Enrico Mannucci, Sette 27/12/2013, 27 dicembre 2013
QUEL CAVALLO BIANCO PROMETTEVA UN MONDO PULITO
È cosa nota che le città occidentali, almeno fino all’Ottocento inoltrato, fossero posti fetidi, e i loro abitanti, secondo gli standard odierni, mediamente puzzolenti. L’hanno spiegato i saggi di Piero Camporesi e di Alain Corbin, ma anche romanzi come Profumo di Patrick Süskind. Ecco, Venezia e i veneziani erano, a quei tempi, meno mefitici. Un po’ per il sistema naturale di fognature rappresentato dai canali (bisogna dirlo abbastanza sottovoce tenendo conto dei già citati standard odierni). Un po’ perché Venezia ha un’antica dimestichezza col sapone (e, da lì, con quelli che oggi si definiscono “prodotti per la cura del corpo”). Nel Cinquecento, infatti, la corporazione dei “saoneri” era forte in città quasi come quella, ben più celebre, dei vetrai: fra calli e campielli contava una quarantina di fabbriche. Va aggiunto che, al tempo, il prevalente uso del sapone non aveva fini precisamente igienici: serviva a raffinare la lana e a ingrassare i cordami delle navi. Però, il terreno era arato. E difatti prosperarono anche le corporazioni dei muschieri e dei venditori “de polvere de Cipro”, già chiaramente vocate ai rudimenti dell’odierna cosmetica. È a Venezia che il concetto di profumo si sposa con una forma alcolica, fino ad allora quel che arrivava dall’Oriente aveva caratteristiche oleose (in latino, appunto, si dice unguentum, non esiste altro termine). Del resto, oltre alla pratica, c’era anche la teoria. Lo dimostrano testi come I segreti dell’arte profumatoria di Giovanventura Rosetti (datato 1555), o l’ancora più antico I segreti medicinali di Magistro Guasparino da Vienexia.
A queste radici fa riferimento una dinastia profumiera, quella dei Vidal, in grande auge nel secondo dopoguerra e oggi, alla quarta generazione, pronta al rilancio in grande stile e ai livelli alti del settore.
Il capostipite è Angelo che, ai primi del Novecento, apre una bottega nel centro storico, a San Marziale: prima produce e vende liscive, varichine e saponi, infine azzarda i primi passi fra colonie e lozioni.
Concorrenza leale. Gli Anni 30 sono la stagione dei Cini e dei Volpi, con lo sviluppo della zona industriale di Marghera orientata prevalentemente sul settore chimico. La ditta Vidal aggancia questo treno. Ha acquistato la Salviati, un’altra ditta veneziana di saponi, poi la Longega, antica fabbrica di profumi. Insieme a marchi e impianti, ingloba conoscenze e antichi segreti nel campo. Ora è guidata da Renzo, uno dei tre figli maschi di Angelo. Vengono registrati i primi marchi: Lauro Olivo, sapone San Marco, sapone Pasubio, anche Pino Silvestre, identificato come “gli aromi del bosco”, viene depositato nel 1935. Pino Silvestre è il nome del grande successo Vidal. Nato come un sapone, dopo la Seconda guerra mondiale Renzo lo riconverte: con quel marchio entra nel settore dei profumi. Non è un passo di poco conto. Perché si parla di profumi maschili, ovvero un genere fino ad allora praticamente ignoto in Italia. Esiste soltanto un altro prodotto simile: Acqua di Selva. Lo fa la Giviemme della famiglia Visconti di Modrone: «Ci fu qualche problema: le confezioni erano simili, tutt’e due puntavano sul verde, la loro era una fiaschetta con tappo di legno. Ma erano nostri amici, ci mettemmo d’accordo per differenziare le offerte. Noi avevamo già il tappo a forma di pigna. Parlammo con Bormioli, grande vetreria di Parma: fu lui a suggerire di espandere il concetto della pigna a tutto il flacone», ricostruisce Massimo Vidal, oggi presidente e ad dell’azienda che ha preso il nome Mavive, nonché accurato custode ed esploratore della memoria storica nel generale campo dei profumi.
La boccetta verde dall’odore forte imperversa nei bagni italiani. Spinta anche da un’incisiva pubblicità. Vidal riesce ad accaparrarsi uno spazio fin dai primi Caroselli. All’inizio, nel 1956, il protagonista è un divo assoluto: Amedeo Nazzari, nella parte di un boscaiolo alle prese con una foresta di conifere, perfetto per smantellare negli uomini italiani ogni remora sulla scarsa mascolinità dell’oggetto-profumo. Nella fase successiva, l’essere umano praticamente scompare. Il riferimento va direttamente alla natura: va in scena la prorompente vitalità di un cavallo che corre, salta, si impenna. Nei primi trailer, vicino a una famiglia sulla riva di un fiume. In seguito, irrompendo nei panorami di riconoscibilissime città italiane (il cavallo, in realtà, non è stato uno soltanto: se ne sono alternati diversi sui set, una femmina araba è quella che è rimasta più impressa nelle memorie familiari). L’operazione pubblicitaria si sovrappone a uno slittamento produttivo. Siamo agli inizi degli Anni 60. Ha fatto la sua comparsa in Italia una misteriosa cosa tedesca, si chiama Badedas e fa una gran schiuma nella vasca da bagno (presto si scoprirà che si può anche usare sotto la doccia): «Roba che, fino ad allora, si era vista solo al cinema, nei film americani. E noi, nel 1967, usciamo con il marchio Pino Silvestre bagno schiuma. Un azzardo, ma anche un’operazione di educazione del consumatore italiano invitato a usare qualcosa mai maneggiato prima». Coronata a lungo dal successo. «Però c’era un limite: la connotazione olfattiva molto maschile. Quindi Vidal, dalla metà degli Anni 70, diventa una vera e propria linea di bagni schiuma dalle diverse profumazioni, rivolti anche al pubblico femminile», spiega Massimo, incarnazione della continuità dinastica. È lui, infatti, che riesce a superare il momento della crisi. Che arriva all’inizio degli Anni 80.
Nuovi aromi. C’è una frattura fra la seconda e la terza generazione quando una parte dei nove figli, nel 1981, decide di vendere le proprie quote alla Henkel, una grande azienda tedesca che ottiene la maggioranza dell’azionariato. Solo Massimo resta, come responsabile internazionale. E coglie presto la palla al balzo: «Quando, nel 1986, la Henkel, seguendo la logica “usa e getta” delle multinazionali decide di vendere il marchio Pino Silvestre, riesco a rilevarlo. E creo Mavive». Accanto al vecchio Pino, arrivano presto altri marchi e licenze: Monotheme, poi Replay, Zippo, Police, Pal Zileri. Siamo all’oggi. Con il lancio di una propria linea intitolata “The Merchant of Venice”, uno scarto sensibile verso la gamma più alta del settore.
Estrosi, e consapevoli di poter contare su un enorme patrimonio di tradizioni, i Vidal giocano su quelle anche per il lancio di quest’ultima creazione. Fanno così riferimento alle “mude”, le rotte che regolavano i traffici commerciali della repubblica veneziana e che, quando puntavano verso Oriente, alimentavano lo scambio con le essenze preziose da lavorare poi e trasformare in profumi veri e propri: ne individuano sei che fanno da ispirazione ad altrettante fragranze della linea Merchant of Venice. Il cui battesimo, peraltro, coincide con un’operazione congiunta assieme ai Musei civici di Venezia, che ha portato Mavive a sponsorizzare il restauro e il recupero di Palazzo Mocenigo, già Museo del tessuto e del costume, con l’apertura di cinque sale dedicate al profumo e alla sua storia.
Non contenti, i Vidal hanno aperto il loro negozio-simbolo (il primo di quattro a Venezia, poi di molti altri per il mondo) recuperando la farmacia di San Fantin, accanto alla Fenice, una fantastica bottega storica, di origine secentesca, risistemata, a metà Ottocento, da Giambattista Meduna, l’architetto che già aveva messo mano al vicino teatro: boiserie a volontà, simboli esoterici e quattro grandi sculture di Pietro Zandomeneghi.
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