Paola Sorge, il Venerdì 27/12/2013, 27 dicembre 2013
D’ANNUNZIO, QUEL GENIO. DEL MARKETING
Una dote decisamente inimitabile di Gabriele d’Annunzio era quella di trasformare in oro tutto ciò che toccava. Già in vita, novello Re Mida, fece impazzire i collezionisti portando autografi ed edizioni di lusso dei suoi libri a quotazioni altissime; tutto ciò che scriveva, che possedeva, che donava, acquistava un potere irresistibile come fosse stato avvolto da un’aura magica.
La magia dura tuttora, e non importa se ci troviamo in un’epoca lontana anni luce da quella cui il Vate spopolava, in cui era considerato una sorta di semidio; perfino la dura rimozione del personaggio avvenuta negli anni del secondo dopoguerra non ha minimamente intaccato il fascino non poi tanto discreto di manoscritti, prime edizioni e cimeli dannunziani, basti pensare alla cifra sborsata negli anni Novanta dal Ministero dei Beni Culturali per acquisire il Fondo Gentili: ben 4 miliardi e trecento milioni di lire.
Oggi il mercato di lettere, libri rari e di oggetti appartenuti al Vate o da lui donati, alcuni dei quali giunti miracolosamente intatti fino a noi, è più che fiorente. Dietro c’è tutto un mondo di collezionisti appassionati, sparsi in tutta Italia, disposti a spendere ogni loro risparmio per acquistare qualcosa del Vate.
«Negli anni Cinquanta parlare di D’Annunzio era come parlare del diavolo», dice Licio di Luzio, di Pescara, uno dei collezionisti più documentati e più devoti del Vate. «Il mio professore di liceo lo trattava malissimo. Io, quasi per sfida, ho cominciato ad amarlo. Circa quarant’anni fa, in un’asta di tappeti, trovai per caso un libro con dedica autografa del poeta, cominciai così la mia raccolta. Quando D’Annunzio ti prende, ti prende totalmente: trovare qualcosa di suo è ogni volta un’emozione, avere tra le mani una sua lettera significa per me stabilire un contatto fisico con lui…».
Tra le oltre cento lettere autografe della collezione Di Luzio, c’è quella inedita, di ben undici pagine, inviata nel 1923 a Costanzo Ciano (padre di Galeazzo), allora sottosegretario alla Marina, in cui D’Annunzio rimprovera il suo amico e compagno di spedizione nella celebre Beffa di Buccari di averlo tradito. In effetti da lui non ebbe nessun appoggio quando difese strenuamente i diritti dei Lavoratori del mare contro gli interessi degli armatori (alla fine però il poeta, sindacalista ante litteram, riuscì a spuntarla facendo firmare a Mussolini il Patto Marino).
Entrare nel mondo dei collezionisti dannunziani è come fare un tuffo nel passato: qui l’incredibile carisma del Vate resta inalterato nel tempo; qui tutti, anche i giovani, iniziati solo da qualche anno al culto del poeta, sono animati da un entusiasmo autentico e senza limiti. Marco (nome di fantasia), giovane operaio metalmeccanico del nord, ha piantato il lavoro per dedicarsi alla raccolta di carte e cimeli dannunziani. Alessandro Rossi, di Milano, che ha iniziato nel 2009 una collezione di prime edizioni (oggi rarissime), dichiara subito di non essere un esperto del Vate, di non aver letto che qualche sua poesia. Ma è rimasto fortemente colpito dalla cura quasi maniacale del poeta per la veste tipografica, a volte sontuosa, delle sue opere. Anche Davide Lissandrin, di origini pescaresi, collezionista di autografi, fino a pochi anni fa sapeva ben poco del poeta. Non aveva nemmeno il coraggio di entrare a Casa D’Annunzio, ci confessa; ma quando infine si è risolto, si è sentito prendere da un vortice irresistibile. «Ogni lettera contiene un pensiero affascinante che ti coinvolge, d’Annunzio è una scoperta continua!». Ora ha una collezione di tutto rispetto in cui spicca una poesia autografa del D’Annunzio adolescente: Paesaggio, del 1879, poi inserita in Primo Vere. E c’è chi,come Augusto Traina, di Bologna, ha raccolto migliaia di cartoline dedicate al Vate, francobolli di Fiume, ex libris disegnati da Sartorio, calendarietti profumati, distribuiti dai barbieri, illustrati con le gesta del poeta-soldato, nonché oggetti cult, come una tabacchiera d’argento dei tempi di Fiume e il braccialetto d’oro donato dal poeta ai piloti del volo su Vienna con inciso il motto Ibis, redibis, non morieris in bello, (Andrai, tornerai, in guerra non morirai), comprato venticinque anni fa a un’asta per tre milioni di lire.
All’Olimpo dei grandi collezionisti dannunziani appartiene indubbiamente Mario Paglieri, noto industriale di Alessandria. Il suo immenso patrimonio dannunziano sfiora oggi gli otto-novemila volumi. «A sedici anni ho letto Il piacere che avevo in casa ( mio padre aveva comprato l’Opera omnia) e me ne sono subito innamorato» racconta. «Poi ho cominciato ad acquistare materiale consultando i cataloghi delle librerie antiquarie, cosa che faccio tuttora. Certamente possiedo delle rarità, come la prima pubblicazione dello Statuto di Fiume con la parola repubblica poi cancellata, i preziosi volumi della collezione Guabello tra le cui pagine sono inserite lettere autografe di d’Annunzio alla sua amante Barbara Leoni, una copia della rarissima biografia della Divine Comtesse ( la Contessa di Castiglione), con prefazione di D’Annunzio…».
A Paglieri chiediamo le quotazioni degli autografi dannunziani. Ci spiega che le lettere possono valere minimo 200-300 euro a pagina; quelle lunghe, di cinque pagine e di interesse letterario o storico, possono arrivare fino a 1300 euro. Gli oggetti appartenuti al Vate o da lui firmati arrivano a volte a prezzi altissimi. La penna d’avorio con dedica alla domestica (e amante) Emilia, può valere anche settemila euro. Un piccolo fermacravatte in oro fatto da Renato Brozzi per il poeta ne vale circa tremila, per non parlare dello splendido cuore di smeraldo contornato da diamanti firmato Buccellati che il poeta donò alla sua compagna degli anni del Vittoriale, Luisa Baccara.
Sin da giovane, D’Annunzio-Re Mida ripagava gli amici che lo ospitavano con versi d’occasione o con lettere di cui già intuiva il valore. Nei momenti di magra, ricopiava o faceva ricopiare dal figlio Gabriellino (che imitava perfettamente la calligrafia del padre), il manoscritto di una sua opera che poi vendeva a caro prezzo; munifico come un principe del Rinascimento, firmava sempre i suoi doni, cosciente di aumentarne in tal modo il valore. Con una penna dalla punta di diamante incideva il suo nome su portasigarette e tabacchiere in oro o in argento; all’interno degli astucci che contenevano i gioielli per le sue amanti, scriveva una dedica con data; sui portafogli di marocchino blu donati agli amici applicava la sua firma in argento dorato; i quadrati magici, ossia i foulard in seta da lui disegnati, tutti con uno dei suoi celebri motti, sono ancora oggi sul mercato: quelli stampati valgono circa mille euro, quelli dipinti a mano arrivano anche a 8-10 mila.
Giovanni Maria Staffieri, grande collezionista di Lugano, ha acquistato di recente una scatola contenente cinque metri di seta a fiori disegnata dal poeta stesso, con tanto di etichetta con su scritto Gabriel Nuntius Vestiarius Fecit: era destinata a Paola Borboni, allora giovane e intrepida attrice ( fu la prima ad apparire sulle scene a seno nudo) che però non collaborò mai con il Vate.
Paola Sorge