fra. gri., La Stampa 28/12/2013, 28 dicembre 2013
NUMERI SEMPRE PIÙ RISICATI MAGGIORANZA SUL FILO DI LANA
Nella decisione di lasciar morire il «Salva Roma» c’entrava la ferma perplessità del Capo dello Stato per l’eterogeneità del provvedimento. Ma c’entrava anche una paura inconfessata: che la maggioranza non ce la facesse a garantire i numeri. Da quando Forza Italia è uscita dal perimetro di governo, infatti, ossia dalla fine di novembre, a palazzo Chigi si è materializzato il fantasma di Romano Prodi.
Nel 2006 Prodi combatté diciotto mesi contro i numeri del Senato e aveva una maggioranza ancor più risicata di Letta: 2 voti contro 7. Fu l’epopea tragicomica dei senatori Rossi e Turigliatto, i trotzkisti entrati a Palazzo Madama per caso, divenuti alla fine i killer di quella maggioranza.
Anche adesso, però, seppur tutto nella maggioranza spinge a tenere in vita il governo, c’è ben poco da scialare con appena 7 voti di scarto sull’opposizione, come qualche autorevole parlamentare del Pd non aveva mancato di osservare nelle ultime giornate di tensione parlamentare, quelle per intenderci, che avevano visto il governo impantanarsi nel provvedimento sul «Salva Roma».
La morale, insomma, è che un mese dopo lo scossone deciso da Berlusconi, la maggioranza mostra decisamente la corda. «Garantire il numero legale è diventato un incubo», raccontano al Senato i democrats.
Già, con questi numeri, è sufficiente che si assenti qualche senatore di maggioranza, magari perché malato, o per andare in bagno, e i lavori rischiano di fermarsi. C’è sempre qualcuno del M5S che tiene i conti degli «altri» per pilotare le uscite dall’Aula. E per fortuna - si racconta ancora nei corridoi del gruppo Pd - i colleghi di Forza Italia non sono proprio tra i più assidui nelle presenze, perché altrimenti il problema sarebbe esploso in tutta la sua virulenza.
Appena sussurrato, poi, c’è un altro problema che si sta rivelando grave: con una maggioranza così risicata, il governo non si può certo permettere di fare la voce grossa con i senatori. I peones hanno visto crescere a dismisura il loro peso specifico. Ogni voto, a questo punto, va conquistato, anche con qualche piccola concessione. Come diceva elegantemente il relatore del «Salva Italia», Angelo Rughetti: «Il governo avrebbe dovuto dire più “no” in Senato».
Da qui, da questa larvata contrattazione che si gioca nelle commissioni, ne discende la pioggia di emendamenti che una volta favorisce il viadotto di Frosinone e un’altra le strade di Pescara.
Oltre ai singoli, anche i piccoli gruppi sono divenuti tanto più importanti. Scelta Civica, ad esempio, sta alzando i toni con Letta. Il capogruppo alla Camera, Andrea Romano, fa la voce grossa: «Non si può pensare di tirare a campare e di operare alla vecchia maniera. Noi non staremo a guardare». Ma anche il collega Benedetto Della Vedova al Senato: «Il compito di rispettare i limiti costituzionali in ordine ai decreti legge attiene al Parlamento, ma in primo luogo al Governo. Ci auguriamo che Letta sia per primo in grado di rispettare questo impegno».