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 2013  dicembre 28 Sabato calendario

TUTTI PAZZI PER JEP. I NUOVI CODICI DELLO STILE ITALIANO

L’abito blu notte per le feste eleganti, quello di lino bianco con il Borsalino e le scarpe bicolori per il giorno (con i calzini beige chiari, tocco da vecchissima scuola che funziona se la classe è classe vera), la giacca rosso pompeiano e quella arancione perché non c’è nulla di più attraente della sprezzatura, la pochette nel taschino anche quando si guarda il panorama dalla terrazza di casa, sdraiati sull’amaca con un drink in mano.
La grande bellezza che in questi giorni conquista l’America (The New Yorker scrive «il volto di Toni Servillo è uno dei tesori del cinema moderno», The New Republic travolta dall’entusiasmo butta lì un volutamente esagerato «Servillo meglio di Fellini», con New York Times e Los Angeles Times che pubblicano recensioni da incorniciare, la nomination al Golden Globe, il cammino verso l’Oscar con l’ammissione alla shortlist per la nomination a miglior film straniero) riceve applausi senza budget da kolossal o effetti speciali: o meglio, gli effetti speciali sono la bravura di Paolo Sorrentino, la fotografia di Luca Bigazzi, il volto di Servillo (cfr The New Yorker o quel titolo di «giocoliere di nuances» del quale l’ha insignito The Nation), la colonna sonora che mescola Carrà e Venditti con Górecki e Martynov. Oltre, ovviamente, all’effetto speciale numero uno: Roma. Che nell’incipit stronca subito un turista con il suo panorama.
Ma i costumi pensati da Daniela Ciancio (che, d’altronde, ha studiato con Piero Tosi, il più grande) sono la star segreta del film, e uno dei motivi per i quali all’estero è piaciuto così tanto (americani a parte, basta leggere le recensioni dei britannici Daily Telegraph e The Guardian). Gli abiti di Toni Servillo sono fatti a Napoli come il suo personaggio, Jep Gambardella: «made in Naples» o meglio alle porte della città, a Casalnuovo, nel laboratorio di Cesare Attolini, storica sartoria napoletana con 150 sarti, controllo qualità maniacale e 90% del fatturato realizzato all’estero.
Cesare è figlio di Vittorio che rivoluzionò la giacca inglese negli anni 30 togliendo fodera e spalline e rendendola quasi leggera come una camicia; oggi continua a dirigere la casa affidata ai figli Massimiliano e Giuseppe. Che hanno curato personalmente le prove degli abiti di Servillo (bonus insolito nel mondo del cinema, ha potuto tenere i costumi utilizzati per La grande bellezza ). Le cravatte di Jep Gambardella — che Esquire americano ha paragonato a «un amalgama di Jay McInerney, Tom Wolfe e Gay Talese — sono firmate Tino Cosma, le scarpe Tod’s e Hogan, i cappelli del fiorentino Marzi, gli occhiali Luxottica. Tutto made in Italy.
Perché Jep — il cui sorriso, come ha scritto The New Yorker, «è a metà strada tra Pulcinella e un imperatore deposto, che già pregusta la tristezza che si leva, come fumo, da ogni esplosione di divertimento» — ha 65 anni, dieci più di Servillo: usare un attore più giovane permette a Sorrentino e Ciancio di regalare a Jep un guardaroba eccentrico. E sapendo quanto è difficile dosare il colore nel guardaroba maschile Ciancio con gli abiti di Attolini usa un solo elemento fortemente colorato su una tela neutra (a parte il fazzoletto da taschino che, contro la tendenza attuale abbastanza minimalista, Jep porta esibito senza complessi).
E in una stagione da Oscar nella quale impazzano il Leonardo DiCaprio yuppie truffaldino anni 80 (vestito Armani) di The Wolf of Wall Street e gli anni 70 con paurosi mega-revers e mega-colletti per gli uomini (peraltro le donne in Halston vintage sono sempre meravigliose) di American Hustle , è bello vedere lo stile senza tempo di Jep Gambardella, che dimostra come l’Italia avrà tanti problemi ma non quello di non sapere cos’è la bellezza.