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 2013  dicembre 30 Lunedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA RAGAZZA INSULTATA IN RETE DAGLI ANIMALISTI


DAI GIORNALI DI STAMATTINA
LA STAMPA


Caterina, gara di solidarietà
dopo gli insulti degli animalisti
Anche Renzi si schiera: “Lo dico con tutta la mia forza: sto con lei”

Eleonora Vallin
Io sono ricoverata perché sto male. Non è il momento per interviste. Poi, comunque, la mia idea l’ho espressa in tre video. Per cui gradirei, almeno per adesso, non essere disturbata. In questo momento vorrei visite solo di amici veri. Pace e bene, migliori auguri a tutti». E’ l’appello postato ieri da Caterina Simonsen, la ragazza padovana ricoperta di insulti dopo aver pubblicato una foto che la ritraeva con in mano un cartello a favore della ricerca scientifica sugli animali e un respiratore davanti alla bocca. Perché Caterina, 25enne studentessa di Veterinaria a Bologna, è colpita da quattro malattie rare scientificamente raccontate in una serie di video postati prima di Natale su Facebook e Youtube. Le immagini narrano la «giornata tipo» di una ragazza cresciuta dentro e fuori gli ospedali. Piena di peluche e animali, con un cappellino bianco a forma di Hello Spank contro il mal di testa e sul tavolo una miscela di medicine disposte a forma di smile, ovvero: «Il pranzo dei campioni». E ieri, dopo aver visto quelle immagini, il segretario del Pd Matteo Renzi è intervenuto su Twitter senza usare mezzi termini: «Voglio dirlo con tutta la mia forza: #iostoconcaterina».
Se Caterina è ancora in vita dopo esser finita quattro volte in rianimazione, dice lei stessa, «è grazie ai medici, ai farmaci e agli animali sacrificati per quei farmaci». E’ «grazie alla vera ricerca, che include la sperimentazione animale, altrimenti sarei morta a 9 anni». Ma queste affermazioni hanno scatenato la rabbia in rete di animalisti che in pochi giorni le hanno riversato addosso «30 auguri di morte e 500 offese». «Se per darti un anno di vita sono morti anche solo tre topi, per me potevi morire anche a due anni» scrive in rete Vincenzo. «Non sacrificherei nemmeno il mio pesce rosso per un’egoista come te», aggiunge Giovanna. «Meglio dieci topi vivi che me viva? – ribatte Caterina – Ma dove vivete, come siete cresciuti? Non avete mai usato farmaci per voi, i vostri figli o i vostri animali?» Poi si rivolge direttamente all’ex ministro Michela Brambilla, alla Lega antivivisezione e al Partito animalista europeo: «Chiedo loro di dissociarsi dalle offese e di prendere provvedimenti. Il materiale è nelle mani della polizia postale con i nomi e gli account Facebook, perché io credo ancora nelle autorità».
Ogni post è stato fotografato e inserito nell’album. Oggi gli autori delle ingiurie – da avvalorare se anche di diffamazione si tratta – rischiano, nella peggiore delle ipotesi, pene pecuniarie o detentive lievi. «E’ una vergogna quello che sta succedendo a Caterina. Non è ammissibile che persone disinformate e prepotenti si permettano di minacciare e augurare la morte a una persona gravemente malata» commenta Dario Padovan, presidente di Pro-Test Italia. Anche il direttore del dipartimento di Medicina veterinaria, Pier Paolo Gatta, l’ha contattata. «Le offese e le minacce sono da respingere nel modo più categorico». Il suo caso, però, secondo Gatta, ha portato all’attenzione un clima ostile che c’è quando si parla di scienza. «Io - ha detto - sono favorevole alla riduzione dell’impiego degli animali nella sperimentazione, ma non è possibile rinunciare al dialogo».

“Nella sue parole
c’è il coraggio
di chi dice la verità”
Garattini: intolleranza acuita dalla crisi

Paolo Colonnello

«Non esiste ancora un’altra possibilità di sperimentare farmaci che curino l’uomo se non attraverso gli animali. Minacce e intolleranze non portano a nulla». Silvio Garattini, scienziato, direttore dell’istituto di ricerca farmacologica dell’istituto Mario Negri, con le minacce dei fanatici animalisti convive da 50 anni, da quando ha cominciato a fare ricerca. «È una cosa triste ed esprimo tutta la mia solidarietà a Caterina che ha avuto il coraggio di dire le cose come stanno».
E come stanno le cose?
«In un modo molto semplice: per sapere se un farmaco funziona davvero, se non provoca danni collaterali, se non altera la pressione o diminuisce l’appetito, l’unico modo che abbiamo è di sperimentarlo sugli animali».
A costo di rasentare il sadismo?
«Non c’è mai un atteggiamento sadico nei confronti degli animali. Faccio un esempio: se anni fa per un farmaco occorrevano diversi topi alla settimana, oggi ne basta uno per mesi grazie alle tecnologie più avanzate».
Vi accusano di non voler utilizzare metodi alternativi.
«Ed è falso. Il problema è che tutte le tecniche alternative sono insufficienti. L’utilizzo dei computer non ci può dire se un farmaco determina dolore o problemi di cuore. Purtroppo, a un certo punto va sperimentato».
Si dice che si dovrebbero utilizzare di più le cellule in vitro.
«Le cellule in vitro hanno dei limiti enormi, pari a quelle dei computer. La sperimentazione sugli animali assolve due compiti fondamentali: stabilire l’efficacia attraverso i test degli effetti di un farmaco sull’uomo e capire in quali dosi non vi siano tossicità».
Ciò nonostante, fa pena vedere animali anche da compagnia trattati da cavie.
«Si può discutere del problema etico e dire che non è giusto utilizzare gli animali ma allora bisogna sapere che si dovrà rinunciare a certe cure. Ma poi, gli stessi che firmano petizioni o vanno in piazza, se il loro animale sta male utilizzano quei farmaci che noi abbiamo sperimentato su altri animali. Ciò che secondo me è intollerabile è che questi estremisti abbiano la pretesa di dire che da un punto di vista scientifico l’uso degli animali sia inutile».
Perché secondo lei si arriva a forme di aggressività così violente come augurare la morte a una ragazza che ha l’unica colpa di credere nei farmaci che usa?
«Perché è gente con posizioni assolutiste. È la stessa radice ideologica di chi si dice a favore di Stamina o di chi combatte con ferocia la Tav. Forme di intolleranza e aggressività acuite da una crisi che non è solo economica ma anche morale».
Professore, si dice che queste ricerche ingrassino solo le aziende farmaceutiche...
«È una sciocchezza: le aziende sarebbero le prima a fare a meno della sperimentazione sugli animali, una delle loro principali voce di spesa».
Emotività contro raziocinio scientifico?
«Tutti amiamo gli animali ma di fronte alla sofferenza di tante persone con malattie incurabili, tutto ciò che possiamo fare è lavorare in laboratorio per trovare qualcosa che li aiuti. Non siamo dei torturatori».

LA REPUBBLICA
VITO MANCUSO
CATERINA Simonsen, studentessa di veterinaria all’Università di Bologna da tempo seriamente malata, qualche giorno fa su Facebook ha scritto così a favore della sperimentazione animale in ambito medico: «Ho 25 anni grazie alla vera ricerca, che include la sperimentazione animale, senza la ricerca sarei morta a 9 anni». Ha aggiunto di studiare veterinaria «per salvare gli animali», di essere vegetariana, e nel suo profilo mostra una foto che la ritrae mentre bacia il suo criceto di nome Illy.
Nel giro di qualche ora ha ricevuto centinaia di messaggi offensivi, tra cui una trentina di questo tipo: «Era meglio se morivi a 9 anni brutta imbecille, io sperimenterei su persone come te»; oppure: «Se per darti un anno di vita sono morti anche solo 3 topi, per me potevi morire pure a 2 anni». Penso sia lecito chiedersi dove siamo finiti e che ne sia ormai della solidarietà umana.
Come Caterina Simonsen, anch’io ho scelto di non mangiare più carne, è una scelta che mi fa sentire solidale con la vita, che reputo sacra in ogni sua manifestazione, umana e animale. Anzi, penso che la vita sia sacra già a livello vegetale e che di per sé non si dovrebbero mangiare neppure le patate e le cipolle che sono tuberi e possono generare vita, e infatti i monaci giainisti non le mangiano cibandosi solo di frutti. Ma non basta, occorrerebbe chiedersi se un albero voglia darci i suoi frutti, che non ha certo prodotto per noi, e se raccoglierli non implichi una forma di violenza, per lo meno di quella legata al furto. Non a caso Gandhi scriveva che «il consumo dei vegetali implica violenza», aggiungendo però subito dopo: «Ma trovo che non posso rinunciarvi ». Da qui il profeta della non-violenza concludeva che «la violenza è una necessità connaturata alla vita corporea ». La nostra vita, in altri termini, per esistere si deve nutrire di altra vita che deve necessariamente sopprimere. Per questo nessuno è innocente e nessuno è in grado di stabilire con certezza dove si debba attestare il rispetto per la vita.
Tale conclusione sull’alimentazione vale anche per la cura medica: anche qui c’è un’inevitabile dose di violenza, come mostra già il nostro sistema immunitario del tutto simile a un esercito di professionisti senza scrupoli. Si potrebbe obiettare che i batteri eliminati dai globuli bianchi e le cavie su cui viene condotta la sperimentazione nei laboratori non sono la stessa cosa perché i primi sono aggressori e gli altri no, ma io penso che anche i batteri che entrano nel nostro corpo siano innocenti perché fanno solo il loro mestiere senza nessuna intenzione di aggredirci. In realtà la violenza è intrinseca in ogni sistema di difesa: se vuole continuare a vivere, nessun vivente può uscire indenne dalla catena di violenza di cui è impastata la vita, e per questo nessuno ha il diritto di tirare la prima pietra condannando chi mangia carne o chi sostiene la ricerca mediante sperimentazione animale.
Tuttavia dalla catena di violenza di cui è intrisa la vita alcuni esseri umani desiderano emanciparsi, e questo è un nobile ideale che a mio avviso va sostenuto. Nessun altro essere vivente può concepire tale emancipazione, solamente l’uomo lo può, mostrando in questo di essere ben al di là della vita animale. Sto dicendo che gli animalisti, con il loro sostenere un comportamento del tutto privo di violenza verso gli animali e con il loro volere per gli animali gli stessi diritti dell’uomo, mettono in atto un comportamento che li distanzia al massimo dal mondo animale. Nessun animale carnivoro infatti cesserà mai di mangiare carne, nessun animale erbivoro deciderà mai di astenersi dai bulbi e dai tuberi, nessuna specie animale estenderà mai alle altre specie i diritti di supremazia che la natura lungo la sequenza della selezione naturale le ha concesso. A parte quella umana, nessuna specie cesserà mai di seguire l’istinto sotto cui è nata. L’uomo al contrario ha imparato a poco a poco a estendere gli ideali di giustizia a tutti gli esseri umani, compresi quelli dalla pelle diversa, e oggi alcune avanguardie stanno lottando per allargare tali ideali ad altri esseri viventi. Tutto ciò, esattamente al contrario del naturalismo professato da alcuni animalisti, mostra in modo lampante lo iato esistente tra Homo sapiens e gli altri viventi. Se gli esseri umani lottano per estendere agli animali gli stessi diritti dell’uomo non è quindi perché non c’è differenza tra vita umana e vita animale, ma esattamente al contrario perché tra le due vi è una differenza qualitativamente infinita.
Ponendosi in tale prospettiva di estensione degli ideali di non-violenza anche al mondo animale, Gandhi scriveva: «Aborrisco la vivisezione con tutta la mia anima. Detesto l’imperdonabile macello di vita innocente nel nome della scienza e della cosiddetta umanità, e considero del tutto prive di valore le scoperte scientifiche macchiate di sangue innocente». Per questo, al di là delle ignobili offese a Caterina Simonsen che meritano solo l’oblio, io ritengo che nella campagna animalista contro la sperimentazione sugli animali vi sia qualcosa di importante. Si tratta dell’appello a estendere a tutti i viventi l’imperativo categorico della vita etica, formulato da Kant alla fine del Settecento solo in prospettiva antropocentrica: «Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre come fine e mai solo come mezzo». Oggi si tratta di giungere a trattare «sempre come fine e mai solo come mezzo» non solo l’umanità, ma, per quanto è possibile, tutto ciò che vive: gli animali, le piante, i mari, le montagne, il pianeta, il cosmo… tutto dovrebbe essere visto in una prospettiva non utilitaristica ma vorrei dire
contemplativa,
in cui si contempla la natura delle cose rispettandole per quello che sono e cessando di calcolare solo l’utile che ne viene a noi, per una filosofia ecologica di cui il nostro tempo e il nostro spazio hanno urgente bisogno.
Attenzione però alla saggezza del grande filosofo: dicendo «mai solo come mezzo», Kant ricordava che un elemento di strumentalità è sempre connaturato al vivere, nel senso che ognuno di noi in alcune circostanze è anche un mezzo per la vita degli altri. Ciò ci dovrebbe portare a quel saggio equilibrio del cuore e della mente che mette al riparo da ogni radicalismo fanatico e che porta ad appoggiare la liceità etica della sperimentazione animale laddove davvero non vi sia altra possibilità per sconfiggere le malattie degli uomini e degli stessi animali.

LA REPUBBLICA
LUIGI SPEZIA
DAL NOSTRO INVIATO
PADOVA
«NON sono sola a combattere questa battaglia», dice in un soffio Caterina Simonsen ricoverata quassù al decimo piano del Policlinico di Padova. Il palazzone che chiamano monoblocco e che in questi giorni di festa è semideserto. Una camera nel reparto di Pneumologia è l’oasi di salvezza della ragazza insultata su Internet fino ad augurarle di morire per aver difeso la sperimentazione sugli animali, l’angolo dove si rifugia per vincere le crisi ricorrenti della sua rara malattia genetica. I medici impediscono di passare: il lungo corridoio ordinatissimo è bloccato da una catenella. «La paziente è in terapia, vuol rimanere da sola». Non è in isolamento, ma l’infezione ai polmoni stavolta si è presentata in forma più grave rispetto alle tante altre crisi superate in passato: «Non mi hanno fatto incontrare nemmeno le zie che sono venute a trovarmi », dice al cellulare, parlando a fatica con la maschera dell’ossigeno premuta sulla bocca, al di là di una vetrata insuperabile. «Stanno usando antibiotici più potenti del solito, la mia guerra con i batteri è in pieno corso: vogliono proteggermi».
Caterina, studentessa di Veterinaria a Bologna, non combatte soltanto contro i batteri mentre è stesa sul lettino d’ospedale e può comunicare con l’esterno tramite Facebook o il telefono. «È un momento difficile — dice la madre — e certo questa vicenda non facilita le cose». Dopo l’attacco degli animalisti estremisti a Telethon, lei ha postato una foto-manifesto sul sito “A favore della sperimentazione animale”, per difendere la ricerca che le ha permesso di non morire da bambina, avere una adolescenza, vivere seppure a fatica fino a 25 anni. E per risposta ha ricevuto sul web minacce di morte e insulti da animalisti estremisti, da quelli che lei chiama «nazi-animalisti ». Ma ha ricevuto anche migliaia di messaggi di amicizia, di auguri, di elogio del suo coraggio. E di speranza, persino da Herat, Afghanistan, da un italiano in missione: «Mi ha fatto male leggere della tua storia — scrive Giuseppe Sanna — e la cattiveria
che ti è stata scaricata addosso... non ti vorrei lasciare, vorrei farti dimenticare quelle brutte parole, ma mi chiamano al dovere». Caterina in risposta alle minacce, alle incomprensioni, alle volgarità («potevi morire
a 9 anni, altro che esperimenti sugli animali»), ha postato un video in cui si è commossa mentre diceva che era stata ricoverata quattro volte in rianimazione «e i medici non capivano come mai fossi ancora viva,
ma lo ero grazie ai medici, ai farmaci e anche agli animali sacrificati per testare quei farmaci». Il video l’ha visto anche Matteo Renzi che ha rilanciato su Twitter: «Voglio dirlo con tutta la mia forza:
#iostoconcaterina
». Un
hashtag
creato proprio da lei. E ancora Renzi, su Facebook: «Guardate la sua forza, la sua bellezza».
Caterina, di nuovo in ospedale. Le hanno detto quanto dovrá rimanere stavolta?
«Sono stata male di nuovo prima di Natale, mi sono curata a casa, ma gli antibiotici non hanno fatto effetto. Così mi hanno ricoverata, mi curano con antibiotici più potenti, perché i batteri sono diventati resistenti
a quelli che usavo. Sono farmaci che si trovano solo in ospedale, la cosa è un po’ più seria del solito. I medici dicono che dovrò rimanere per due o tre settimane. Passerò il Capodanno
in ospedale».
Che cosa pensa di chi le ha rivolto minacce di morte per aver detto di essere ancora viva grazie alla sperimentazione sugli animali?
«Penso che siano persone
ignoranti. Non intendo ignoranti nel senso di imbecilli, no. Ignoranti nel senso che ignorano la realtà, le leggi e anche quello che prendono».
Le medicine, intende dire?
«Sì, le medicine. Ma da dove vengono queste persone? Sono animalisti, ma se non curi il tuo cane quando sta male, chi sei? E tuo figlio? Non curi tuo figlio quando sta male? Ma se non curi tuo figlio si va in galera, lo sanno? Mancano di buon senso, non sanno accettare vie di uscita, ma allora almeno si impegnino a fare un altro genere di ricerca, ma vera. Sì, c’è molta ignoranza, al liceo biologia si studia solo un anno, bisognerebbe studiarla per cinque anni. Bisogna combattere l’ignoranza».
Le minacce le hanno fatto male?
«Dopo aver postato la foto con quel messaggio che senza la ricerca sarei morta a 9 anni, vabbè, potevo aspettarmelo. Ma dopo i miei video sul web in cui rispondevo alle minacce, ho pensato che non erano persone razionali, che non erano capaci di empatia, di mettersi nei panni dell’altro. Ma se non ci arrivano, abbiamo un serio problema, forse hanno bisogno di psicologi ».
Lei chiama queste persone estremisti e «nazi-animalisti».
«Sì, ci sono varie sfumature in quel mondo, possono essere più o meno radicali. Ma ci sono anche questi che vorrebbero rinchiudere tutti i malati in un recinto e farli fuori piuttosto che curarli grazie anche alla ricerca. Mi ricordano qualche personaggio del secolo scorso. Tutti i farmaci sono testati ed è ipocrita prendersela con chi sperimenta. Basterebbe che l’agenzia del farmaco mettesse sulle confezioni che il tale farmaco è testato sugli animali e così ognuno potrá essere consapevole e decidere di usarlo oppure no».
Da che cosa le è nata questa spinta a intervenire così decisamente in questa questione?
«Non possono infangare Telethon, che fa ricerca sulle malattie genetiche, come ha fatto il Partito animalista europeo. Questo mi ha spinto a intervenire. Io credo nella ricerca, mentre ci sono persone come per esempio Davide Vannoni di Stamina, che richiamano le masse, ma senza risultati scientifici. Io faccio fatica a parlare di questi argomenti, ma altri lo possono fare, anche nella mia facoltà di Bologna. Non sono sola a combattere questa battaglia».

LA REPUBBLICA C.P.
«LA sperimentazione animale è un clamoroso errore metodologico, è crudele ma anche inutile e a volte dannosa per gli stessi essere umani». Così Michela Kuan, biologa responsabile nazionale vivisezione della Lav. La sperimentazione animale, secondo la studiosa, rischia di essere inaffidabile e fuorviante sul piano scientifico: nessuna specie vivente può essere considerata un modello umano semplificato, a causa delle enormi differenze genetiche, anatomiche, biologiche, metaboliche, psichiche ed etologiche che le contraddistinguono. Così quello che può risultare innocuo sugli animali risulta tossico per l’uomo. Un esempio? Kuan racconta delle vittorie ottenute dalle holding del tabacco perché riuscirono per anni a dimostrare che le sigarette non provocavano il cancro: sugli animali, però. Inutile quindi secondo la Lav la morte degli oltre 900mila animali vivisezionati ogni anno in Italia, 12milioni in Europa. Secondo gli ambientalisti la vivisezione resta un sistema a bassa predittività che provoca ogni anno la morte di 197mila persone per gravi reazioni ai farmaci non preventivati dai test sugli animali. Senza contare, sottolinea Kuan, che il 54% dei farmaci viene ritirato per reazioni avverse non diagnosticate dai test sugli animali. Che fare quindi? Alla Lav sottolineano come le leggi europee da 30 anni invitino a studiare tecniche alternative.
«Nella cosmesi ormai non si usano più gli animali per i test ma epidermide umana ricostruita da cellule. Questa è la strada da seguire, nel Nord europa lo fanno già».
(c. p.)

LA REPUBBLICA
M.B.
SILVIO Garattini si è sempre esposto per difendere la sperimentazione sugli animali, «infatti da cinquant’anni ricevo lettere di minacce e insulti». Il farmacologo che dirige il Mario Negri di Milano è considerato un nemico dagli animalisti più convinti. «Quel tipo di ricerca è fondamentale — spiega — tutto quello che abbiamo oggi di utile in medicina, dai farmaci agli interventi chirurgici, è passato da lì». Eppure c’è chi parla di attività alternative capaci di ottenere buoni risultati. «Non ci sono tecniche alternative, al limite complementari. Le usiamo tutti i giorni in laboratorio, ad esempio studiando il comportamento delle cellule. Ma sono cellule, non organismi, e non sono in grado di dirci se un farmaco ha effetto sulla pressione, sull’appetito o la memoria. Il 99% degli scienziati la vede come me, l’esistenza dell’altro 1% fa parte della vita». E la vivisezione? «È una parola usata per suscitare orrore, questo termine non descrive ciò che facciamo. Se vengono fatte operazioni sugli animali, sono prese tutte le precauzioni usate per gli uomini. Produrre sofferenza negli animali non ha senso, e non serve dal punto di vista scientifico». Il professor Garattini è rimasto colpito dalla storia della ragazza di Bologna. «Siamo arrivati a un livello intollerabile di mancanza di rispetto del dolore umano. Mi stupiscono anche le associazioni di animalisti che sembrano per bene e non sono in grado di dissociarsi da questi gruppi. Tra l’altro parliamo di persone che quando stanno male prendono i farmaci, che sono stati prodotti dopo test sugli animali. Magari li usano anche per curare il loro amato cane».
(m. b.)

PEZZO SCRITTO DA REPUBBLICA IERI
BOLOGNA
— «Ho 25 anni grazie alla vera ricerca, che include la sperimentazione animale, senza la ricerca sarei morta a 9 anni». Non l’avesse mai detto, Caterina Simonsen, padovana, studentessa di Veterinaria all’Università di Bologna, che non frequenta perché soffre di quattro rare malattie genetiche. Anzi, non l’avesse mai scritto in un piccolo manifesto, postato sul sito “A favore della sperimentazione animale”, ferocemente osteggiato dagli animalisti. Le sono piovute addosso una trentina di minacce di morte e oltre cinquecento messaggi di insulti su Facebook, ai quali si sono sovrapposte le risposte di chi difende la sperimentazione, in una bufera virtuale di messaggi tra volgarità, scienza, pseudoscienza e toni apocalittici, che arrivano a toccare le sorti del genere umano davanti a malattie e farmaci.
Non si sono fermati, gli anima-listi oltranzisti, davanti a questa ragazza, pure vegetariana, che lotta ogni giorno per sopravvivere, con il diaframma paralizzato che la costringe a sottoporsi a ore di drenaggi ai polmoni e a frequenti ricoveri: «Mi avete regalato un seppure breve futuro, sono
stata adolescente grazie ai ricercatori, ai medici, al Servizio sanitario nazionale», scrive Caterina nel manifesto che, nella foto su Facebook, mostra accanto alla maschera che le copre metà del viso. Macché, nessuna pietà per lei: «Puoi pure morire domani. Non sacrificherei nemmeno il mio pesce rosso per una egoista come te», è uno dei messaggi di malaugurio, firmato Giovanna. «Per me potevi pure morire a 9 anni, non si fanno esperimenti su nessun animale, razza di bestie schifose», incalza Mauro senza accorgersi della contraddizione. E Perry: «Se fosse morta a 9 anni, un essere vivente di m... in meno e più animali su questo pianeta». Le risposte dell’altro partito, in soccorso della sperimentazione, non sono state meno dure: «Se tu, veganimalista idrocefalo, vorresti eliminare la sperimentazione animale, inizia con l’eliminare il tuo smartphone, la corrente elettrica, il gas, non acquistare cibi confezionati...», insulta Daniele. Oppure l’altro: «A chi non vuole la sperimentazione sugli animali dovrebbero togliere l’assistenza sanitaria». Qualcuno che interviene a moderare, come Stefano: «Non scendiamo al livello di chi augura morte e malattie».
Il manifesto su Facebook di Caterina, dove c’è anche la foto di lei che bacia il suo criceto Illy, ha ottenuto fino a ieri oltre 14mila “mi piace”. Lei, dopo aver girato alla Polizia postale le minacce di morte ricevute, ha postato un video realizzato nella sua camera, «vi faccio vedere come si vive con le mie malattie», in cui spiega con
la maschera sulla bocca: «Il mio obiettivo è laurearmi per salvare gli animali, ma la sperimentazione in Italia è ancora necessaria e obbligata, dove non ci fosse un metodo alternativa valido». Spe-
rimentare farmaci sugli animali «non è una cattiveria, serve anche agli animali» e non tutto va accettato, anzi «non sono fondamentali la caccia, i macelli, l’allevamento di animali da pelliccia». Caterina risponde all’attacco del Partito animalista europeo dell’ex ministro Michela Vittoria Brambilla contro Telethon, prende le parti della senatrice a vita Elena Cattaneo, accusata dal Pae di diffamazione. Commossa, si rivolge alla Brambilla e all’Alf, l’Animal Liberation Front: «Raccogliete fondi per cercare piuttosto un metodo alternativo valido alla sperimentazione animale, ma non si può fermare la ricerca. Fate scrivere sui farmaci che sono ottenuti da sperimentazione sugli animali, in modo che chiunque sia consapevole se curarsi o meno. Io sono viva per gli animali sacrificati».

CORRIERE DELLA SERA DI STAMATTINA
MILANO — Dopo gli insulti sono arrivati gli attestati di solidarietà. Ieri sulla bacheca Facebook di Caterina Simonsen, la ragazza di 25 anni gravemente ammalata che era stata attaccata sul web per aver difeso gli esperimenti medici sugli animali, si sono moltiplicati i messaggi di sostegno. Uno proviene anche dal neo segretario del Pd Matteo Renzi: «Ho visto il suo video e voglio dirlo con tutta la mia forza: io sto con Caterina», ha fatto sapere. Dall’ospedale la giovane studentessa di veterinaria ha chiesto intanto di «non essere disturbata».
Caterina soffre di quattro malattie genetiche rare, tra cui una immunodeficienza primaria e il deficit di Alfa 1 Antitripsina, che tra le altre cose la espongono a qualsiasi infezione e la obbligano a usare un respiratore 16 ore al giorno. Adesso è in cura a Padova per una polmonite: «Sono ricoverata perché sto male. Non è il momento per interviste. Poi, comunque, la mia idea l’ho espressa in tre video», si è sfogata su Facebook. «È un momento difficile, abbiamo un sacco di cose da fare e certo questa vicenda non facilita le cose», ha spiegato sua mamma, che la segue in reparto.
Il video a favore dei test sugli animali girato da Caterina, però, ha riaperto il dibattuto sulla questione. Ieri per difendere le ragioni degli animalisti è intervenuta anche una ricercatrice dell’Università di Genova, malata di sclerosi multipla, la biologa Susanna Penco. «Mi sconfortano le parole offensive verso la studentessa — ha spiegato —, ma non credo che i rimedi ai mali umani stiano nello studio fatto su esseri viventi diversi da noi: e tutto questo lo vivo sulla mia pelle». Penco fa parte della Federazione Italiana Associazioni Diritti Animali e Ambiente, di cui è presidente l’onorevole Michela Vittoria Brambilla di Forza Italia, e ha condannato le «strumentalizzazioni» a partire dalla vicenda di Caterina. La biologa è convinta «che sia proprio la sperimentazione animale ad allontanare le soluzioni e quindi la guarigione per i malati» e rilancia il ricorso a « metodi alternativi», come quelli percorsi dall’Istituto nazionale per la Salute degli Stati Uniti che «ha finanziato con 6 milioni di dollari un progetto rivoluzionario», con l’obiettivo di «sviluppare test tossicologici per la salute umana e ridurre i test su animali».
Alla sperimentazione alternativa guarda con favore anche Caterina, che però insiste: «Non va bene per tutti i tipi di ricerca — scrive in un sms —. E qualsiasi decisione deve essere fondata su dati scientifici».
Anche a livello normativo la questione è ancora aperta. Ad agosto il Parlamento aveva approvato una norma che vietava i metodi sperimentali non rispettosi degli animali (sulla vivisezione già esistevano limiti molto precisi) e i test per droghe, alcol, tabacco, armi, o per fini didattici, impegnando le istituzioni a sviluppare metodi sostitutivi alla sperimentazione su esseri«senzienti». Ma il mese scorso il Consiglio dei ministri ha introdotto una moratoria di tre anni per alcuni settori, per cercare di trovare un compromesso su un tema che vede divisi su fronti opposti animalisti e scienziati.
E. Teb.

GLI ANIMALISTI

«Gli animalisti sollevano un problema vero: che diritto abbiamo di prendere qualcuno che vive e di manipolarlo, di usarlo come mezzo per i nostri scopi? È una domanda centrale anche per il nostro futuro — basta pensare a quello che stiamo facendo all’ambiente — eppure in un certo senso nuova, proprio perché l’umano, per definizione, è l’animale che vive e prospera usando altri animali: da sempre li addomestica, li uccide, li mangia. Si è costruito così come vivente».
Felice Cimatti, 54 anni, filosofo, insegna all’università della Calabria, e con questi interrogativi si confronta da tempo: ha appena dato alle stampe per Laterza Filosofia dell’animalità , una riflessione sul rapporto tra l’uomo e gli altri animali. Sul caso di Caterina Simenson, la ragazza malata insultata sul web perché ha difeso la sperimentazione sugli animali, però, vuole fare una premessa: «Ci sono stati attacchi davvero violenti e assurdi. Inutile preoccuparsi per un pollo in batteria se poi non si prova empatia per una giovane che deve vivere attaccata a una macchina. Credo che queste persone tradiscano il senso dell’animalismo. Ciò detto, la questione rimane».
Tra le obiezioni che le hanno mosso, c’è che oggi la medicina può fare a meno dei test sugli animali. È vero?
«Si sono già fatti molti passi avanti in questa direzione. Ed è ovvio che se si possono evitare, non vanno usati. Ma cosa succede se non abbiamo alternative? Se scopriamo che possiamo trovare una cura per la sclerosi multipla solo sacrificando cento scimpanzé? Questa è la questione vera da un punto di vista medico, prima ancora che filosofico».
Gli «antispecisti» sostengono che non possiamo usare gli altri animali, perché significherebbe presupporre che siamo migliori, che la nostra vita vale più della loro, e così non è.
«È una risposta assoluta, come se non esistessero soluzioni intermedie, e cade nella trappola che vorrebbe denunciare: l’antropocentrismo».
Perché?
«Si tendono a riconoscere i diritti solo agli animali che più ci “assomigliano”: gli scimpanzé, per esempio, o quelli che hanno un sistema nervoso o una forma di linguaggio. In questo modo l’uomo torna a essere la misura di tutto, quello da cui discende il valore degli altri animali».
L’India, questa estate, ha vietato di tenere i delfini negli acquari definendoli «persone non umane»...
«Non è che un topo soffre meno di un delfino. Nessuno, per esempio, si preoccupa degli insetti. Perché? C’è un esperimento mentale ben noto in filosofia: provare a pensare che una zanzara sia grande come un cane. Non ci verrebbe più da schiacciarla, così, sovrappensiero».
Sta dicendo che bisogna essere ancora più radicali degli animalisti?
«No, che bisogna imparare a prendere in considerazione l’alterità degli animali, dobbiamo smettere di umanizzarli. Questo cambia radicalmente la prospettiva, anche se non semplifica la questione».
In che senso?
«La vita è appropriarsi di altre forme di vita e metterle dentro di sé. È inevitabile. Invece alcuni animalisti estremi hanno immaginato leoni geneticamente modificati per diventare erbivori. Perché gli animali non si dovrebbero mangiare e le piante sì? Perché le pecore ci sembrano più simili a noi dei carciofi?».
Così è una vertigine, non se ne esce...
«Appunto. A me non sembra possibile una forma di vita che non mangi un’altra forma di vita. Ma più consideriamo la questione in forma generale, più diventa intrattabile».
E quindi cosa bisogna fare?
«Distinguere. Dobbiamo opporci allo sfruttamento industriale degli animali: lì l’aspetto più spaventoso è la violenza sistematica. Su questo gli animalisti hanno il merito di farci guardare ciò che preferiamo non vedere. E credo che abbiano ragione loro: sul lungo periodo probabilmente smetteremo di mangiare gli animali, così come abbiamo abolito la schiavitù».
E per quanto riguarda la medicina: lei dice sì o no alla sperimentazione sugli animali?
«Se l’alternativa è: o vivo io o vivi te, io cerco di difendermi. Ma una risposta unica a questa domanda non c’è. Dobbiamo continuare a porcela, di caso in caso. E intanto lavorare per renderla meno urgente. Infine si potrebbe immaginare una sorta di “consenso informato”».
Consenso informato?
«Si potrebbe dire ai pazienti, prima che prendano una medicina, se è costata la vita a degli animali. In modo che possano decidere se usarla o no».
Lei lo farebbe?
«Non lo so, me lo chiede ora, ma se ne avessi davvero bisogno per la mia vita ... Non direi di no».
Elena Tebano


PEZZO DEL CORRIERE DI IERI
«Meglio se morivi, mi hanno scritto. Io ho risposto: aspettate un attimo, vi faccio vedere come vivo, quanto devo vivere». Caterina Simonsen ha 25 anni, ne aveva nove la prima volta che è finita in rianimazione perché non respirava. «Non posso uscire di casa, devo passare 16 ore al giorno attaccata a un respiratore e farne tre di fisioterapia per i polmoni. Ho fatto più ricoveri io che un vecchio di 110 anni», spiega. Due settimane fa, «scandalizzata» dopo che il fondatore di Stamina Davide Vannoni aveva strizzato l’occhio agli animalisti (sostenendo di non aver bisogno di testare il suo metodo sugli animali), Caterina ha girato un video in difesa della ricerca scientifica e lo ha postato online. Le reazioni sono state violentissime: «Per me puoi morire pure domani, non sacrificherei nemmeno il mio pesce rosso per te», «Magari fosse morta a 9 anni», le hanno scritto sul profilo Facebook. Ha replicato con un altro video, in cui spiegava perché le persone come lei hanno bisogno che la medicina possa testare nuove cure e con un messaggio pro-scienza. Anche quelli presi d’assalto dagli animalisti radicali.
Caterina soffre di 4 malattie rare, deficit di Alfa 1 Antitripsina, deficit di proteina C ed S anticoagulanti, immunodeficienza primaria, mononeuropatia assonopatica bilaterale dei nervi frenici. Tra le altre cose le riducono la funzionalità polmonare e la rendono vulnerabile a qualsiasi infezione. Ieri sera era ricoverata in ospedale a Padova, per una polmonite: «Quando ho la polmonite semplice mi sento fortunata, ne faccio almeno sette all’anno. Venti giorni fa tossendo mi si è bucato un polmone: è marcio. Mi hanno dovuto mettere un drenaggio di 15 centimetri. Volendo, di particolari splatter ne ho un po’», ride. Parla con precisione e senso dell’umorismo (nero, nerissimo). Poi però torna subito seria: «Chiedo che Lega antivivisezione, Enpa, l’onorevole Michela Brambilla e il Partito animalista europeo si dissocino da questi estremisti», è il suo appello. «La mia unica colpa è essermi curata: non ho sgozzato animali, ho solo preso farmaci a norma di legge, non bile di orso. Lo faranno anche loro, no?». Intanto ha chiamato il 113 per denunciare i commenti online: «Mi hanno detto che sarebbero venuti per prendere l’esposto, li sto ancora spettando».
Solo una volta si è arresa, aveva 15 anni: «Non respiravo da 4 giorni, ogni respiro mi faceva un male cane. Allora per un attimo ho deciso di non respirare. Mi sono addormentata e sono andata in arresto respiratorio. Quando mi hanno rianimata ho visto la faccia dei miei genitori e ho deciso che non avrei mollato mai più».
A Caterina gli animali piacciono e si è iscritta a veterinaria a Bologna, anche se non può frequentare. «Sono cresciuta in ospedale, in pediatria, ho visto bimbi malati con una gran voglia di vivere: correvano in corridoio con 4 flebo attaccate tre giorni dopo il terzo intervento al cuore — racconta —. Non potrei curare dei bambini. Ma gli animali sono innocenti come i bambini». Ha scelto anche di non mangiare carne: «Ci penso alla vita degli animali. Quanti animali vengono macellati ogni anno? Quanti usati per la sperimentazione? — domanda —. Milioni contro migliaia. Ci sono cose di cui possiamo fare a meno: infatti non mangio carne. Della ricerca non possiamo fare a meno».
Caterina si è esposta, ma non per sé: «Spero che i bambini che nascono oggi sappiano che in futuro potranno curarsi. So che la ricerca non potrà aiutare me: le mie malattie sono troppo rare e se anche adesso sviluppassero un farmaco, ci vogliono almeno dieci anni per poterlo usare. Io dieci anni non ce li ho».
Elena Tebano

TELETHON

Posizioni ufficiali
Proposte per il rilancio della ricerca italiana

Siamo partiti dalla nostra esperienza e dal nostro metodo, ispirato a quello dei principali enti di finanziamento della ricerca nel panorama internazionale, per stimolare una riflessione sulle strategie di rilancio della ricerca nel nostro Paese. Lo abbiamo messo nero su bianco, in un documento presentato a Padova il 12 maggio 2010.

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Le partnership industriali

Il nostro obiettivo è rendere fruibili le terapie messe a punto grazie alla ricerca che selezioniamo e finanziamo. Non riuscire a compiere il passaggio dalla sperimentazione alla produzione e distribuzione delle terapie, vorrebbe dire vanificare tutto il percorso della ricerca sostenuto grazie alle donazioni.
Perché una scoperta scientifica possa essere tradotta in una terapia disponibile per i pazienti è necessario attivare un percorso di sviluppo che alla ricerca accademica affianchi competenze, processi e capacità produttive tipiche dell’industria. A questo scopo, può essere decisivo avvalersi di collaborazioni con aziende farmaceutiche che credano nella ricerca Telethon e siano motivate a investire nelle sue competenze.

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La sperimentazione animale

La nostra missione è il finanziamento della ricerca che possa portare alla cura delle malattie genetiche. Contemporaneamente siamo contro ogni maltrattamento degli animali. Grazie ai progressi scientifici che mettono a disposizione dei ricercatori molteplici sistemi su cui testare l’efficacia delle terapie sperimentali (ad esempio cellule, tessuti), oggi solo una parte dei progetti finanziati richiede la sperimentazione su modelli animali. In questi casi, Telethon richiede ai ricercatori di utilizzare il minor numero possibile di animali e di applicare un rigido codice di comportamento che minimizzi la loro sofferenza. Inoltre, vigiliamo affinchè si applichi la legislazione vigente in materia (in Italia sta entrando in vigore il nuovo Decreto legislativo del ministero della Salute in attuazione della direttiva europea 2010/63/UE) e affinchè i ricercatori abbiano ottenuto l’autorizzazione dei comitati etici dei loro istituti.
La sperimentazione sugli animali fatta secondo le leggi e le normative in vigore è tutt’altra cosa rispetto al maltrattamento degli animali, contro i quali anche Telethon si pronuncia in maniera forte.
Ma perché è necessario sperimentare sugli animali?
La ricerca di una terapia per una malattia genetica è un percorso lungo e complesso che normalmente passa da una fase cosiddetta "di base" dove i ricercatori si concentrano su sistemi cellulari o addirittura molecolari per identificare i meccanismi che portano alla malattia e i modi per bloccarne l’insorgenza. Una volta che si sono isolati dei sistemi (farmaci, geni, cellule) che bloccano il percorso della malattia nei sistemi di base, è spesso necessario, prima di somministrarli ai malati, controllarne l’efficacia e l’assenza di tossicità in un organismo complesso il più possibile simile all’uomo. Questo diminuisce considerevolmente il rischio di commettere errori di formulazione e di somministrazione.
Moltissimi passi avanti compiuti dalla medicina negli ultimi decenni, passi avanti che hanno guarito o alleviato le sofferenze di milioni di malati al mondo, non sarebbero stati possibili senza una motivata, attenta e accurata sperimentazione sugli animali.

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