Francesco Colamartino, Libero 29/12/2013, 29 dicembre 2013
NON SOLO EURO
Immaginiamo l’Eurozona come un’enorme forma di Emmenthal piena di buchi. Un tempo quei buchi erano le falle lasciate dalla moneta unica, oggi sono i focolai di una reazione all’euro che sta investendo tutta l’Europa: quella delle monete locali. Nel mondo sono oltre 5.000 gli esperimenti di moneta locale, ma è nell’Europa della crisi monetaria che questo fenomeno sta diventando virale. In un periodo in cui il sistema del debito sta portando al collasso molte economie dell’Eurozona e dove l’unica soluzione sembra essere l’illimitato aumento della pressione fiscale, le nuove monete vogliono infondere nuova linfa nelle economie locali strangolate da crisi, tasse e credit crunch. Questi nuovi circuiti monetari non generano interessi e servono solo a rimettere in moto gli scambi, anche perché, il più delle volte, si accompagnano all’euro, senza sostituirlo. La moneta locale non crea debito, dal momento che è divisa in parti uguali fra i membri della comunità che la utilizza, cioè tra le piccole e medie imprese, i liberi professionisti, gli agricoltori, gli artigiani e i semplici consumatori che hanno aderito alla rete monetaria locale e ne riconoscono il valore. Di solito, dietro ognuno di questi sistemi, c’è un’associazione che stampa la moneta locale e la distribuisce gratuitamente tra i membri della rete, autofinanziandosi con piccole quote di iscrizione. L’obiettivo delle monete locali non è quindi abbattere il sistema dell’euro, ma riequilibrarlo in favore dell’economia reale, arginando la speculazione finanziaria a cui sempre più spesso è soggetta la moneta unica, e rilanciare le economie locali tenendo l’euro saldamente agganciato al territorio. Il tutto è condito da una forte avversione nei confronti delle catene degli ipermercati, accusate dai membri di queste nuove comunità monetarie di inondare il mercato interno con prodotti stranieri e di dubbia qualità, senza poi reinvestire nel territorio.
L’IDEA DI COMUNITÀ
La sempre più radicale rivendicazione di un ritorno alla sovranità monetaria ha come perno centrale l’idea di comunità, ovvero di un’economia di prossimità in cui l’uomo possa tornare ad avere il controllo sui processi economici che ora gli sfuggono di mano travolgendolo. L’Europa appare quindi come un’enorme costellazione di esperimenti di moneta locale. Alcuni, come nel caso italiano, hanno raggiunto un’estensione di livello nazionale, altri, come in Gran Bretagna, sono più legati alle singole realtà locali.
Proprio nella cittadina inglese di Bristol dal 2012 si è diffusa una moneta locale, il Bristol Pound. Oggi tutti i cittadini di Bristol fanno la spesa acquistando in Bristol Pound e persino il sindaco, George Ferguson, riceve il suo stipendio nella moneta locale. Dopo un anno dal lancio dell’esperimento, sono oltre 1200 i cittadini con conti correnti in Bristol Pound, 600 le imprese locali che lo utilizzano regolarmente e 500mila le sterline convertite in Bristol Pound.
Ma è nella patria dell’euro, la Germania, che nel 2003 è stato lanciato uno dei primi esperimenti contemporanei di moneta anti-euro, il Chiemgauer. La particolarità di questa moneta è che ogni tre mesi si deprezza del 2%, perciò l’incentivo a spenderla, invece che tenerla nel salvadanaio, è alto. In più chi vuole convertire i Chiemgauer in euro deve pagare una penale del 5%, di cui il 2% va a finanziarie le spese di gestione del circuito e il 3% viene devoluto alle organizzazioni non profit scelte da chi decide di effettuare la conversione.
Dalla fine di quest’estate anche la Francia ha una nuova moneta locale. A Nantes due docenti in odore di eresia dell’Università Bocconi di Milano, Massimo Amato e Luca Fantacci, hanno infatti lanciato il Bonùs. Questo circuito ha una sua banca, il Credito Municipale, partecipata al 100% dal Comune di Nantes, che funziona come una camera di compensazione. Presta cioè i Bonùs alle piccole e medie imprese che accendono un conto presso la banca e fa da intermediario fra le aziende che vantano crediti verso il circuito monetario locale e quelle che, invece, hanno un debito da saldare. Così si annullano i costi e gli interessi sull’attivo e si evita la formazione del debito. In Grecia, dove il sistema economico è già molto prossimo al collasso, la cittadina di Volos ha lanciato il Tem, acronimo di “unità alternativa locale”. Chi diventa membro della rete Tem si vede assegnati un numero di conto e 300 Tem (che poi sarebbero l’equivalente di 300 euro), un importo “di partenza” che in seguito deve essere rimborsato. Se un membro della rete vende qualcosa, gli vengono accreditati dei Tem, con i quali può a sua volta comprare beni di consumo e servizi offerti dagli oltre 1.300 membri della rete su una piattaforma online. In più, ogni sabato, con questi Tem caricati su un conto elettronico, si può fare la spesa in un mercatino tradizionale dal quale è tassativamente bandito l’uso dell’euro. Il sistema è qualcosa di molto simile a un baratto elettronico, visto che basta un sms per pagare ciò che si compra. Ma, soprattutto, non ci sono tasse.
Anche la Spagna, un altro di quei Paesi dell’eurozona che non se la passano tanto bene, ha tra le 30 e le 50 monete locali. Tra queste c’è l’Eco, utilizzata da più di 1.200 catalani per rispondere a necessità giornaliere come cibo, prestazioni mediche, alimentazione biologica e servizi vari. Un Eco equivale esattamente ad un euro e può essere scambiato con delle ore di lavoro o con prodotti e servizi. Gli Eco si possono convertire in euro, ma non viceversa. Il tutto in maniera virtuale. Le transazioni hanno luogo sia tramite una piattaforma online sia nei mercati o negli spazi delle cooperative e il meccanismo è regolato da una vera e propria banca del tempo. Ma in Spagna la cosa più eclatante è che in una cittadina della Galizia, Murgados, oltre 60 esercizi commerciali hanno deciso di accettare pagamenti in pesetas, la valuta precedente all’euro.
IN ITALIA
E infine arriviamo all’Italia. Qui c’è lo Scec, che può essere considerato l’esperimento di moneta complementare che ha avuto maggior fortuna in Europa, anche perché, coinvolgendo 12 regioni, non può essere definito una moneta locale. Lanciati a Napoli nel 2008, sono ormai oltre 12 milioni gli Scec (acronimo di Solidarietà ChE Cammina) emessi in forma cartacea o elettronica. Chiunque si può iscrivere all’associazione Arcipelago Scec e ricevere gratuitamente e subito 100 Scec, in forma cartacea o su un conto online. E ogni anno può richiedere al massimo 500 Scec, una sorta di reddito minimo minimo. I commercianti, i lavoratori autonomi, i professionisti e i piccoli imprenditori che, con le loro attività, accettano in media tra il 10 e il 30 per cento in Scec su ogni pagamento in euro, insieme formano un circuito di oltre 2mila soci, mentre sono più di 12 mila i semplici consumatori che ogni anno ricevono il loro gruzzoletto di Scec, pur non avendo un’attività con cui praticare a loro volta questo tipo di agevolazione.
Un anno fa la prima istituzione italiana ad adottare ufficialmente lo Scec come mezzo di pagamento complementare è stato il IV Municipio di Roma, un realtà di circa 200mila abitanti amministrata da una giunta di centro-destra, più destra che centro.