Marco Ferrari, Focus 1/2014, 27 dicembre 2013
QUANTO VERDE C’È DAVVERO NEL FRACKING
È l’uovo di Colombo. In un periodo di allarmi sull’effetto serra causato dal petrolio, una fonte energetica più pulita e quasi inesauribile come il metano sembra la soluzione a molti problemi di inquinamento. Torna così in auge una vecchia scoperta per estrarre il gas imprigionato nelle rocce. Ma questo metodo e le sue conseguenze per l’ambiente e la salute sollevano ancora moltissimi dubbi.
Il gas naturale, cioè il comune metano (usato per cuocere la pasta e produrre energia elettrica), è un combustibile fossile, come petrolio e carbone. Ma è più pulito di entrambi: quando è bruciato infatti produce meno CO2 e quindi contribuisce molto meno al riscaldamento globale. Già dagli anni Quaranta del secolo scorso si sapeva che alcune formazioni rocciose imprigionano miliardi di litri di metano. Il problema era farlo uscire e “catturarlo”. Le tecniche di estrazione del tempo erano primitive e costose: il petrolio e il gas estratti con metodi convenzionali (per esempio i pozzi di petrolio dei deserti arabi) avevano prezzi molto più bassi. Quando, a partire dagli anni Settanta, l’estrazione del petrolio è diventata più onerosa e a rischio perché in Paesi politicamente instabili, l’allarme per l’esaurimento delle risorse ha fatto rivalutare fonti diverse, e sperimentare le tecniche per il fracking.
CHE COS’È. «Il petrolio e il gas naturale si formano in depositi chiamati rocce madri, di solito scisti» dice Giuseppe Etiope, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e studioso dell’origine dei depositi sotterranei. Queste rocce sono però piuttosto impermeabili, e il gas è difficile da estrarre. Come fare allora? Con il fracking, appunto, che sta per hydraulic fracturing (fratturazione idraulica): dopo la trivellazione, nel foro è iniettata acqua ad alta pressione che spezza (appunto, frattura) le rocce e consente al gas di liberarsi e risalire verso la superficie, dove è catturato. Le prime prove coronate da successo furono applicate a pozzi di petrolio, gas e acqua. «Per estrarre il gas si cerca di arrivare direttamente agli scisti. È come se invece di andare a mangiare in un ristorante andassimo direttamente in cucina, alla fonte» dice Etiope.
La grande diffusione del fracking si è avuta però solo negli anni Novanta con la scoperta di materiali speciali (in inglese si chiamano proppant), che sono in grado di “tenere allargate” le fratture per permettere al gas di continuare a uscire. Ed è stata favorita soprattutto dall’aumento costante del prezzo del gas e del petrolio importati, che rendeva conveniente una tecnica fino a quel punto molto costosa. Il risultato è un vero e proprio boom, almeno negli Usa: nel 2000 il metano degli scisti era l’1% di tutto il gas naturale estratto, quest’anno è il 25% e si prevede che raggiunga il 46% nel 2035. Soprattutto grazie a questo, nei primi cinque mesi del 2013 gli Stati Uniti hanno soddisfatto l’87% delle loro necessità energetiche con risorse interne. Oltre al petrolio, quest’abbondanza di gas sta sostituendo come fonte di energia anche lo “sporchissimo” carbone, che emette il doppio di anidride carbonica e quindi “riscalda” molto di più l’atmosfera.
Alcuni ambientalisti sorridono: grazie a queste minori emissioni, l’America ha prodotto negli scorsi cinque anni 450 milioni di tonnellate di CO2, in meno, una diminuzione superiore a quella dell’Europa (che per la produzione di energia si affida ancora in parte al carbone).
CONTROCANTO. Tutto bene quindi? Non proprio: prima di tutto, nel fracking il consumo di acqua è altissimo. Secondo l’Epa (l’agenzia Usa per l’ambiente) nei pozzi di fracking degli Usa si usano, ogni anno, circa 529 milioni di m³ di acqua, cinque volte e mezzo il consumo di una città come Milano. Inoltre le sostanze che hanno lo scopo di liberare il gas, iniettate ad alta pressione nel terreno, sono una bomba chimica, utilizzata quasi senza regole e senza un chiaro quadro delle conseguenze. Esattamente come in Europa, dice Andrea Zanoni, parlamentare liberaldemocratico europeo: «L’estrazione dei gas di scisto non è sottoposta alla procedura di Valutazione di impatto ambientale (Via): la legge è nata 28 anni fa e non ha ancora compreso le nuove tecnologie di estrazione. Quello che sto cercando di fare come relatore della nuova direttiva è proprio inserire nell’elenco dei progetti sottoposti a Via anche il fracking» conclude.
MIX MISTERIOSO. Che cosa è disciolto nell’acqua pompata nel sottosuolo? Dopo che molti Stati americani hanno richiesto l’elenco dei composti inseriti nel fluido di fracking, è emerso che contiene molti prodotti chimici (acidi, sali, lubrificanti, biocidi e altre molecole coperte da segreto industriale) e che, una volta nel terreno, può inquinare le falde acquifere, arrivando fino all’acqua che usiamo ogni giorno.
Un articolo sulla rivista scientifica Human and Ecological Risk Assessment segnala che il 75% dei prodotti usati nel fracking può causare danni alla pelle, agli occhi e ai sistemi respiratorio e gastrointestinale, e il 25% è cancerogeno. La parte di fluido che torna in superficie (il 30-70% rimane sottoterra) deve essere mantenuta in vasche speciali e inviata agli impianti di depurazione. Ma ciò che risulta dal trattamento è a volte mandato in semplici discariche o usato come antighiaccio invernale sulle strade. Per i critici di questa tecnica si tratta di fanghi altamente contaminati da metalli pesanti e altro. In Europa non è neanche obbligatorio rivelare la composizione dei fluidi di fratturazione. «Ci sono nazioni che non vogliono inserire l’estrazione dei gas di scisto nell’Allegato 1 della Valutazione d’impatto ambientale» dice Zanoni. «Siamo a uno stallo. Nessuno vuole opporsi al fracking come tecnologia in sé, ma solo cercare di capire e controllare se questa tecnica sia pericolosa o inquinante».
FUGGITIVO. Il metano nel sottosuolo, poi, non sale tutto diligentemente nei tubi per l’estrazione: «Il fracking crea “vie di fuga” artificiali di gas che possono non essere controllabili» spiega Etiope. È un pericolo subdolo, perché queste vie di fuga possono portare il gas a chilometri di distanza dai pozzi. Una volta sfuggito alla sua sede originaria, il gas può entrare nelle falde acquifere e risalire fino al rubinetto, tanto che su YouTube girano filmati la cui attendibilità è dubbia in cui si vede la classica casalinga americana che “accende” con un fiammifero l’acqua del rubinetto.
Se una parte del gas sfugge alla cattura, inoltre, il fracking non è più un toccasana per gli effetti sul pianeta, anzi alimenta l’effetto serra. Il gas da solo, infatti, quando è libero e non bruciato, è 84 volte più efficace dell’anidride carbonica come gas serra: se i pozzi ne fanno sfuggire una parte si perde il vantaggio di avere un combustibile “pulito”. Uno studio recente dell’Università del Texas, sponsorizzato dall’organizzazione ambientalista Environmental Defense Fund e da nove compagnie petrolifere, sminuisce questo rischio, ma sono necessarie ricerche più approfondite per chiarire il punto.
TERREMOTI. Un altro rischio di cui si è parlato molto in Italia è quello dei terremoti: un allarme dilagato dopo il sisma in Emilia del 2012. Ma il pericolo pare infondato. «Potrebbe causare solo piccoli terremoti, spesso rilevabili solo strumentalmente» sostiene Etiope.
«Non può esserci relazione tra fracking e terremoti in Italia» sostiene Etiope «perché da noi non ci sono pozzi per fracking e sembra che nessuna compagnia petrolifera abbia finora chiesto permessi di esplorazione di scisti».
La critica più generale viene però dalle associazioni ambientaliste: secondo Legambiente e Wwf il fracking non è la soluzione ai problemi energetici. Anche se è più pulito di petrolio e carbone, è comunque un combustibile fossile con un impatto sul clima. E le risorse economiche usate per l’esplorazione e l’estrazione sono distolte dalla vera alternativa, cioè le energie rinnovabili. Col fracking, rimaniamo in una terra di mezzo tra queste ultime e i combustibili fossili. Una scelta cruciale per il futuro del nostro pianeta su cui si dovrebbero compiere passi molto più decisi.
Marco Ferrari