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 2013  dicembre 22 Domenica calendario

TELECOM, QUAL È IL RUOLO DEL PD DAVANTI AI POTERI FORTI


Temo che a Enrico Letta sia scappato il piede sulla frizione. L’altro ieri, nella conferenza stampa di Bruxelles, il premier ha espresso due concetti in più rispetto al necessario per giustificare la posizione del governo contraria a una rapida e incisiva riforma dell’Opa obbligatoria per non interferire nella scalata di Telefonica a Telecom Italia. Il primo concetto in eccesso è che la riforma favorisca una delle parti che si fronteggiano: gli spagnoli e i loro soci italiani contro Marco Fossati.
Suona quasi come un’accusa rivolta a chi vuole una riforma dell’Opa immediatamente esecutiva. Il secondo concetto, che il premier si poteva risparmiare, è quello di un Parlamento che non deve seguire una linea diversa da quella del governo. Ragioniamo sul primo concetto. Fossati, azionista con il 5% dell’ex monopolista, ha avviato la sua campagna contro il consiglio di amministrazione di Telecom il 16 ottobre. Chi scrive aveva tracciato su l’Unità una road map per arrivare alla riforma dell’Opa il 25 settembre e ha conosciuto Fossati solo in seguito. L’esigenza di una riforma dell’Opa era dunque maturata prima che iniziasse la battaglia in Telecom e da questa prescinde. D’altra parte, il focus di Fossati non è questa riforma, ma il cambio dello statuto di Telecom: lo hanno sentito in tanti poche sere fa a Otto e mezzo. Sostenere il contrario, e cioè che chi propone la riforma dell’Opa sarebbe un supporter di Fossati, ha lo scopo di squalificare una posizione bollandola di partigianeria. È una furbizia che non va bene: non è fair come direbbero alla City. Tanto più se resta insoluto il giallo del presidente delle Generali, Gabriele Galateri, secondo il quale «chi di dovere» avrebbe dato via libera a Telefonica. A tal proposito, su questo giornale, Rinaldo Gianola ha scritto ieri quel che c’era da scrivere. Mi si consentirà di riprenderne i punti principali: chi è il «chi di dovere», quale quadro gli ha dipinto il presidente delle Generali, in quali termini è stato concesso il via libera, posto che i sottosegretari Catricalà e Giorgetti hanno negato che il governo fosse informato? Ragioniamo ora sul secondo concetto. Letta è il presidente del Consiglio e parla in nome del governo, ma il Parlamento è sovrano. Il governo non gli può vietare di intervenire nel processo legislativo. Se poi il governo prende un impegno con il Parlamento, come l’ha preso il 25 ottobre, dovrebbe rispettarlo. Tanto più se a esigere la riforma dell’Opa è un schieramento plebiscitario e non un senatore un po’ fissato. Se non fosse stato dichiarato inammissibile per estraneità di materia in un periodo nel quale pure si mette assieme la mini Imu con la riforma della Banca d’Italia, l’emendamento che migliorava la legge sull’Opa sarebbe stato respinto o approvato dal Senato? A occhio, credo che sarebbe passato. La dichiarazione di non ammissibilità, che mi guardo bene dal contestare, ha avuto l’effetto di evitare la sconfessione del governo da parte dell’aula. Ma lascia anche una ferita aperta nei gruppi parlamentari. E in particolare nel Pd che ha rivoluzionato i suoi assetti con la franca vittoria di Matteo Renzi alle primarie. Mi chiedo quale sia il ruolo del partito e dei suoi gruppi parlamentari: se possano e debbano interloquire alla pari non solo sulla legge elettorale ma anche nei rapporti tra la politica e i poteri forti dell’economia. Rottamare D’Alema e Veltroni è stata una parola d’ordine vincente nelle dinamiche del Pd. Anche l’economia ha bisogno di volti nuovi. Purché dietro ai nuovi ci sia anche una nuova politica e non l’ultima razzia dei sindacati di controllo e delle piramidi societarie, che stanno saltando non perché sia avvenuta una rivoluzione culturale ma perché i bilanci e le regole bancarie non li reggono più. Pensare che, siccome ha un presidente con meno di 40 anni, la Fiat possa portare fuori Italia il suo baricentro sia una scelta di rinnovamento e amen è forse troppo poco ove si veda il disastro che ne verrebbe per l’industria meccanica italiana. In questi anni è fiorita tutta una retorica sulla scarsa qualità di deputati e senatori. Una volta, un ministro se ne lamentò e il parlamentare che lo ascoltava rispose: «Se non ci fossero parlamentari scarsi come me, non ci sarebbero nemmeno ministri come lei». Sottoscrivo. Il governo sapeva che era pronta anche una ridefinizione tecnica dell’emendamento che accoglieva taluni suggerimenti degli uffici del ministero dell’Economia, tranne quello di rinviare alle calende greche l’efficacia della riforma dell’Opa. Ma proprio questo era ed è il punto. È probabile che Letta l’abbia spuntata usando la «forza». La riforma dell’Opa avverrà di qui a parecchio tempo, se mai avverrà dato che il governo, qualora avesse voluto, l’avrebbe comunque potuta impostare. E magari, aspettando Godot, altri episodi verranno a suggerire nuovi rinvii. Sarebbe anche questa una manifestazione di leadership. Si riforma nientemeno che la Banca d’Italia per decreto e non ci si dà nessun calendario per l’Opa. Ma a vantaggio di chi vanno queste manifestazioni di leadership?Spiace sentir ripetere che non si deve intervenire in una partita in corso quando l’accordo Telco del 24 settembre non prevede una data per la firma. I preliminari per un appartamentino non sono tali senza la data del rogito. Fino a quando intende aspettare il governo? Appellarsi al mercato come fa Letta non regge alla prova dei fatti. Il mercato non esiste in natura. È un insieme di usanze e di regole che variano nel tempo. Qui si tratta di evitare l’ennesimo scippo ai danni degli azionisti di minoranza, tra i quali primeggiano i fondi esteri. Come altrimenti definire il passaggio del controllo di fatto, fin qui esercitato da Telco, con un premio per Mediobanca, Generali e Intesa Sanpaolo e niente per gli altri? Ma, ancor più, come definire altrimenti la conquista del potere da parte di un concorrente sull’altro senza pagare il giusto? Telefonica è concorrente di Telecom non solo in Sud America ma anche da noi, come testimonia la gara dell’Enel alla quale gli spagnoli si sono presentati come operatori virtuali alleati di Wind contro Telecom. Se Letta fosse venuto in Senato, come pure si era impegnato a fare e non ha fatto, avremmo discusso dei limiti non solo della legge dell’Opa ma anche delle norme antitrust nella loro declinazione nazionale in un contesto globale. Ma finora si è preferito per l’opinione pubblica il discorso ex cathedra – dove la moderna cattedra non è il pulpito della cattedrale o la cattedra dell’università, ma la dichiarazione volante ai media – e l’appello alla disciplina di maggioranza.
L’assemblea di Telecom forse costringerà gli spagnoli a proporre una Ops (offerta pubblica di scambio) a concambi non ignobili per avere Telecom. E l’inchiesta della procura di Roma sui favori ottenuti da Telefonica sconsiglierà dall’insistere con le manovre su Tim Brasil, esercitando per l’ennesima volta un ruolo di supplenza sulla politica impotente. Forse ha ragione qual tassinaro romano che mi ha detto: «A senato’, credevano di aver preso la vacca per le zinne e non si sono accorti di aver stretto li.... del toro». Forse. Certo è che, se già il 26 settembre, il governo avesse raccolto gli spunti che venivano dal Senato e avesse varato un decreto per l’Opa non saremmo a questo punto.