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 2013  dicembre 27 Venerdì calendario

QAT VIAGGIO NEL PAESE PIÙ DROGATO DEL MONDO


SANA’A. «Lo Yemen senza il qat?». Hussein osserva in tralice il volto attonito dei suoi ospiti, poi strappa le ultime foglioline dal ramo, infine sorride. «Una cosa del genere non si può nemmeno immaginare! Sarebbe come un corpo senza le gambe. Il qat è parte del Paese, della nostra cultura, delle nostre tradizioni». Difficile dargli torto. L’opinione di Hussain Mohammed Al- Bayadi, 54 anni, proprietario di un mercato di qat a Sana’a, rispecchia quella di un’intera popolazione. Eppure ciò che milioni di yemeniti ritengono un irrinunciabile dono della natura, è anche ciò che sta portando il Paese alla rovina. Una minaccia sottile, ma forse più insidiosa della crescente presenza di al-Qaeda. Perché se nel 2025 Sana’a rischia di divenire la prima capitale al mondo senz’acqua, in buona parte lo si deve alle tenere foglie del qat. E se lo Yemen da alcuni anni è costretto a importare ortaggi, quando potrebbe esportarne, la maggiore responsabilità è ancora una volta del qat. Se ogni mese le famiglie bruciano il 30 per cento del loro reddito, se le produttività media sul lavoro è precipitata a livelli insostenibili, e se metà del budget governativo viene tritato dai molari degli yemeniti, la risposta è sempre la stessa: il qat.
Lo Yemen è forse oggi il Paese più dipendente del mondo. Definito dai più tolleranti un blando narcotico eccitante, bollato dai più critici come una droga a tutti gli effetti, il qat scandisce gli orari, divide la giornata, corona i rituali.
Tutto inizia alle due del pomeriggio, quando si riempiono i mercatini. Il più popoloso e povero Paese del mondo arabo si ferma. Uomini adulti, anziani, ma anche donne, tutti si dedicano alla stessa attività. È come se ci si imbattesse in un’epidemia di ascessi alla bocca. Il volto di ogni uomo comincia a mostrare una protuberanza. Dopo le quattro è difficile trovare qualcuno che non abbia le guance gonfie a dismisura, la bocca schiumante una poltiglia verde.
«Il qat è un rituale collettivo, trasversale. Lo masticano i politici, i businessman, i poveri e ricchi. Anche gli sportivi. È il nostro collante sociale» assicura al- Bayadi. Il suo mercato, 20 negozi, si riempie. Le voci si animano. Anche nelle piccole stradine della città vecchia, tra i palazzi stuccati di bianco, capannelli di uomini seduti si dedicano all’acquisto più importante della giornata. La scelta richiede tempo. Perché il qat è come il vino, la sola differenza è che va consumato fresco (dura circa sei ore). Ve ne sono moltissime qualità, per tutte le tasche e tutti i gusti. «Il più caro costa 10mila ryal (circa 45 dollari) al fascio, il più economico 500» spiega al-Bayadi. «Questa è la qualità migliore, coltivata in alta montagna. Ci dà forza, concentrazione e non fa sentire l’appetito».
Hooria Mashhour, ministro dei diritti umani, la pensa molto diversamente. «Il qat è un grave problema sociale ed economico. Più di un terzo del reddito familiare viene utilizzato per acquistare qat, quando oltre la metà della popolazione, soprattutto donne e bambini, soffre di malnutrizione ». L’ufficio di Mahmoud al-Umayya si trova all’11° piano di un edificio nella parte moderna della città. L’ascensore è inservibile. Colpa delle tribù che, per fare pressione sul governo, con cadenza quotidiana tagliano le linee elettriche.
La battaglia di al-Umayya è una sfida quasi impossibile: affrancare il Paese dal giogo del qat. La Ong Yemen senza qat è nata nel 2001. I risultati finora non sono stati entusiasmanti. Ma la pervicacia dell’attivista è encomiabile. «Qui si mastica qat da 500 anni. Occorre pazienza. Qualche risultato lo abbiamo raggiunto. Grazie alle nostre campagne informative un certo numero, limitato, di persone ha smesso di consumarlo. E comunque c’è più consapevolezza tra la gente riguardo ai rischi».
I danni sul piano sociale sono innegabili. «Ogni yemenita spende mediamente 500 ryals (9 dollari) al giorno per acquistare qat. Nelle famiglie più povere a volte si spende per il qat più che per il cibo o per l’affitto. Se nove milioni di yemeniti masticano 500 ryals di qat al giorno, stima peraltro prudente, significa che ogni anno vengono bruciati 4,5 miliardi di dollari , ovvero circa la metà dell’intero budget del governo per il 2013». Anche secondo la World Health Organization, il 90 per cento circa dei maschi adulti mastica qat per 3-4 ore al giorno.
Il qat è forse la maggiore voce dell’economia dopo il petrolio (peraltro in via di esaurimento). Coltivare questo narcotico è il più remunerativo degli investimenti. Rende cinque volte tanto la coltivazione dell’uva, 25 volte più di quella dei cereali. Ecco perché i contadini lo stanno progressivamente sostituendo a frutta e verdura. Le piantagioni della pianta della felicità crescono a un tasso del 12 per cento l’anno. «Negli anni Settanta lo Yemen importava il 5–7 per cento di prodotti agricoli. Ora siamo al 92» precisa l’attivista.
Nel caotico mercato ortofrutticolo le donne discutono animatamente con i venditori. Si lamentano dei prezzi. «Che ci possiamo fare?» spiega Ahmed, grossista. Buona parte degli ortaggi è importata. Viene da fuori. Costa di più».
Di acqua, però, ce n’è sempre meno. Il qat è una pianta assetata. E se il 90 per cento delle risorse idriche disponibili in Yemen è assorbita dal settore agricolo, nel suo complesso, il 37 per cento viene destinato al qat. Nel 2011 il tasso di consumo dell’acqua nel bacino di Sana’a ha superato di cinque volte il «tasso di ricambio naturale».
Certo, la mala gestione degli acquedotti fatiscenti, la totale assenza di politiche ambientali, e la cattiva abitudine di molti yemeniti di scavare pozzi privati, hanno aggravato il problema. Il ronzio dei generatori che attivano le pompe dei pozzi è un suono familiare a Sana’a, quasi quanto il canto dei muezzin.
«C’è un legame diretto tra consumo di qat e produttività al lavoro» continua al Umayya. «I consumatori di qat sostengono che questa sostanza eccitante riduca la stanchezza e li motivi al lavoro. Ma avviene il contrario. Senza parlare dello spreco di tempo. Supponiamo che 10 milioni di yemeniti mastichino qat per sei ore al giorno. Ebbene, sono 60 milioni di ore lavorative sfumate».
Alla Ong di al-Umayya l’iniziativa non manca. Ha già affisso centinaia di poster che illustrano in modo ironico gli effetti deleteri del consumo di qat. Al Bayadi ci ride su. «Noi abbiamo fatto la nostra contro- campagna con grandi foto in cui si vede un uomo che mastica qat e costruisce un minareto. Noi siamo contro la droga. Noi siamo per il qat».
Al Bayadi è l’ultimo anello di una filiera che inizia dalle zone di produzione. Come nella regione montagnosa di Mahwit. Macchie di verde colorano gli altipiani aridi. In mezzo al verde si ergono torrette di pietra. Da qui i sorveglianti vigilano sulle piantagioni. In un villaggio remoto, Ibrahim accetta di parlare. «Ho una grande piantagione e devo difenderla. I furti di qat sono quasi all’ordine del giorno. Molte volte scoppiano dei conflitti a fuoco e i ladri vengono uccisi». I figli di Ibrahim spuntano dalla macchia. Imbracciano diversi tipi di armi. Procurarsele non è difficile. Lo Yemen è il Paese con più armi pro-capite al mondo, dopo gli Stati Uniti.
Ibrahim si congeda. Ha da fare. Deve correre in città ad acquistare i pesticidi. Un altro punto dolente. Qualche coltivatore ammette che alcuni pesticidi, di provenienza asiatica, sono venduti a prezzi inferiori a quelli di mercato perché scaduti. «Tumori alla bocca e alla gola sono cresciuti a dismisura» accusano gli attivisti. E non è il solo problema. All’ospedale psichiatrico Alamal di Sana’a raccontano: «Il 90 per cento dei nostri pazienti uomini ha problemi legati all’abuso di qat. Che provoca nei soggetti predisposti patologie come schizofrenia e psicosi».
Argomenti che finora non fanno presa. Le fresche e invitanti foglie di qat si trovano dappertutto. Nei villaggi di pietra arroccati sulle montagne, nelle valli remote dell’Adramaut, e nelle piane desertiche e assolate del sud.
Un’ultima informazione. Nel tempo dedicato a leggere questo articolo gli yemeniti hanno già bruciato circa 200mila dollari in qat.