Piero Ostellino, Corriere della Sera 28/12/2013, 28 dicembre 2013
QUELLA STRANA PAURA CHE FRENA LE PAROLE
C’è una vecchia pagina di Croce sulla quale quanti — editori, giornalisti, lettori — seguono le vicende nazionali attraverso i media dovrebbero riflettere. Scrive Croce: «Tra i “doveri” sembra che ce ne sia uno molto strano: il dovere, in circostanze date, di non pensare. Ed è un dovere del quale, in verità, abusano gli uomini impetuosi, pronti sempre a dire: “Qui, non si tratta di pensare ma di agire”; “Io mi conduco così, e non sto a stillarmi il cervello sul come debba condurmi”; e simili.
Ma gli uomini impetuosi non considerano che quel dovere è stato escogitato non per essi, ma proprio per i loro contrari, per gli irresoluti e paurosi. Si sa che cosa sia la paura: è una rinunzia al fare per l’indagine senza fine degli ostacoli e dei rischi, che il fare incontra sulla sua strada (…) Perché la paura non è limitabile: rassicurata in un punto, si trasporta in un altro e trova sempre un punto nuovo dove trasportarsi. E se una volta si risolve a fermarsi e a convertirsi in coraggio, non si vede perché non debba compiere questa conversione da prima, e perché rinunzi o abbia rinunziato a tanta parte di operosità. L’errore, da cui il pauroso si trova avvinto, è, insomma, l’idea di una vita che non sia al tempo stesso pericolo di morte. E quando gli si dice che egli ha il dovere di non più pensare ma di agire, lo si esorta semplicemente a smettere il perseguimento di ciò che non troverà mai, abbandonare un problema, che non è problema perché è una folle immaginazione. Lo si esorta, dunque, non già a non pensare, ma anzi a pensare sul serio (…).
Ma c’è un’altra opposizione al “pensare”, che vien mossa in nome della “fede”, sembrando che le due cose stiano tra loro in contrasto e che l’una debba sostituire l’altra, o ripartire con l’altra in buon accordo il campo del sapere. Questa seconda concezione è, anzi, la più comune: tirandosi volentieri una linea per metter di qua ciò che spetta al pensiero, e di là ciò che è materia di fede; o, anche, collocando la fede a capo del conoscere, e dando al pensiero ufficio secondario o sussidiario, che sarebbe quello di ragionare su supposti di fede. Senonché, tutto ciò è falso, e di vero c’è soltanto che, quando sorge la fede, cessa il pensiero, e all’inverso; ossia la distinzione tra due diverse concezioni spirituali, le quali, appunto per questo, né si identificano l’una con l’altra, né l’una distrugge l’altra, né si spartiscono tra loro in buon accordo l’unico campo. Ma perché, quando sorge la fede, cessa il pensiero? Perché la fede non è altro che il risultato del pensiero, e solo sul pensato si forma la tranquilla coscienza di possedere il vero, di essere rischiarati, di sapere quel che occorre per ben condursi praticamente, o in questa e in quella particolare situazione».
Croce parlava di paura quando, a fascismo instaurato, era comprensibile avere paura a parlar chiaro. Oggi, una cappa di paura e di conformismo è scesa sui media. Ma, in un Paese libero qual è (ancora?) il nostro, non avere paura non vuol dire avere coraggio. Significa (solo) fare il proprio mestiere.