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 2013  dicembre 29 Domenica calendario

LA CINA DEPORTERA’ 250 MILIONI DI ABITANTI

Il piano è non solo ambizioso, ma masto­dontico. E denuncia un’attitudine tutta ci­nese: quel gusto per l’ingegneria sociale, la capacità – o presunzione? – di modificare la realtà a colpi di pianificazioni strategiche. Ad annunciarlo è stato il premier Li Keqiang dopo un lungo faccia a faccia con il presidente Xi Jinping: i due uomini più potenti della Ci­na vogliono disegnare il volto che il gigante a­siatico dovrà offrire al mondo a partire dal 2030. Nella “nuova” Cina il settanta per cen­to della popolazione vivrà in città.

Il punto di equilibrio tra metropoli e campa­gne – un rapporto attraverso il quale è possi­bile rileggere tutta la travagliatissima storia cinese dell’ultimo secolo e mezzo – sarà rag­giunto spostando dalle campagne oltre 250 milioni di persone. Si tratta, per la dirigenza cinese, di consolidare un trend già in atto. Nel 2011 la popolazione cittadina ha infatti su­perato per la prima volta quella rurale. L’eso­do ha raggiunto ritmi vertiginosi, registrando – come riporta il sito AsiaSentinel – una cre­scita annua dello 0,64 per cento lungo l’arco temporale che va da 1978 al 1996, per poi im­pennarsi dell’1,39 per cento a partire dal 1996: nel 2012 la popolazione urbana era pari al 52,6 per cento del totale. Meglio – ha “rivendica­to” l’agenzia Xinhua dell’India (ferma al 31 per cento), ma molto indietro rispetto alla Co­rea del Sud (83 per cento). Peraltro il ritmo con cui viaggia l’urbanizzazione non è omo­geneo in tutto il gigante. Ha un andamento a macchia di leopardo. Nelle province di Guangdong, Zhejiang e Liaoning circa il 60 per cento della popolazione si concentra nel­le città. Nel Tibet, ad esempio, il tasso crolla al 26 per cento, nel Guizhou si attesta al 25 per cento.

Ma quale è la finalità del piano voluto dal duo Xi-Li? L’obiettivo è dare nuovo carburante al­l’economia. Perché se è vero che il Dragone è cresciuto a ritmi serrati nell’ultimo decennio, macinando record e primati, è anche vero che piccole, inquietanti, crepe si stanno aprendo nel modello cinese. Non solo. Chi comanda a Pechino vuole cambiare la struttura stessa della seconda economia al mondo (dopo gli Usa): non più basata prevalentemente sulle e­sportazioni ma centrata sui consumi interni. E i contadini, in questa visione, hanno un brutto difetto: consumano troppo poco. Di qui l’idea: trasformarli in cittadini. Mettendo in moto una macchina gigantesca fatta di nuove città, nuove costruzioni, nuovi stili di vita, nuove risorse da impiEgare e – appunto – nuovi consumi.

Secondo poi un rapporto dell’agenzia uffi­ciale Xinhua , la rivoluzione centrerebbe pu­re un altro obiettivo: «La massiccia urbaniz­zazione aiuterebbe anche a risolvere i pro­blemi legati all’agricoltura». Il piano di Pe­chino è di gonfiare non le grandissimi capi­tali – alcune al limite del collasso, come l’in­quinatissima Pechino –, ma di espandere al­tri venti centri urbani. Il partito promette di dare priorità agli investimenti in progetti co­me la riqualificazione delle bidonville, la co­struzione di alloggi a prezzi accessibili, la crea­zione di una più efficiente rete di infrastrut­ture ferroviarie, la promozione del risparmio energetico. Tutto così facile? Non proprio. U­na simile gigantesca operazione preannuncia costi spaventosi, proibitivi. A partire dal con­to economico. Secondo l’Accademia cinese delle scienze sociali, la spesa totale ammon­terebbe a 34 mila miliardi di yuan (5,59 mila miliardi di dollari), vale a dire una somma e­quivalente al 65,5 per cento dell’intero pro­dotto interno lordo. E ancora. Un esercito di neo cittadini signifi­ca disegnare una nuova sanità, estendere il Welfare, mettere in piedi sistemi educativi, in­nervare le città con un sistema di trasporto a­deguato: un mix di interventi, insomma, che consentano al delicato (e complicato) “orga­nismo” urbano di reggere questo gigantesco urto. In molti dubitano, considerato che il Dra­gone è un “mostro” affamato di energia. Pe­chino già oggi conosce il fenomeno delle “città fantasma”, le megalopoli che dovevano esse­re la geografia del nuovo eldorado cinese e che invece sono rimaste vuote e disabitate. Come scrive il New York Times , «l’urbanizza­zione ha già profondamente alterato il volto della Cina», realizzando uno dei cambiamenti «più laceranti» degli ultimi 35 anni. Saprà il si­stema accogliere la massa di nuovi residenti? O, invece, saranno destinati a essere cittadi­ni di “serie B”, come accaduto per i contadini finiti nella trappola dello hukou, il sistema di registrazione familiare che la dirigenza pe­chinese ha promesso di riformare profonda­mente? Non si rischia insomma un nuovo, mastodontico, flop?