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 2013  dicembre 27 Venerdì calendario

VANNONI, LO STREGONE DI STAMINA “NESSUNA TRUFFA, VADO ALL’ESTERO”


NON è un medico ma ha centinaia di pazienti, è indagato per truffa e associazione a delinquere, è uno dei personaggi più controversi d’Italia. Davide Vannoni, lo “stregone” di Stamina, racconta a Repubblica la sua verità.

ANNUNCIA: «Continueremo la sperimentazione all’estero, non ho truffato nessuno e mai preso un soldo». Però i giudici non gli credono.
Dentro una grande villa sulla collina torinese, una formidabile nebbia dietro le vetrate, la statua del Cristo redentore che si scorge appena, poco più sotto, oltre il bianco e il buio, a braccia aperte, Vannoni si dichiara pronto a spiegare misteri che per lui, e solo per lui, non esistono.
Per cominciare, come dobbiamo chiamarla? Signor Vannoni? Dottore? Professore? Vittima? Truffatore? Ciarlatano?
«Dottore certamente, perché sono laureato in lettere e filosofia. Professore anche, perché ho una cattedra di psicologia all’Università di Udine. Ma signor Vannoni va benissimo».
Vittima no?
«Un po’ sì, perché sono oggetto di un attacco a fronte unico, persino oltre il procuratore Guariniello che, io penso, avrebbe già archiviato tutto senza le pressioni del ministero della Salute».
Beatrice Lorenzin ha detto che lei macchia l’immagine dell’Italia.
«La macchia di più questa signora: su 150 malati in lista d’attesa, ne sono morti già otto dopo lo stop della sperimentazione imposto da Roma, e tre erano bambini».
Lei è un truffatore?
«Perché esista una truffa, occorre che qualcuno intaschi del denaro. A Brescia, in una struttura pubblica, nessun paziente pagava un euro».
Ma prima, a San Marino, sì. Il dottor Guariniello lo definì un laboratorio cosmetico.
«Per allestire quel laboratorio, con tanto di sala operatoria, spesi 350 mila euro e ipotecai la casa. Poi, certo, alcuni pazienti pagavano le cure, ma solo quelli che potevano permetterselo».
Per 5 infusioni, 27 mila euro: conferma?
«Sì, ma qualcuno non sborsò nulla. Chi poteva, pagava, gli altri no. Nessuno rimase mai senza cure ».
È vero che agli inizi della Stamina Foundation, qui a Torino, lei aveva allestito un laboratorio nel sottoscala del suo call center?
«Tutto in regola, si trattava di un laboratorio a pressione positiva con due camere bianche. Lo bloccò solo una legge europea».
Lei non è un medico ma un esperto di psicologia e ricerche di mercato: che c’entra con le cellule staminali?
«Sono un presidente di fondazione, come Montezemolo per Telethon. Mai preso una siringa in mano, mai curato nessuno, ci mancherebbe. A quello pensano i nostri specialisti».
Però non è scientificamente provato che il metodo Stamina sia efficace. Quali rischi corrono i pazienti?
«Solo quelli legati all’improvvisa interruzione delle cure, e non dipende da noi. Nessuno ha mai sofferto per effetti collaterali».
Come spiega allora le denunce?
«Sono appena 6: forse qualcuno si aspettava i miracoli che noi non promettiamo. Tuttavia, molti malati migliorano le capacità di movimento già dopo la prima infusione, nessuno peggiora e molti rimangono in vita a lungo: abbiamo bambini di sei o sette anni, dati per spacciati quando ne avevano tre. Illustri specialisti, come i professori Villanova e Andolina, sono con noi. E io non mi sento uno stregone ».
Se non esistono segreti, perché non rendete pubblico il vostro protocollo di cura?
«Perché non è brevettato, e per evitare che in Israele oppure a Hong Kong qualcuno lo metta in pratica copiandolo, e chiedendo 30 mila euro a iniezione».
Però la commissione ministeriale non vi crede.
«Abbiamo rotto le uova nel paniere a qualcuno. Su dieci commissari, guarda caso, sono presenti alcuni nostri critici della primissima ora, e non figura neanche un biologo staminologo».
Che significa rompere le uova nel paniere?
«Una persona colpita da malattie neurodegenerative costa circa 300mila euro all’anno allo Stato. Un ciclo di iniezioni mensili tradizionali, per lo più inefficaci, costa 28 mila euro. L’industria farmaceutica non ha certo interesse ad incoraggiare altri soggetti e altri farmaci».
Dicono che lei si sia aggirato in camice bianco all’ospedale di Brescia, come un vero medico.
«Smentisco, come del resto ha fatto la direzione sanitaria».
Una rivista scientifica vi ha accusato di plagio nei confronti di ricercatori ucraini.
«Falso anche questo. Portai in Italia due specialisti come Vyacheslav Klymenko e Olena Schegelska, per lavorare a un progetto pubblico finanziato dalla Regione Piemonte, nulla di più limpido. Poi, l’allora presidente Bresso bloccò tutto senza motivi, e ancora non so perché».
Lei viaggia in Porsche: per forza qualcuno sospetta.
«L’unico sfizio della mia vita, comprato peraltro in leasing. Non una grande idea a livello di immagine, lo riconosco».
Uno sfizio reso possibile grazie al denaro di una multinazionale svizzera, Medestea. È vero?
«Da loro dovevamo ricevere due milioni di euro per la ricerca, ne sono arrivati solo 400mila. Il presidente Gian Franco Merizzi è una persona seria. A parte l’auto, tutto il denaro l’ho messo nella Stamina Foundation, il dottor Guariniello conosce i miei conti correnti meglio di tutti».
L’accusano di essersi fatto i soldi con i moribondi.
«Un’infamia, e ho pronte le querele. Se avessi fiutato il business, avrei portato i malati in Ucraina senza mettermi in tutti questi guai. La fondazione per me è diventata un pozzo senza fondo, altro che guadagni vergognosi».
Un paziente di Trieste è morto: ora lei rischia un’accusa per omicidio colposo, non solo per truffa o associazione a delinquere.
«Quella persona è morta di polmonite dopo essere stata costretta ad interrompere le cure, mentre i suoi familiari ci imploravano di proseguire. Associazione a delinquere? Con due direttori sanitari e venti medici dalla nostra parte? Per favore, non scherziamo».
Cos’è, allora? Un complotto?
«Siamo certamente vittime della lobby dei farmaci, della burocrazia e della politica. Tutto sulla pelle di chi sta morendo».
È vero che potreste riprendere la sperimentazione all’estero?
«Abbiamo individuato una clinica a Capo Verde, attualmente inutilizzata. È già stata costituita una cooperativa di pazienti, senza fini di lucro, massimo una quota a testa. Queste persone apriranno un laboratorio con i loro soldi, pagheranno gli stipendi ai nostri biologi e noi le cureremo. Per la sanità sarà una vera rivoluzione, un’innovazione mondiale».
Lei ha mai lucrato sulla disperazione di un malato terminale?
«Mai. E ho lettere di persone che ci supplicano di riprendere le cure. A noi guardano 280 mila famiglie in Italia e due milioni di malati, le patologie rare sono circa 5 mila, le staminali possono curarne più di 120. Io mi sento responsabile nei confronti di questa gente e delle loro speranze. Chi soffre e sta morendo non telefona certo al dottor Guariniello o al ministro Lorenzin, chi soffre chiama noi».