Franco Capone, Focus 1/2014, 27 dicembre 2013
IL NEGRIERO PIÙ RICCO DELLA STORIA
Il suo letto a baldacchino, un ritratto consumato dal tempo e la statua di San Francesco che veglia sulla sua tomba. “Qui giace Francisco Félix de Souza, nato in Brasile nel 1754 e morto 1’8 maggio del 1849 a Ouidah”. Siamo nello Stato africano del Benin, nella camera della casa di famiglia, davanti alla tomba di quello che viene considerato il più grande negriero di tutti i tempi.
Non lontano dalla casa dei de Souza c’è la Porta del Non Ritorno, monumento che la moderna “generazione dei diritti umani” ha voluto erigere in riva al mare, rivolto in direzione delle Americhe, in ricordo di tutti i neri imbarcati sulle navi negriere e che non tornarono mai più. Gran parte dei 12 milioni di schiavi deportati attraverso la rotta atlantica, principalmente per il Brasile e i Caraibi, partirono da qui, da Ouidah. E molti vennero stipati nelle navi di Francisco Félix.
DINASTIA AFRO-BRASILIANA. Nato in Brasile, di origini portoghesi, Francisco Félix ha un passato in parte ancora oscuro per gli storici. Di sicuro si sa che fece una fortuna sulla pelle degli schiavi, che “commerciava” in combutta con la monarchia locale africana grazie alla quale ottenne il monopolio della tratta.
Perché l’Africa è terra di contrasti e questo è il luogo ideale per capire come potevano andare le cose in quegli anni. Per esempio, per avere le prove che il rispetto della dignità e della vita umana non è mai stato una questione di popoli o colore della pelle, ma di potere e soldi. Potere e soldi Félix ne aveva in abbondanza, tanto da garantire benessere anche alla sua numerosa discendenza. Che ogni anno, il 4 ottobre, giorno di San Francesco, si raduna nella casa di famiglia in sua memoria. Per ironia della sorte, anzi della genetica, sono tutti neri, a causa dei continui matrimoni misti tra i discendenti del ramo portoghese con partner africani. Molti di questi discendenti hanno oggi posizioni di rilievo non solo in Benin, ma anche in Togo, Nigeria e Ghana. Lui, Francisco Félix, l’antenato bianco con molti peli sullo stomaco, ebbe non meno di 80 figli con donne di colore. Ma la sua confidenza con l’Africa lo portò anche a essere amico personale del re del potente Stato del Dahomey (oggi Benin). Diversi regnanti di questa terra (11 i re a partire dal 1600) furono in affari con i portoghesi. Facevano guerra alle tribù vicine proprio per procurarsi prigionieri: alcuni venivano gettati da una sorta di rupe Tarpea, come sacrifici umani per i “re morti” nel Giorno della Tradizione, in un sanguinoso culto degli antenati. Tutti gli altri venivano consegnati ai portoghesi che li ammassavano nel forte di S. Giovanni Battista, dove oggi un museo ricorda la tragedia della tratta degli schiavi. Dal forte partiva un sentiero, ora fiancheggiato dalle statue degli spiriti locali a protezione delle anime degli schiavi. È lungo quattro chilometri e finisce in riva al mare, dove troneggia l’omonima porta raffigurante una massa di deportati. La porta è sorvegliata dalle statue dei Revenant, maschere dentro le quali, nella tradizione ancora viva oggi a Ouidah, gli antenati tornano fra i vivi alcune volte ogni anno durante apposite feste.
COLPO DI STATO. Francisco Félix de Souza sbarcò su questa spiaggia intorno al 1800. Alcune testimonianze tendono a descrivere il suo esordio come quello di un immigrato con pochi soldi in tasca, ma con la speranza di darsi al commercio di “materie prime” . Una cosa è sicura: nel 1803 un registro lo dà come contabile del forte di S. Giovanni Battista. Nel 1806 divenne governatore del Forte e poi si mise in proprio nella tratta degli schiavi su concessione del re del Dahomey, Abandozan. Il Dahomey (variazione in francese di Daxome: nella pancia del serpente) a quel tempo non era una colonia, ma uno Stato indipendente. De Souza ripagava Abandozan per gli schiavi e l’olio di palma forniti con fucili, tabacco, rum, barre di metallo e altri articoli dal Brasile e dall’Europa. Ma i rapporti si complicarono, il re non volle pagare un debito e Francisco Félix finì rinchiuso in prigione ad Abomey, nella capitale del regno. Riuscì a fuggire grazie all’aiuto del principe Agapè e, una volta libero, organizzò un colpo di Stato finanziando e armando il principe amico. Alla fine Agapè spodestò Abandozan e salì al trono con il nuovo nome di Ghezo. Per Francisco Félix de Souza la nomina a viceré di Ouidah. Uno storico brasiliano ha calcolato in 120 milioni di dollari il suo guadagno nel commercio degli schiavi. Al valore di oggi si possono stimare oltre 3 miliardi di dollari. A disturbare gli affari nel Dahomey furono gli inglesi, dopo che abolirono la tratta degli schiavi (già nel 1808, seguiti da francesi e olandesi nel 1815). Il Dahomey era rimasto una sorta di zona franca anche dopo il 1840, quando le pressioni internazionali su Ghezo a favore dell’abolizionismo divennero forti. Ma lui rispondeva imperterrito: «La tratta è il principio che guida il mio popolo, è fonte della nostra gloria e ricchezza. Una madre non può fare altro che cantare la ninna nanna al proprio bambino sulle note del trionfo dei nemici vinti e fatti schiavi». Ghezo d’altra parte era noto per la sua crudeltà. Intraprese una forte espansione militare, fece sviluppare il reggimento delle amazzoni (6 mila donne guerriere abili con spada, arco e fucile, denti limati e affilati per i corpo a corpo) e sedeva su un trono ornato dai crani dei re nemici sconfitti (oggi ancora visibile nel museo palaziale di Abomey). Ma niente dura per sempre. Nel 1849 Francisco Félix de Souza morì fra i pianti delle donne del suo harem e gli onori di funerali regali. Tre anni dopo gli inglesi predisposero il blocco navale davanti al Dahomey per intercettare le navi negriere. E Ghezo dovette cedere. Il traffico poi riprese per qualche anno, ma cessò definitivamente alla morte del tiranno, nel 1858. L’ultimo carico di schiavi arrivò a Cuba nel 1865 da un porto imprecisato. La tratta continuò per il mondo musulmano, via terra attraverso il Sahara, fino alla Prima guerra mondiale.
TEMPI MODERNI. Gli abitanti del Benin, soprattutto negli anni del presidente socialista Mathieu Kérékou, hanno elaborato il proprio passato. Il regno del Dahomey, i cui antichi palazzi di terra e legno sono stati restaurati negli ultimi anni dall’Unesco, ha avuto anche una storia positiva, segnata da periodi di fermento artistico ed episodi di fiero patriottismo. Alla storia è passata l’ardua resistenza durante il regno di Behanzin all’invasione francese, fino a quando, nel 1892, anche le ultime amazzoni caddero sotto il fuoco, delle truppe del generale Dodds.
La famiglia de Souza è rimasta legata alla storia del Paese. Partecipando al processo d’indipendenza non solo in Benin, ma anche in Togo. Una nipote di Pa Augustino de Souza, nipote a sua volta di Francisco Félix e fondatore del primo partito del Togo, è moglie dell’attuale presidente del Benin. Isidore de Souza è stato il primo arcivescovo cattolico del Paese. Proprio come nel romanzo di Bruce Chatwin, Il Viceré di Ouidah, i de Souza restano nella storia nel bene e nel male.
Franco Capone