Paolo Berizzi, la Repubblica 27/12/2013, 27 dicembre 2013
NELLA FABBRICA SVIZZERA DOVE IL CARO ESTINTO DIVENTA UN DIAMANTE
Cenere eravamo, e diamante diventeremo. «Si dice così, vero...? ». L’uomo che trasforma il caro estinto in esclusivo (è il caso di dire) gioiello indossa candidi guanti di alcantara, parla italiano con accento romancio e sorride dietro la barba sagomata che fa molto demiurgo. Tiene a dire che nella «diamantizzazione» delle ceneri non c’è niente di macabro né di eticamente improprio. Usa parole morbide, le accompagna con gesti solenni: partendo dalla fine. Schiude una teca di radica con pareti foderate di seta. Al centro c’è lui, il diamante rinato dalla polvere, le spoglie del defunto che diventano pietra preziosa. I laboratori di Algordanza sono l’ultimo caseggiato dell’area industriale alle porte di Coira: la più antica città svizzera. Dietro ai capannoni c’è solo bosco; le montagne dei Grigioni degradano sul piazzale dove ogni giorno auto private, corrieri internazionali, carri funebri consegnano le urne. Nei cofanetti sono contenute le polveri da cremazione.
Se non fosse per i fumi del vicino colosso chimico penseresti che non esiste posto migliore al mondo dove aprire un’azienda che ricava diamanti dalle ceneri di un defunto. Li chiamano così: «diamanti della memoria » (in lingua romancia, algordanza vuol dire memoria). Basterebbe la definizione. «Elaboriamo il lutto in un modo nuovo: guardi la pietra e pensi ai momenti belli vissuti insieme», dice Rinaldo Willy, 33 anni, fondatore, presidente e amministratore (con altri due soci) di Algordanza. È la prima società in Europa (la concorrente ha sede a Chicago) che si è inventata una nuova pratica per il trattamento delle spoglie del cadavere. Una sublimazione della cremazione. Una tappa successiva che culmina nella conversione dei frammenti ossei in una pietra di valore. L’idea di base è semplice quanto potente: il diamante lo puoi creare anche in laboratorio. Lo ottieni trasformando il carbonio contenuto nel corpo di ciascuno di noi. Il procedimento è cenere-carboniografite- diamante. Alla fine della lavorazione, da 3 a 6 mesi a seconda della grammatura richiesta, le polveri umane assumono la classica forma ottagonale e la lucentezza di un diamante: e siccome un diamante è per sempre, il cliente può rendere eterne le spoglie del defunto. Non separandosene mai. Addio ai pellegrinaggi al cimitero. Basta urne con le ceneri custodite in casa. «La pietra viene consegnata al cliente che decide poi se incastonarle in un anello, in una collana o in un braccialetto. Il 90 per cento opta per questa soluzione».
Che quelli di Algordanza non sono gioiellieri, ma solo artigiani di un nuovo «trapasso», lo capisci dai laboratori. Ogni stanza, un passaggio. Arriva l’urna con le ceneri. Da tutto il mondo. Il primo mercato è la Germania (con Austria e Svizzera), segue il Giappone. Poi Brasile, India, Spagna, ultimamente, tra i nuovi mercati, anche l’Italia. «Le ceneri arrivano da noi divise in due porzioni — spiega mister Willy — . Si fa una spedizione scaglionata: il secondo pacchetto parte due o tre giorni dopo il primo. Non si sa mai, in caso di incidenti aerei... Noi dobbiamo avere la certezza che le ceneri che abbiamo bastino per fare il diamante». In media da un corpo cremato si ottengono da 1,5 a 3 kg di polvere. Per un diamante occorrono 500 grammi. «Un parente può decidere di inviarci solo una parte delle ceneri». Una volta giunta in laboratorio, la polvere è pesata e analizzata. Si misura la quantità di carbonio. A ogni busta viene associato un codice numerico («il rispetto del defunto passa anche da qui»). Poi entra in campo la chimica: le ceneri vengono «cucinate» con acidi e basi, quindi filtrate e lasciate asciugare per 10 giorni. La spremitura dà il carbonio. Il carbonio dà la grafite. Comincia la lavorazione fisica. La polvere è versata in piccoli cilindri che vengono inseriti nei diamantizzatori: sono macchinari da 300 mila euro, i primi sono arrivati a Coira dalla Russia dieci anni fa quando il «maestro» di Willy — Veit Brimer, docente di Economia, co-padrino dell’idea — li acquista da uno scienziato russo che produceva diamanti per orologi. Cosa avviene dentro le macchine? Bombardata sotto il peso di 60 mila batt di pressione e cotta a 2.500 gradi centigradi, la grafite diventa diamante. Tutto ruota intorno alla grammatura: e cioè ai carati. Più lasci la polvere in lavorazione e più aumentano carati e peso del diamante. «Partiamo da 0,25 carati, che sono 4,5 millimetri di diametro, e arriviamo al diamante più grande, un carato e cioè 7,5 millimetri» — dice l’italiana Christina Sponza, altro socio amministratore. I prezzi? Si va da 3.500 a 13 mila euro (Iva esclusa).
I laboratori svizzeri producono ogni anno un migliaio di diamanti. Le richieste sono in crescita, i tempi di attesa pure. Algordanza dà lavoro a 70 persone e conta su 23 sedi nel mondo. «Lo scoglio più difficile da superare è lo stupore iniziale» spiega Sponza. È di pochi giorni fa la notizia di un padre di Conegliano Veneto che ha fatto riesumare e cremare la salma del figlio ventenne morto in un incidente stradale. Dopo la «sintesi» a Coira, gli è stato consegnato il diamante. Il marito di una donna australiana ha spedito le ceneri della moglie: erano custodite nell’urna da 35 anni. Qual è il credo religioso del cliente? Cattolici al primo posto, poi scinto-buddisti, cristiani «usciti» dalla chiesa, e infine i protestanti. Quando chiedi a Willy se la sua piccola rivoluzione potrebbe consentirgli di aumentare il fatturato svuotando i cimiteri, si ferma e con prudenza svizzera butta lì: «Dipende da come le persone decidono di vivere il culto dei morti. Per me sono diamanti».