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 2013  dicembre 28 Sabato calendario

LA FRANCIA ALLA RICERCA DEL PROUST PERDUTO


PARIGI AL CONTRARIO di Sainte- Beuve, Proust sostiene che l’opera di uno scrittore deve essere giudicata senza preoccuparsi della vita del suo autore. Dall’aldilà Sainte-Beuve, complice degli indiscreti, si vendica alla grande poiché Proust è la vittima esemplare del metodo critico che cerca di squalificare. Col tempo molti saintebeuviani e altrettanti proustiani scoprono che in fondo la verità sta nel mezzo. Ma una muta, sapiente o poliziesca, di ricercatori è sempre lanciata all’inseguimento dei segreti di un artista che pensava di aver creato un paravento con i sette volumi della Recherche.
L’interesse per la sua vita può slittare nel feticismo, arrivare a qualcosa di simile a una perversione in cui si raggiunge la voluttà imitandolo, ricercando i suoi oggetti o ricalcando le sue orme.
Il museo dell’Aja, in cui si trova la Vista di Delft di Vermeer, davanti alla quale nella Recherche muore lo scrittore Bergotte, è da anni un luogo di pellegrinaggio per un buon numero di proustiani. Un particolare appena visibile del quadro, «il pezzetto di muro giallo» (le petit pan de mur jaune) attira l’attenzione di Bergotte poco prima di crollare stecchito, durante una mostra parigina di Vermeer. Quella macchia sul famoso dipinto (che a me non sembra gialla, ma piuttosto rosa) è per i proustiani doc una reliquia, sulla quale sono stati scritti saggi e guide per i pellegrini.
I gusti pittorici, musicali, gastronomici, floreali, letterari, sessuali, come l’asma, gli amici, gli amanti reali o presunti, la corrispondenza, le pellicce, le inalazioni, insomma tutto quel che riguarda Proust è oggetto di analisi e interpretazioni, nelle università e nei salotti. Fatta questa premessa - che ho appena riferito quasi alla lettera - Jean-Paul e Raphaël Enthoven, padre e figlio, il primo scrittore-editore il secondo professore di filosofia, hanno deciso di dedicare un libro all’autore che frequentano per abitudine e passione. E alle liturgie autorizzate e alle perizie sapienti, che per loro oscurano spesso la limpida figura di Proust, hanno opposto il capriccio e la semplicità.
Ne è risultata un’opera ( Dictionnaire amoureux de Marcel Proust, editore Plon-Grasset), «parziale, incompleta, disinvolta, seria, canzonatoria, “innamorata”», come la definiscono gli stessi autori. Ma le settecento pagine degli Enthoven possono essere lette anche come un breviario in cui (grazie a un velato snobismo) è escluso il banale, è premiata la leggerezza e quindi consentita l’ironia. Un’ironia affettuosa in costante equilibrio, come un acrobata. Un passo falso e si cade nel cattivo gusto.
Il Dizionario comincia con la «a», agonia, quella di sabato 18 novembre 1922. L’ordine alfabetico esige paradossalmente che l’incipit sia la morte di Marcel Proust. Il quale nelle ultime pagine della Recherche fa dire al Narratore che diventando scrittore sarebbe morto di meno. Sarebbe sopravvissuto con la sua opera. Ma quel giorno, in rue Hamelin, quando è già sera, la morte non fa della letteratura. La letteratura prenderà poi la sua rivincita nei mesi, negli anni, nei decenni, nei secoli che seguiranno. Sono cent’anni che il primo volume, Dalla parte di Swann, è stato pubblicato dall’editore Grasset. Al momento, quel giorno di tardo autunno nella fredda casa parigina del sedicesimo arrondissement, Proust cessa di respirare sotto gli occhi del fratello Robert e di Céleste, la governante. Il fratello l’ha costretto a cambiar posizione nel letto per praticare ormai inutili cure, e gli chiede se quel movimento l’ha affaticato. Proust risponde: «Oh! Oui mon cher Robert…». Saranno le ultime parole, di cui la leggenda affamata di solennità potrà fare scarso uso, se non per sottolineare un’estrema, dolce fragilità.
Prima, nel delirio, Proust ha indicato a Céleste una «grande donna nera» che si muove nella stanza e gli fa paura. Era la madre, sempre vestita a lutto dopo la morte del marito? Oppure la donna «con gli occhi tristi, nei veli neri» che aveva visto nelle Scene della vita di Sant’Orsola del Carpaccio, all’Accademia, a Venezia ? Era probabilmente soltanto la morte, sul cui volto erano riassunti tanti altri volti. Prima di entrare in agonia, Proust ha avuto un pensiero gentile per l’amico Léon Daudet e per il dottor Bize. Ha fatto mandare a entrambi un mazzo di fiori. Con il medico che lo cura è stato sgarbato e vuole scusarsi. Gli Enthoven, padre e figlio, pensano a Socrate che prima di morire manda un gallo a Esculapio. Ma il filosofo saldava un debito, mentre il gesto dello scrittore era dettato da un sentimento elegante.
Sulle lettere dell’alfabeto, cosi come è scandito il Dizionario, scorrono spesso con humour rispettoso la vita di Proust e le sue opere. Le voci sono tante, centinaia: Agostinelli (l’autista e aviatore ammirato da Proust), l’amore, l’asma, il bacio (della sera), Bergson, catleya (l’orchidea di Odette), Céleste, Cocteau, il desiderio, i duelli, Gide, l’omosessualità, le scarpe (nere o rosse), Schopenhauer, Spinoza, la cattiveria, la menzogna (per omissione)… C’è persino una voce dedicata a Curzio Malaparte, autore di un atto unico intitolato Du côté de chez Proust, rappresentato nel ’48 a Parigi, con Pierre Fresnay nel ruolo dello scrittore. Non era materia per l’autore di La pelle e fu un fiasco. Lo meritava.
Luchino Visconti è invece ricordato come il regista del miglior film sulla Recherche.
Un film virtuale, perché mai realizzato. Con Suso Cecchi D’Amico, il regista ha scritto la sceneggiatura di À la recherche du temps perdu, ha visitato i luoghi, ha scelto gli attori (Marlon Brando, Greta Garbo, Alain Delon, Helmut Berger…), ma poi ha rinunciato all’impresa. Era troppo proustiano per tentarla. Ed ora si pensa che il suo film sia comunque il migliore, appunto perché non realizzato. Lo si può sognare.
Alla lettera «j» del Dizionario è raccontato l’incontro del 18 maggio 1922, al quale da decenni i biografi dedicano spazio per dire che è stato un fallimento. Marcel Proust e James Joyce, i due più grandi romanzieri del secolo, si trovano quel giorno faccia a faccia ma non hanno nulla da dirsi. Si osservano con distacco, con reciproca antipatia. La cronaca è imprecisa. I testimoni si contraddicono. Inventano. L’evento sollecita l’immaginazione. Ma tutti sono concordi nell’affermare che Joyce e Proust non si sono piaciuti. Secondo George D.Painter (Chatto & Windus, 1959; Feltrinelli 1963) il fatto che due scrittori di genio non siano riusciti ad apprezzarsi, né ad apprezzare l’uno l’opera dell’altro, è un fenomeno comune, istintivo, prodotto da un bisogno di autodifesa. Secondo Jean-Yves Tadié (Gallimard, 1996) i due non si sono capiti. In una lettera all’amica Sylvia Beach, Joyce chiama la Recherche: «La ricerca di Ombrelle perdute da numerose ragazze in fiore … ». E invece di Marcel Proust scrive «Marcelle Proyst».
Quel giorno il ricco, mondano scrittore inglese Sydney Schiff, e la moglie Violet, danno un ricevimento all’Hotel Majestic, in avenue Kleber, in occasione della prima di Renard, l’opera-balletto di Igor Stravinsky. Non lontano dall’Arco di Trionfo, nella grande hall dell’albergo, un annexe del Ritz dove l’orchestra non è ammessa dopo mezzanotte, Sydney e Violet hanno riunito i più grandi nomi di tutte le arti presenti a Parigi. Ci sono Picasso, Chaplin, Diaghilev, Léon-Paul Fargue, Cocteau e, ben inteso, Stravinsky. Non mancano finanza e industria. Ci sono alcuni Rothschild, una Singer (macchine per cucire), e nobili, come i Noailles e i Beaumont. È una ritrovata società della Recherche.
Sydney e Violet Schiff considerano soprattutto un vero successo l’avere tra gli invitati Marcel Proust e James Joyce. Non si conoscono. Il loro incontro è l’avvenimento della serata. Dopo il premio Goncourt, Proust è un ospite ambito, averlo al ricevimento per Schiff è una consacrazione mondana ed anche un occasione per diventare il suo ambasciatore letterario a Londra. Oltre che il traduttore in inglese di parte della sua opera.
Proust è malandato, ha bevuto per distrazione un flacone di adrenalina pura e ha lo stomaco che brucia. Sidney Schiff gli fa trovare bottiglie di birra ghiacciata. Sa che è la sua bevanda preferita. Proust non si toglie i mantelli foderati di pelliccia in cui è avvolto. Cocteau dice che sembra «un Cristo armeno». Meno elegante, un altro invitato dice che è venuto al ricevimento «con la bara» perché ripete di essere moribondo. Proust ha ancora sei mesi esatti di vita.
Joyce arriva a mezzanotte. Barcolla, inciampa nei tappeti, prende un vaso di gladioli per un cameriere. L’altro genio del secolo, l’autore di Ulisse, l’Omero irlandese, è vestito come un barbone e si lamenta per la cattiva vista. Sydney Schiff punta su un colpo mondano e letterario: vuole mettere faccia a faccia Swann e Leopold Bloom. Ma i due non si piacciono. Secondo un’invitata, la duchessa de Clermont- Tonnerre, la conversazione sarebbe stata asciutta. «Non ho mai letto le sue opere, caro Joyce». «Neppure io, caro Proust ». Le testimonianze non sono attendibili. Di fatto non c’è stato un colloquio. Qualche battuta. Poi però prendono lo stesso taxi, quello di Odilon Albaret, il marito di Céleste, la governante di Proust. Ma Joyce scende quasi subito dall’automobile perché accende una sigaretta e Proust con l’asma non sopporta il fumo. La cronaca resta incerta.