Pino Allievi, La Gazzetta dello Sport 30/12/2013, 30 dicembre 2013
SCHUMACHER E IL RISCHIO, UNA PRECISA SCELTA DI VITA
Ci si può mai stupire che il più grande campione di tutti i tempi, che non ha avuto infortuni davvero gravi in circuito, sia stato vittima di un bruttissimo incidente mentre si divertiva con gli sci? Macché! Michael Schumacher ha sempre viaggiato al massimo, oltre tutto, sopra a tutto la vita. Al pari di tanti altri protagonisti di discipline rischiose che quando mollano la loro attività principale vanno a cercare la scarica di adrenalina in campi diversi o affini.
Rischi Ricordate quando Kimi Raikkonen, stanco dello stress della Formula 1, volle prendersi un po’ di riposo? Invece di sdraiarsi comodamente al bordo di una piscina, andò a correre nei rally, collezionando una serie di botti terribili. Stesso percorso per Robert Kubica: dalla F.1 ai rally, non appena intuì, dopo l’incidente proprio su strada, che gli sarebbe stato difficile tornare su una monoposto. Con spaventi tremendi, quest’anno ricompensati dalla conquista del Mondiale Wrc2. Senza parlare di Clay Regazzoni che, rimasto paralizzato nel GP di Long Beach ‘80 , scelse la mitica Parigi-Dakar africana per continuare a provare l’euforia di sopravvivere ai rischi più esagerati. Dai quali usciva puntualmente incolume: «Senza rischio che vita è?», diceva beffardo. Salvo poi trovare la morte in uno «stupido» incidente in autostrada.
Botti Anche altri grandi della F.1, come Patrick Depailler, Emerson Fittipaldi e Didier Pironi, si sono schiantati in deltaplano, ultraleggero e offshore con risultati drammatici, addirittura fatali per Pironi. Vogliamo poi parlare delle manovre dissennate di Gilles Villeneuve con l’elicottero? Oppure le «goliardate» di Phil Hill e Wolfgang Von Trips che quando erano in Ferrari si sfidavano guidando a marcia indietro sulla via Emilia, da Bologna a Modena? Semmai, le eccezioni sono considerarsi Juan Manuel Fangio e Niki Lauda, con un «dopo» nel segno della prudenza.
Estremo Schumacher già ai tempi della Ferrari si dilettava nei lanci col paracadute. Quando smise per la prima volta con i gran premi, passò a correre in moto facendosi subito male, perché – ci raccontò un pilota che al tempo correva contro di lui – rischiava molto senza possedere la necessaria esperienza, pur lottando per le posizioni delle retrovie. In quelle corse non c’erano in palio né i titoli né i guadagni da capogiro che hanno contraddistinto le sue 19 stagioni di F.1, ma modeste coppe, a dimostrazione che la molla del denaro, per Michael, come per migliaia di piloti anonimi, non è trainante quanto la pura passione.
Istinto Vivendo vicino a Ginevra, a due passi dalle montagne, è normale che Schumi abbia preso confidenza con le discese più impervie, spingendosi al limite. Perché solo quello attrae uno come lui. Un istinto incontrollabile, nel quale risiede la sua natura più segreta. E qui si entra in una mistica del pericolo che potrà non piacere, ma va rispettata, astenendosi da qualsiasi giudizio. Bisogna semplicemente prendere atto che questo è Schumi. Altrimenti non sarebbe mai stato Schumacher...