Gaia Piccardi, Corriere della Sera 27/12/2013, 27 dicembre 2013
ZÖGGELER PANE E SLITTA «A PANCIA IN SU MI SENTO COME A CASA»
La stretta di mano è una tenaglia. Armin Zöggeler, I suppose... La versione verticale dell’uomo che a Sochi, tra quarantuno giorni, aprirà l’Olimpiade dell’Italia sventolando la bandiera poche ore prima di sfrecciare orizzontale — a 150 km all’ora («Velocità massima mai raggiunta sulla slitta? 152 kmh a Whistler, in Canada») — verso il sesto podio consecutivo ai Giochi (nel mirino il terzo oro, come Tomba e Compagnoni), è più piccolo e molto più sorridente di come te lo aspetti. Per avallare l’impressione, totalmente personale, il pragmatico e notarile (è maresciallo dei Carabinieri) ed essenziale Armino («Vado in Russia per fare il mio lavoro» ha detto, basico e a ciglio asciutto, al presidente Napolitano il giorno della consegna del tricolore al Quirinale), ha un suo teorema: «Io peso 88 kg. Per i Giochi salirò a 90. Con il costume, il casco e le scarpe arrivo a 94. La slitta pesa 23 kg. In totale farò segnare 117 kg. Poco. Perché a Sochi la pista, nuovissima, ha tre salite, che non mi piacciono perché avvantaggiano chi è più pesante di me. Se fossi più basso e massiccio, sarebbe meglio. Con l’età (in Russia avrò 40 anni), ho perso velocità in partenza. Ho mantenuto la potenza, ma se troveremo umidità (e a Sochi, sul mare, non sai mai che tempo c’è) sarà un casino perché con il canale umido le lamine non scorrono. Capito?». Jawohl.
Poche parole, molti fatti. Armin è così anche quando ordina un tè al bar, cercando di silenziare con i ditoni (dalla mano sinistra manca all’appello mezza falange) lo smartphone Samsung fiammante che lo sponsor gli ha dato, certo che finisse dritto in un cassetto della villetta di Foiana, 999 abitanti (lui non c’è mai), frazione del comune di Lana, sulle cui stradine ghiacciate a 5 anni ha cominciato a scivolare a pancia in su. Refrattario ai social («Non ho tempo di seguire queste cavolate: tra famiglia e lavoro ho altro da fare»: Zöggeler for president), sufficientemente rocchettaro da ascoltare gli Ac/Dc («Ma non sono un metallaro!»), timido con i media per carattere e scarsa confidenza con l’italiano (ma il movimento nazionalista che in Alto Adige spinge per una squadra sudtirolese ai Giochi, con Armin portabandiera, è bollato come «un discorso inutile»: urrah), Zöggeler ha il mostruoso peso specifico dell’atleta serio ai confini con la pedanteria, meticoloso più che preciso («Se io a casa metto una cosa sul davanzale della finestra, là devo ritrovarla, nonostante moglie e figli: Nina, 12 anni, e Thomas, 8, per esempio, hanno il divieto di toccare i miei trofei, sono chiusi in una stanzina e lì devono essere quando torno...»), un campione dalla specchiata professionalità capace di sopravvivere a se stesso: in vent’anni, da Lillehammer ‘94 a Sochi 2014, è cambiato tutto («Slitte, avversari, tecnica, aerodinamica...») però Armino ha ancora voglia di chiudersi nella galleria del vento di Maranello a farsi spettinare le idee. «Chi parla di segreti mi fa ridere. Plaikner, ex capo allenatore azzurro, passando con i russi si è portato via i nostri segreti (e non lo rivorrei mai indietro) ma io non ne ho. Mi piace allenarmi, sviluppare la slitta, gareggiare. La stagione scorsa il corpo ha cominciato a ‘’suonare’’, soprattutto la schiena. Ma senza dolori, sullo slittino io mi sento come a casa».
Cinque medaglie olimpiche, 16 Mondiali e 10 Coppe del mondo (6 di fila) non gli si sono accoccolate ai piedi, facendo le fusa, per caso. E, prima, viene tutto il lavoro preparatorio («Mi piace anche quello»), tipo andare in giro per acciaierie a farsi tagliare pezzi pregiati per i pattini («Li scelgo come dal macellaio...»), flirtare con la slitta («La chiusura di Cesana ci ha complicato enormemente la vita») finché l’amicizia non diventa amore («No, mia moglie Monika non è gelosa» ride), tirare indietro la pancia infilandosi nella tutina da supereroe oblomoviano; e poi, magari, come alla vigilia della gara di Vancouver 2010, assistere in diretta alla morte atroce di un collega (Nodar Kumaritashvili). «Un pensiero mi ha attraversato: cosa cavolo ci sto a fare, io, qua? Ma è stato un attimo. E sono andato avanti».
Eccolo qui, davanti al tè al bergamotto, sotto il bandierone, senza il rimpianto di non aver fatto il pilota d’elicottero (sogno di bambino) e in attesa di dedicarsi agli amati cavalli nel maso del padre. Sa l’Inno, e lo canterà: «All’inizio, quando si ripete, è facile. Poi mi incasino un po’...». Finirà in gloria, a Sochi, Zöggeler? «Prima vado e faccio il mio lavoro. Poi ne riparliamo». La prossima volta caffè corretto grappa, però.
Gaia Piccardi