Marco Ansaldo, la Repubblica 27/12/2013, 27 dicembre 2013
TANGENTOPOLI, ERDOGAN CAMBIA DIECI MINISTRI
LA LAMPADINA, simbolo del partito “pulito”, si è ormai spenta del tutto. Metà dei ministri cambiati, scontri nelle piazze a Istanbul, richiesta di dimissioni per il premier Tayyip Erdogan. La Tangentopoli turca travolge il governo islamico. E il partito di riferimento, dal nome Giustizia e sviluppo, sembra essersi trasformato, nei 10 anni al potere, da compagine sociale a formazione dedita agli affari.
L’inchiesta per i casi di corruzione nel commercio e le concessioni edilizie nelle aree urbane ha costretto ieri il primo ministro a un rimpasto colossale. Via 10 ministri. E soprattutto i responsabili di Interni, Economia, Giustizia, e anche il ministro per l’Europa, Egemen Bagis, che tanti sforzi aveva dedicato per l’avvicinamento di Ankara alla Ue. Uno scandalo che non pare destinato a fermarsi, mentre migliaia di persone nelle strade di Istanbul chiedono a gran voce le dimissioni di Erdogan.
A finire in manette, oltre a uomini d’affari e banchieri, sono anche i figli di due ministri. E le ultime voci tirano in ballo addirittura il rampollo del premier, Bilal Erdogan, di mestiere imprenditore mentre il padre, capo del governo, adesso avverte: «Ritengo di essere l’obbiettivo finale dell’indagine, ma chiunque vuole coinvolgermi rimarrà a mani vuote».
Nonostante le purghe scattate negli ultimi 10 giorni - centinaia di teste rotolate nella polizia – l’inchiesta che punta al cuore del sistema di potere del partito conservatore islamico rischia di avere effetti devastanti. Le ammini-strative sono alle porte a marzo e, in estate, ci sarà il voto presidenziale. Ma già si profila l’ombra delle politiche, anticipate al 2014. Interessante, a questo punto, sarà osservare il comportamento che terrà il capo dello Stato, Abdullah Gul, antagonista di Erdogan nella sfida per la presidenza della Repubblica, e che martedì ha auspicato la destituzione dei ministri coinvolti nello scandalo.
Lo scontro vede tuttavia stagliarsi dietro le quinte il volto del pensatore turco Fethullah Gulen, in autoesilio in Pennsylvania, potentissimo rivale di Erdogan e fondatore di un influente impero editoriale. I suoi tentacoli arrivano nella polizia e nella magistratura. Ma il braccio di ferro è durissimo. Ieri sera un procuratore ha denunciato di essere stato rimosso dall’inchiesta poche ore dopo l’apparizione sui media della notizia che il prossimo obiettivo sarà il figlio del premier. «È stato commesso un crimine in tutta la catena del comando – ha detto -. I sospettati sono stati autorizzati a prendere precauzioni, fuggire e manomettere le prove». I superiori, invece, lo accusano di avere parlato alla stampa senza le preventive autorizzazioni.
Il rischio vero, per un partito che alle politiche del 2011 ha ottenuto ben il 49,9 per cento dei voti, è adesso quello della spaccatura. Finora la compagine è sempre rimasta unita dietro al carisma irruento di Erdogan, leader senza delfini. Però ieri uno dei ministri costretti alle dimissioni ha accusato di aver seguito, nei casi sotto accusa, le precise istruzioni del premier. E se ora dall’America il teologo Fethullah decidesse, magari con il silenzioso sostegno di Gul, di indicare la via di un nuovo partito, questa volta sì, islamico e senza macchia, allora la fuoriuscita di deputati potrebbe far implodere la compagine e creare uno scenario del tutto aperto.
Fethullah e Erdogan si sfidano a tutto campo. «Non ci sarà una tregua – predice l’editorialista Rusen Cakir, grande esperto nel quotidiano Vatan del partito islamico –. Al contrario, la guerra diventerà sempre più violenta, per trasformarsi in un combattimento per la sopravvivenza di ciascuna delle fazioni». La Turchia ieri
appariva sgomenta.