Niccolò Zancan, La Stampa 28/12/2013, 28 dicembre 2013
“IO, FELICE SUL TRENO DEL SUD CHE ATTRAVERSAVA LA NOTTE ITALIANA”
Lei è la bambina che mangia un biscotto alle mandorle, seduta su una valigia di pelle marrone. «Erano viaggi massacranti. Arrivavamo alla stazione di Agrigento con quattro ore di anticipo. I bimbi venivano tirati dentro dai finestrini. Capitava anche a me. C’era la corsa ai posti. Avevo paura persino di alzarmi per andare a fare pipì». Mamma Grazia preparava i panini al prosciutto. Portava un barilotto termico con dieci litri di acqua fresca. Papà Giovanni non rinunciava a mezza bottiglia di vino bianco, che accompagnava agli arancini per lenire la malinconia. «I viaggi di ritorno per Torino erano i più duri. Sapevo che non avrei più fatto il bagno per undici mesi. Mi aspettavano i compiti delle vacanze. Vedevo i miei genitori più silenziosi...». Il treno del sole ripartiva in direzione Nord. Era la fine dell’estate.
Per spiegare chi è Rosita Lauria, la bambina fotografata il 23 agosto 1980 alla stazione di Porta Nuova a Torino, bisogna capire chi sono i suoi genitori. Giovanni Lauria è di Palma di Montechiaro, il paese del Gattopardo. Nasce in una casa costruita per metà, uno stanzone con due letti matrimoniali da dividere con i genitori e otto fratelli. Quando a dieci anni dimostra scarsa propensione allo studio, il padre è categorico: «Allora vai a lavorare». Giovanni Lauria va nelle cave di gesso a picconare pietre. Poi fa il contadino. Poi impara a costruire muri a secco. Ma i due ricordi chiave sono altrove, molto lontani dalle sue radici.
Il primo è a Heidelberg, in Germania, dove raggiunge i fratelli più grandi, appena compie vent’anni. Trova subito lavoro. Costruisce strade. Interra cavi elettrici. Prende la patente C, diventa autotrasportatore. È l’estate del 1970. Italia-Germania 4-3. «Entro in un bar pieno di zeppo di tedeschi - racconta - io e una ragazza ci mettiamo al bancone. Segna la Germania. “Bravi”, dico. Segna l’Italia e caccio un grido disumano: gooooool! Ero l’unico italiano. Fiero di esserlo. Mi hanno accolto bene. Nessuno mi ha mai detto che non potevo stare lì».
Il secondo ricordo è una gita sulle colline di Torino, nel giugno del 1971. «Andiamo al bar con un amico e due sorelle. Io noto Grazia. Ci siamo “praticati”. Dopo tre mesi eravamo marito e moglie». Grazia Morrone era partita da Rosarno, Calabria, a settembre del 1965. «Salita» a Torino per stare da una cugina. Per 5 mila lire alla settimana lavorava alla Continental, una fabbrica di fiori di seta. Ma dopo essersi «praticata» con Giovanni Lauria, incinta di Rosita, si è licenziata per badare alla famiglia.
Anche a Torino, come in Germania, si poteva incominciare da zero. Giovanni Lauria impiega tre giorni per farsi assumere ai Mercati Generali: «La ditta Birichìn, distribuzione all’ingrosso di arance, cercava autisti. Ci siamo presentati in tre, ci hanno presi tutti». Camionista, manovale. Assunto alla Fiat alle presse («il lavoro più duro mai fatto in vita mia»), dopo un mese si licenzia per andare alle Ferrovie Italiane come manutentore. Ed è qui che si chiude il cerchio. Giovanni Lauria ripara i freni dei treni che lui stesso prende, ogni estate, per tornare dai parenti. «Erano viaggi epici - ricorda adesso Rosita Lauria - papà ferroviere aveva diritto ai biglietti gratis, ma nessuna cuccetta». Caricavano la 128 rally rossa sull’ultimo vagone. Guardavano le campagne scorrere dai finestrini. «Ogni anno trascorrevamo 15 giorni dai nonni paterni in Sicilia, poi 15 giorni dai nonni materni in Calabria. Tornavamo carichi all’inverosimile di dolci e formaggi, ogni volta come se fosse l’ultima».
Su quei treni nascevano amicizie. Per esempio: i genitori dell’altra bambina ritratta nella foto, quella con la bambola in braccio, si erano ricordati della passione di Rosita per «Cicciobello». In autunno ne avevano portato uno in regalo al papà ferroviere. Rosita Lauria ha ancora, ben piegata in un cassetto, la camicetta ricamata che voleva tenere anche in viaggio, nonostante il parere contrario della mamma. «Eravamo poveri, ma siamo stati molto felici. Gli ultimi anni spensierati della nostra famiglia».
Nel 1986 è nato Angelo, un fratello autistico. Viaggiare con lui è stato più complicato. La famiglia Lauria è rimasta unita a Torino. Negli anni il papà ferroviere è riuscito a comprare due case in città e una in campagna. In via Germagnasca, in un alloggio molto curato, adesso abitano Rosita con il marito Adolfo e le figlie Sara e Sofia. Lei è una psicologa, consulente nel campo della negoziazione. Lui ha appena perso un posto da manager nella grande distribuzione. «È stato un colpo molto duro, ma non ci perdiamo d’animo». In casa c’è un piccolo pianoforte per Sofia, un violino per Sara, una gigantesca televisione in salotto. Rosita Lauria sorride, quasi si sente in colpa: «Quando ero bambina io, non avevo niente di tutto questo. Ma siamo stati bene. È stato bello ritrovarsi in quella foto». Certe volte la felicità è il rumore di un treno che sferraglia nella grande notte italiana.