Edoardo Montolli, Libero 28/12/2013, 28 dicembre 2013
OLTRE CENTO LIBRI, SETTE PSEUDONIMI PESSOA DEI ROMANZI DI GENERE
La mattina traduce libri di autori stranieri, il pomeriggio scrive i suoi. La sera li presenta. Va avanti così da una vita, inframmezzando le giornate con ore di arti marziali dal nome impronunciabile di cui è maestro ad altissimo livello. Stefano Di Marino, alias Xavier Le Normand nei romanzi siglati Vlad, alias Frederick Kaman in quelli horror e d’avventura, alias Stephen Gunn nella ventennale serie de Il Professionista per la collana Segretissimo di Mondadori, è senza ombra di dubbio il più prolifico scrittore italiano. Il famoso detto sul romanzo nel cassetto non è cosa per lui. «Sinceramente ho perso il conto di quanti libri siano usciti. Credo di aver superato quota 100, se contiamo i romanzi, i racconti, i saggi sul cinema, le arti marziali, i libri di viaggio. L’ispirazione per scrivere tutti i giorni arriva da sola. Forse perché considero il mio un mestiere, come il falegname o il panettiere. Alla mattina mi alzo e inizio a lavorare. Ecco il segreto. Ho dedicato la vita alla narrativa popolare in tutti i suoi aspetti».
Si può dire che sei il Pessoa pop?
«La cultura popolare è sempre stata la mia grande passione. La narrativa popolare è principalmente intrattenimento, raccontare storie inventate o divulgare quelle vere, di ogni tipo. In maniera semplice, piacevole, corretta ma non pedante. La cultura popolare per essere tale deve essere facilmente fruibile da tutti, per modalità e prezzi. Non deve insegnare qualcosa. Ognuno ha diritto a sviluppare i suoi metri di giudizio, cercare di divulgare un’ideologia, di qualsiasi genere, travestendola da intrattenimento sarebbe disonesto. Il mio obiettivo è una cultura per tutti, divertente, appassionante. Per chi la produce come per chi ne usufruisce. Niente di più e niente di meno».
Com’è iniziata?
«Per buona sorte, da bambino i miei non lesinavano mai la paghetta per i libri. Poi è nata la voglia di provare a scriverli. Ho pubblicato il primo romanzo, Per il sangue versato (Mondadori) nel 1990. Prima di allora ne avevo scritti a macchina e a mano, almeno un centinaio. Da sette anni non ricordo periodo della mia vita in cui non ho scritto».
Tantissimi dei tuoi libri li hai scritti sotto uno pseudonimo straniero.
«L’uso dello pseudonimo è sempre imposto. A volte si rende necessario considerata la grande prolificità. Basti pensare ad esempi come Ed McBain o John Creasey che ne aveva cento. Personalmente ho cominciato a usarli perché i generi che mi piacevano di più, il thriller e la spy-story, erano generalmente anglosassoni e così l’editore era convinto che si vendesse di più. Un po’ come per gli attori. Ma ormai il thriller italiano è stato sdoganato. Per cui da un po’ li ho eliminati quasi tutti, tranne Stephen Gunn per Il Professionista. Dopo più di 40 episodi e due decadi di successo i lettori sanno perfettamente chi sono, ma non avrebbe senso cambiare il nome in copertina creando confusione».
Una serie ventennale non è facile. Solitamente le saghe si concludono con trilogie. Chi è Il Professionista?
«Vorrei dire che sono io. Non è vero, ovviamente. Però siamo due persone che da ragazzi inseguivano il sogno dell’avventura. E lo abbiamo realizzato, solo che io uso il computer e lui la pistola. Il professionista è, per me, un serial d’avventura dalle molte sfaccettature. La spy story alla 007, ma anche quella più classica, l’avventura, l’hard-boiled. È un personaggio che ha delle caratteristiche umane molto definite, ma si presta a molte situazioni differenti, per questo piace. Non sai mai se nella prossima avventura sarà a Hong Kong o a Milano. È anche un personaggio molto europeo più che italiano, perché ci sono sì parecchi elementi legati alla nostra cultura popolare, però ci sono anche moltissime influenze europee, specie francesi».
Com’è che l’editoria tradizionale, nonostante il seguito, non ti trova molti spazi in libreria?
«Mah. Per la verità, anche lì le mie soddisfazioni me le sono tolte, anche con grandi editori, con buoni risultati di critica. Come per Lacrime di drago nel 1994 edito da Mondadori o Il cavaliere del vento e Quarto Reich da Piemme nel 2001. O ancora Ora Zero e Sole di fuoco da Tea nel 2005 e nel 2008. Forse all’inizio è mancata quella spinta promozionale che altri hanno avuto. L’editoria di oggi a volte segue vie che non capisco. Di certo il Professionista concepito così com’è è un pulp, e io ho sposato questa filosofia da editoria “economica”, pop. È anche un genere difficile, considerate le mode del momento. È pensato per il lettore da edicola. Per la libreria ho sempre scritto cose con ritmi e tematiche differenti. Con piccoli editori, ma con soddisfazione: Pietrafredda, (Perdisa, 2009), Nero criminale (Edizioni della sera, 2013), e poi molti saggi sul cinema».
Di quanti generi letterari ti sei occupato finora?
«Praticamente di tutti. Se è vero che la spy story, l’avventura e il noir sono i miei generi preferiti, ho scritto fantascienza (I predatori di Godnwana, Urania Mondadori), fantasy (L’ultima imperatrice, Urania Fantasy Mondadori, 2001, questo sì con uno pseudonimo, Jordan Wong Lee,) e poi moltissimi racconti thriller, western, horror. Da anni scrivo racconti gialli per Confidenze, direi con un certo gradimento delle lettrici, giusto per smentire che sono uno scrittore solo “da maschi”. Poi ho sceneggiato diversi fumetti e graphic novel (ricordo i due lunghi episodi di Benares inferno, Granata press 1996, e Kosha, 1999, pubblicato in Spagna e negli Usa)».
Dentro la tua scrittura c’è sempre qualcosa sulle arti marziali.
«Le pratico dal 1972. Ho cominciato con il Judo, poi sono passato al karate e in seguito a discipline a contatto, Kick Boxing, Savate, Boxe, ma anche Taiji. Pratico ancora oggi. Anche se sono stato istruttore, non mi sono mai considerato un “campione”. Un tecnico sì. Mi interessava la fatica fisica, la disciplina che è tutto anche nel lavoro. Da lì ho scoperto un mondo che ho approfondito anche allontanandomi dalla tecnica. Ho curato il cinema marziale e quello d’azione».
Manco a dirlo, Di Marino sta lavorando a più progetti di nuovi libri...
«In particolare alla saga del Professionista; nel 2014 vedrà aumentare la sua presenza in libreria, tra inediti e una collana dedicata di ristampe. Ora è uscito Il Professionista Story che propone a un prezzo veramente concorrenziale un romanzo “classico” e uno inedito. Poi ci sono diversi progetti di narrativa popolare ma di genere differente, alcuni per il digitale... Eppoi un saggio sul cinema di rapina». Volevo chiedergli anche della nota sindrome da foglio bianco. Ma non volevo finire l’intervista tra le risate...