Simone Paliaga, Libero 27/12/2013, 27 dicembre 2013
LE GRANDI BANCHE SALVATE LA CLASSE MEDIA A FONDO
Di crisi, future, rating, spread grondano le pagine dei giornali, ma da dove è nata questa bolla che rischia di trascinare il mondo in un tonfo dinanzi al quale la crisi del 1929 impallidisce? Chi ne sono i responsabili? Gli artefici della situazione attuale sono le grosse banche che a distanza di cinque anni dall’inizio della crisi «restano il vero potere forte globale. E pur di salvare gli enormi istituti di credito i governi, negli Stati Uniti e in Europa, hanno preferito erogare immense quantità di denaro pubblico depositandolo nelle casse delle banche. Tramite tasse e misure di austerità sono stati rastrellati trilioni di euro e di dollari. Una strategia profondamente iniqua: banche salve da una parte, e una classe media sfiancata senza alcuna possibilità di sviluppo economico dall’altra». Questa vicenda la racconta nel dettaglio Luca Ciarrocca ne I padroni del mondo (Chiarelettere, pp. 242, euro 13,90).
Perché si è arrivati a tanto? Negli ultimi dieci anni il numero degli istituti di credito è sceso drasticamente. A seguito di una serie incontrollata di fusioni e acquisizioni le banche sono diventate troppo grandi per poter fallire, arrivando a livelli tali da causare una crisi sistemica qualora fallissero. Per evitare questa situazione gli Stati hanno deciso di salvarle inondando di soldi pubblici le loro casse per sottrarle alle paludi dell’insolvenza. Ma si doveva agire così?
«Qualche volta le grandi banche devono fallire. Questa è l’essenza del capitalismo: quando un’azienda non è in grado di sostenersi dovrebbe abbandonare il mercato (cioè fallire). Se fossimo stati in una situazione veramente di libero mercato, la maggior parte delle nostre banche, se non tutte, sarebbero sparite. Ma siamo stati tutti colti in contropiede nel 2008 quando il sistema finanziario è stato vicino al collasso e noi non avevamo alcun modo efficace per smantellare le megabanche in via di fallimento». A pronunciare queste parole, ricorda Ciarrocca, non è un agitatore anticapitalista di Occupy Wall Street, ma William Emmons, capo economista di una delle dodici sedi regionali della banca centrale statunitense, la Federal Reserve.
La domanda di fondo che si pone l’analista della Fed è: «Abbiamo veramente bisogno delle grandi banche oppure le enormi disfunzioni di questi anni dimostrano che i megaistituti di credito non dovrebbero nemmeno esistere?».
Una domanda che non dovrebbe rimanere senza soluzione perché esse condizionano con le loro decisioni le vite di interi popoli, indirizzando i mercati finanziari globali, ora per ora, determinando così l’andamento di borse, bond, materie prime, tassi di interesse e altri asset di portafoglio.
Ciarrocca mappa, grazie a un recente studio elaborato dal Politecnico Federale di Zurigo, «The Network of Global Corporate Control», condotto da Stefania Vitali, James B. Glattfelder e Stefano Battiston questi grandi istituti di credito: «ll report, pubblicato nel 2012 dalla rivista New Scientist», ricorda l’autore, «mette in evidenza l’esistenza di una rete identificabile di società finanziarie e industriali che di fatto governano l’economia mondiale. Sarebbero in tutto una cinquantina, le mega aziende internazionali (in maggioranza istituti finanziari e banche Tbtf) che, attraverso un complicato incrocio proprietario, controllano il 40 per cento del valore economico e finanziario di 43.060 multinazionali globali. È qui il vero cuore dell’economia occidentale ». Esse, per rientrare dai crediti concessi, premono sui governi al fine di salvare banche e aziende in bancarotta tagliando la spesa sociale e il welfare. Il cervello del capitalismo finanziario globale risiede, secondo il report svizzero, in 1.318 aziende che a loro volta farebbero capo, grazie a vari incroci azionari, ad appena 147 società, tra cui Barclays Bank, JP Morgan Chase, Goldman Sachs e, al 43esimo posto, l’italiana Unicredit.
Come ridurre il loro potere? Secondo Ciarrocca si tratterebbe di impedire alle grosse banche «la creazione di credito (e quindi di moneta) che nel sistema bancario moderno comincia sempre con un prestito e continua con la crescita esponenziale di quello stesso prestito, tramite la pratica molto comune della leva (leverage). È così che si formano l’offerta di moneta e le bolle sui mercati». Se si riuscisse a cambiare troverebbe soluzione il dilemma del filosofo libertario MurrayRothbard, non certo un anticapitalista: «Perché mai, noi cittadini che lottiamo per sopravvivere, dobbiamo essere condizionati da debiti creati da una élite al potere che li ha contratti a nostre spese?».