascondere al mondo limitando le notizie, veicolando tutte le informazioni, incaricando gli oligarchi di fiducia di distrarre l’attenzione con iniziative a effetto come la nascita di pretenziose squadre di calcio tipo Anzhi di Makhachkala o Terek di Grozny che hanno arruolato grossi nomi come Gullit, Roberto Carlos e Eto’o, pur di far dimenticare i massacri e gli orrori che si svolgevano regolarmente a bordo campo.
Le Olimpiadi, nelle intenzioni del Cremlino, avrebbero dovuto stendere un definitivo velo a cinque cerchi sulla guerra da dimenticare. Ma la scommessa rischia di dimostrarsi troppo azzardata. Proprio Doku Umarov, che qui chiamano a ragione “il Bin Laden russo”, aveva lanciato un anno fa
la Guerra Santa contro i Giochi di Sochi. Con il tipico schema da Signore del Terrore: un video registrato da qualche parte delle montagne che dominano il mar Caspio, nel quale compariva con la sua lunga barba nera, una vistosa tuta mimetica e il fedele kalashnikov in pugno. Parole di fuoco: «Noi mujahiddin useremo tutti i mezzi consentiti da Allah per impedire che si svolgano i Giochi sulle ossa dei nostri antenati e delle migliaia di musulmani sepolti nelle nostre terre».
Parole che infervorano quell’incredibile miscuglio di popolazioni e etnie che abitano quelle terre (i ceceni, i cabardini, i circassi,
gli avari, i chazari, gli abcazi e altre decine) accomunati quasi sempre da un atavico rancore nei confronti della Russia e da un po’ di tempo omogeneizzati da una fede islamica sempre più integralista e vicina ai dettami della famigerata Al Qaeda.
Putin è preoccupato, invoca
misure d’emergenza per «garantire la sicurezza ad ogni cittadino russo», ha già stabilito ossessivi controlli per ogni partecipante ai Giochi. Sa bene che Umarov è un nemico pericoloso è abile ma anche ben finanziato e organizzato. Questo quarantanovenne ingegnere votato alla guerriglia sa
usare bene i tasti della religione e quelli della voglia di indipendenza di quelle terre. Sa emozionare la sua gente evocando le rivolte antirusse dell’ottocento soffocate a fatica dagli Zar. E sa anche suscitare la “solidarietà islamica internazionale” quando si rivolge ai «fratelli che combattono in Iraq, Afghanistan, Somalia e Palestina ». Il suo capolavoro strategico più recente è stato quello di inviare volontari delle sue montagne a combattere al fianco dei ribelli siriani che si oppongono al presidente Assad protetto da Mosca. Che siano o meno collegati da una alleanza finanziaria o militare, tutti gli integralisti islamici
del mondo hanno adesso un nemico comune: le Olimpiadi di Sochi.
Per questo mentre nei giorni scorsi tutta la stampa mondiale si occupava dei soliti problemi organizzativi comuni a tutti i grandi eventi sportivi, Putin sapeva già che il problema era diverso e ben più grave. E rivedeva come in un incubo una vicenda avvenuta a poche centinaia di chilometri dalla “sua” Olimpiade: l’esplosione, nel 2004, della tribuna d’onore dello stadio di Grozny, capitale della Cecenia, con la morte tra gli altri, del presidente Ahmad Kadyrov, fido alleato di Mosca. Era lo stadio più controllato e sicuro di Russia. Ma l’esplosivo stava già da anni dentro a un pilastro. Piazzato con spaventosa lungimiranza in attesa dell’occasione propizia. E tenuto d’occhio dagli stessi fantasmi che adesso minacciano l’evento più importante e più atteso per la Nuova
Russia dell’Era Putin.

DAL NOSTRO INVIATO
MOSCA

Sergei Gonciarov, lei ha comandato il gruppo antiterrorismo “Alfa” del Kgb-Fsb e dirige adesso la Commissione sicurezza della Duma di Mosca, di cui è deputato. Secondo lei chi c’è dietro questi attentati?
«Non esiste un solo mandante né un centro di coordinamento per attentati del genere. Il problema è che noi abbiamo sempre parlato del Caucaso del Nord come di un “covo di terroristi”, senza accorgerci che gruppi di integralisti islamici si sono diffusi in tutto il Paese, e che spesso operano senza alcun legame fra di loro. Sono cellule di jihadisti composte da meno di una decina di persone, perciò più difficili da fermare con i metodi tradizionali dei servizi segreti ».
Qual è il loro obiettivo?
«Non hanno nessun obiettivo in mente. L’unico motivo della loro guerra è l’odio per gli infedeli ».
Perché Volgograd è finita nel loro mirino
due volte in due mesi?
«A ottobre, la kamikaze si è fatta saltare a Volgograd per errore: si stava recando a Mosca ma la bomba è esplosa a causa di un malfunzionamento. Stavolta, invece, credo che i terroristi abbiano capito che le forze di polizia locali non avevano tratto lezioni dall’attentato precedente, poiché non avevano applicato le misure di sicurezza adeguate. Nella loro ottica, Volgograd era rimasta un “anello debole”, e hanno perciò deciso di colpirla nuovamente».
Due giorni fa, un’autobomba è esplosa a Pjatigorsk, città molto vicina a Sochi. Quanto quest’attività terroristica rappresenta un pericolo per i Giochi invernali?
«So che il Cremlino sta investendo molti mezzi per garantire la sicurezza dei Giochi. Però questi segnali sembrano davvero inquietanti. Bisognerà triplicare gli sforzi di tutti coloro coinvolti nella sicurezza, i quali dovranno fare un salto qualitativo per proteggere pubblico e atleti».
(p.d.r.)

LA STAMPA
ANNA ZAFESOVA


Donna kamikaze
fa strage a Volgograd
È allarme per Sochi
L’esplosione in stazione: almeno 16 morti e 40 feriti “Matrice islamica”. Cresce la paura per le Olimpiadi

Anna Zafesova

Almeno 16 morti, più di 40 feriti e la paura che torna ad avvelenare Capodanno, la festa più amata dai russi. Una bomba alla stazione centrale di Volgograd ha fatto ripiombare la Russia nell’incubo del terrorismo islamista, alzando l’allarme per le Olimpiadi di Sochi, che tra un mese dovrebbero segnare il trionfo d’immagine del Cremlino. Per incrinare il quadro di pace e stabilità è bastata una ragazza con il corpetto esplosivo addosso che si è infilata nell’atrio della stazione. Per accedere alla sala d’aspetto bisogna superare il metal detector e sottoporre i bagagli ai raggi X: controlli introdotti dopo che due anni fa una kamikaze cecena ha fatto 35 morti nell’aeroporto Domodedovo di Mosca. Il 29enne poliziotto Dmitry Makovsky ha notato tra la folla - era circa l’una, stava per arrivare il treno dalla capitale - una ragazza visibilmente nervosa e si è avviato verso di lei per controllare i documenti. Ma la terrorista, rendendosi conto di essere in trappola, ha attivato la bomba.

La potenza dell’esplosione è stata tremenda: il monumentale edificio staliniano è sobbalzato, le pesanti porte ridotte in schegge, l’onda d’urto ha scaraventato i passeggeri fuori dalle finestre. Sul luogo della strage è stata ritrovata, secondo l’agenzia Lifenews, la testa della terrorista, anche se secondo fonti dell’Interfax l’attentatore sarebbe invece un uomo, il russo Pavlov, e l’esplosione avviene quando poggia il suo zaino sul nastro del controllo bagagli. Ma in attesa del test del Dna i sospetti puntano soprattutto su Oksana Arslanova, del Daghestan, vedova del «generale» della guerriglia islamica Validzhanov e compagna di un altro ribelle. Era ricercata da un anno, e il suo nome era stato fatto, insieme a quello di altre due sue compagne, come quello di una «bomba umana» già due mesi fa, quando la sua amica Naida Asiyalova si è fatta esplodere in un autobus a Volgograd, facendo sette vittime.
Il fatto che la città sul Volga diventi teatro di una strage suicida per la seconda volta in così poco tempo ha fatto scattare la caccia a una cellula di terroristi locale. In Cecenia, nel Daghestan e nel resto del Caucaso gli attentati sono all’ordine del giorno: più di 50 bombe solo nel 2013, l’ultima tre giorni fa a Piatigorsk, con tre morti. Ma l’epoca delle spettacolari prese di centinaia di ostaggi in territorio russo sembra tramontata, anche perché la guerriglia indipendentista è stata decimata, i suoi leader storici uccisi e le misure di sicurezza elevate a livelli quasi mediorientali. È vero che l’ultimo capo ribelle importante, Doku Umarov, ha chiamato qualche giorno fa a colpire le Olimpiadi di Sochi. Ma è vero anche che Volgograd è a 700 km dalla capitale dei Giochi. E la dinamica di entrambe le stragi è identica: sia Arslanova, sia Asiyalova si sono fatte esplodere nel momento in cui si sono viste scoperte. Secondo la scrittrice ed esperta di Caucaso Yulia Latynina, quel che resta della guerriglia, piccole cellule nelle quali l’islamismo ormai prevale sul nazionalismo, continua a puntare solo a Mosca. Ma per una ragazza con sembianze caucasiche attraversare mezza Russia è sempre più difficile, e così a venire colpita è la prima grande città snodo di trasporti che riescono a raggiungere nel loro viaggio verso la strage.
Schegge impazzite di una guerriglia decapitata, ancora più difficili da intercettare. Putin ha ordinato di trovare e punire i colpevoli, il presidente ceceno Ramzan Kadyrov propone «punizioni senza limiti» per i terroristi che abitano a casa sua, e sui social network esplode un’ondata di odio contro i caucasici, «culi neri» da «sterminare». Nella ex Stalingrado le celebrazioni di fine anno sono state sostituite da un lutto di tre giorni, e i russi tornano ad avere paura di morire mentre vanno alla stazione a prendere la nonna per il cenone. E due «vedove nere» della stessa cellula, Zaira Alieva e Janet Tsakhaeva, sono ancora a piede libero, forse intente a raggiungere a loro volta Mosca, o Sochi.