Aldo Grasso, Corriere della Sera 28/12/2013, 28 dicembre 2013
«MASTERCHEF», LA CUCINA È RACCONTO
Su Skyuno ha da poco preso il via l’attesa nuova edizione di «Masterchef Italia» (giovedì, 21.10). Dalle prime puntate di questa terza stagione (l’altra sera 601.871 spettatori di media) sono emerse con tutta evidenza almeno tre cose: la prima è che la giuria continua a essere uno dei punti di forza del programma. Carlo Cracco, Bruno Barbieri e il grande Joe Bastianich hanno raggiunto un buon equilibrio di squadra, che però non appiattisce mai le loro spiccate individualità. La speranza è che non eccedano nel caricare certi tratti della propria personalità che alla lunga rischiano di trasformarli in macchiette. La seconda cosa è l’aspetto che davvero differenzia «Masterchef» da tutti gli altri programmi di cucina, cioè la capacità di trasformare i piatti in racconti, in occasioni per intessere una storia.
Tutte le sequenze del programma possono essere lette su due livelli: il primo è quello dell’alchimia degli ingredienti, della loro certosina preparazione, della fondamentale fase dell’impiattamento. Il secondo è quello della storia che c’è dietro a ogni piatto, che racconta il vissuto e la personalità del concorrente: è così che si mischiano voglia di riscatto, arroganza, sfida, il senso di un’ultima occasione. Quando i due livelli sono ben bilanciati, «Masterchef» è capace di momenti di alta scrittura televisiva, e l’edizione italiana diventa persino più bella di quella statunitense. L’impressione è che in questa prima fase del talent, che ha portato alla composizione della classe dei 20 aspiranti chef, si sia puntato molto su una (riuscita) costruzione dei personaggi, con qualche concessione a una vena «melodrammatica» nelle storie (in studio si è pianto molto). L’ultima cosa è che non c’è niente di più insidioso di un piatto di spaghetti al pomodoro. Anche in cucina, come nella vita, nella semplicità si nascondono le sfide più impervie.