Rita Querzé, Corriere della Sera 28/12/2013, 28 dicembre 2013
LE COOP CHIAMANO EATALY NASCE LA «CITTÀ DELL’ALIMENTARE»
Un parco tematico dedicato alle eccellenze italiane dell’alimentare. Si chiamerà «Eataly World» (ma sull’insegna si sta ancora ragionando) e sorgerà a Bologna, negli 80 ettari oggi solo parzialmente utilizzati dai mercati generali (per rendere l’idea, la Citta del Vaticano si ferma a 44 ettari). L’obiettivo è aprire i battenti durante l’Expo 2015 in modo da sfruttare l’abbrivio generato dalla grande esposizione. La gestione del parco sarà affidata alla Eataly di Oscar Farinetti.
Si tratta di una operazione a capitale misto. Quello pubblico viene messo in gran parte dal Comune di Bologna tramite Caab, la società che gestisce i mercati generali: in tutto 55 milioni, il valore dell’area così come è oggi. Quello privato ammonta a 40 milioni, ma un’altra decina starebbero per aggiungersi a gennaio. Coinvolti nella partita ci sono Coop adriatica e poi, in ordine decrescente di impegno economico, Lega Coop, Intesa San Paolo, Camera di commercio di Bologna, Unindustria Bologna, Confcooperative (include investitori diversi come Emilbanca, Ascom, Poligrafici printing), con fondi personali il presidente della Camera di commercio di Bologna, Giorgio Tabellini, Fondazione Carisbo, Fondazione del Monte, Unendo energia spa, Enpaia (Fondo periti agrari e agrotecnici). Insomma, il mondo delle coop in forze, insieme con le banche e le associazioni che rappresentano il mondo produttivo del territorio. A questi bisogna aggiungere Prelios, la società dei fondi immobiliari, che si è aggiudicata lo scorso 19 dicembre la gestione di un fondo costituito ad hoc, il fondo Pai, acronimo di Parchi agroalimentari italiani. Il plurale non è una svista, nelle ambizioni dei promotori non si esclude di replicare l’esperienza in altre città. All’operazione è interessato il fondo immobiliare The link di Hong Kong (attesi i suoi rappresentanti in visita a febbraio a Bologna). Ma il coinvolgimento di capitali esteri fa storcere il naso a molti.
L’idea del parco alimentare e venuta ad Andrea Segrè, presidente di Caab, società che gestisce i mercati generali. «Il sindaco (Virginio Merola, Pd, vicino a Matteo Renzi, ndr ) aveva parlato chiaro: niente centri commerciali — racconta Segrè —. Il 30 novembre 2012 siamo andati da Farinetti a presentare l’idea del parco tematico. Vista la sua disponibilità ci siamo dati due obiettivi: trovare investitori privati disposti a mettere almeno 40 milioni di euro nell’operazione. Avere la disponibilità dei grossisti dell’ortomercato a trasferirsi subito in un’area limitrofa. Entrambi sono stati raggiunti entrò la fine del 2013, come ci eravamo proposti. Ora il mio compito resta quello di vigilare sulla realizzazione del progetto».
All’interno del parco saranno rappresentate tutte le principali filiere dell alimentare italiano: dal grano alla produzione della pasta, passando per il mulino, dalle viti alle botti, alle bottiglie, dal pomodoro ai laboratori di lavorazione. E ancora: dall’ allevamento dei maiali alla stagionatura dei prosciutti, dalle stalle con le vacche al confezionamento del latte. L’obiettivo a regime, nel 2019, è generare 86 milioni di fatturato l’anno, compresi i servizi e gli esercizi non alimentari, di cui 17,5 di valore aggiunto. Sul fronte dell’occupazione, le stime (fornite da Ey-Tas, Transaction ad advisory services) parlano di 1.485 lavoratori coinvolti direttamente nel parco più oltre 3.500 nell’indotto. Si parla di una remunerazione del capitale del 7 per cento.
Nel fondo Pai il Comune di Bologna al momento ha la maggioranza assoluta delle quote ma potrebbe scendere sotto il 50 per cento senza troppi traumi con l’arrivo di nuovi investitori privati. Tra questi ultimi, al momento il più solido, con 10 milioni mobilitati nell’operazione, è Coop Adriatica (azionista, tra l’altro, anche di Eataly che invece partecipa con la quota base di un milione).
I cantieri partiranno a marzo. E non è escluso che facciano venire un po’ di invidia a Milano, dopotutto quella del parco tematico alimentare poteva essere un’idea per la riconversione delle aree Expo dopo il 2015. Per quanto riguarda il nome del progetto, si era parlato di F.i.co, Fabbrica italiana contadina. Ma sotto le due torri non a tutti piace.«Te lo immagini come lo pronuncerebbero gli americani? “Faico” proprio suona male».