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 2013  dicembre 29 Domenica calendario

PAGHIAMO PREFETTI PER NON LAVORARE


L’ultima volta, nel consiglio dei ministri del 17 dicembre, su proposta del ministro dell’Interno, Angelino Alfano, il governo autorizzò la nomina di 22 prefetti. Meglio: di altri 22 prefetti. Facendo così salire il numero totale degli alti funzionari dello Stato da 185 a 207. Peccato che le prefetture disseminate lungo la Penisola, in modo da garantire la presenza del potere esecutivo in ogni Provincia, siano «solo» 103. Più le due province autonome di Trento e Bolzano, dove il prefetto assume il ruolo di commissario di governo.
Poi ci sono gli incarichi al Viminale, dove all’interno dei vari dipartimenti (Pubblica sicurezza, Libertà civili e immigrazione, Vigili del fuoco, Personale, Affari territoriali) i gradi apicali sono appannaggio dei prefetti. Ma per quanto le poltrone del ministero dell’Interno siano numerose, sono pur sempre quasi il doppio più del necessario i burocrati di Stato di rango prefettizio. Con l’ulteriore paradosso che la proliferazione dei rappresentanti statali coincide con l’avvio della marcia del disegno di legge governativo finalizzato a svuotare di competenze le Province in vista della loro abolizione. Così, oltre al danno, c’è l’immancabile beffa. Perché se da una parte lo Stato punta al risparmio con la cancellazione degli odiosi Enti intermedi, dall’altra l’arrivo dei nuovi prefetti si traduce in un aggravio di costi per le casse pubbliche. Basti pensare, infatti, che un prefetto rispetto a un questore guadagna, all’incirca, duemila euro in più al mese. E solo come stipendio base (6.500 euro contro 4.500). Soldi ai quali vanno poi aggiunte le varie indennità. Più i relativi benefit: sono pochissimi i prefetti che hanno rinunciato all’automobile di servizio con relativo autista. «Governo Letta, non era necessario ridurre gli sprechi?», attacca Fratelli d’Italia.
«RESTI A DISPOSIZIONE»
È lo stesso governo ad ammettere che parte dell’ultima infornata di nomine ha poco a che vedere con la necessità di irrobustire la macchina statale. È sufficiente scorrere il comunicato di Palazzo Chigi. Su 22 promozioni, solo sei sono servite a coprire le prefetture rimaste vacanti (Bolzano, Oristano, Lodi, Gorizia, Ravenna e Agrigento). Il resto delle nomine è servito per permettere ai destinatari di ricoprire incarichi per i quali la legge prevede come requisito il possesso del grado di prefetto.
Si tratta dei cosiddetti «posti di funzione». Le dirigenze dei dipartimenti del Viminale, come detto, ma anche i ruoli di commissario e vicecommissario straordinario. Come quello, ad esempio, per «l’espletamento delle procedure finalizzate all’individuazione dei siti e alla realizzazione di impianti di discarica nei territori delle province di Napoli e di Salerno». O quelli per coordinare il «gruppo di lavoro per la legalità e la sicurezza Progetto Pompei» e per la «gestione del fenomeno delle persone scomparse ».
Alcuni prefetti freschi di nomina, però, sono stati semplicemente collocati «a disposizione con incarico ai sensi della legge 410/91». Nel senso che continuano a svolgere il loro lavoro attuale, ma nel frattempo sono stati omaggiati del rango di prefetto. Con relativo beneficio in busta paga.
I paradossi non finiscono qui. Perché alla carriera prefettizia, formalmente, si accede solo per concorso. Nell’ottobre 2012, infatti, ne è stato bandito uno per reclutare 30 nuovi, giovani prefetti. La prova preselettiva si è svolta a maggio di quest’anno. Il comunicato di Palazzo Chigi, però, dimostra che le strade per salire di rango sono molteplici. La più battuta passa per la «chiamata diretta» da parte del governo, spesso per premiare i funzionari che nel corso degli anni si sono dimostrati più fedeli. La terza via è riservata ai dirigenti dello Stato che transitano da altre amministrazioni.
COME I MAGISTRATI
Un capitolo a parte lo merita il meccanismo della valutazione delle attività svolte dai dirigenti di carriera prefettizia. La competenza, proprio come accade per i magistrati con il Consiglio superiore della magistratura, è degli stessi prefetti, che la esercitano attraverso una Commissione consultiva presieduta dai capi dei dipartimenti del ministero dell’Interno, e a ricasco con apposite commissioni di valutazione per la progressione della carriera. Mentre per i dirigenti collocati in «posizione di disponibilità » l’ultima parola spetta al capo del dipartimento per le politiche del Personale del Viminale.