Gianluca Baldini, il Venerdì 27/12/2013, 27 dicembre 2013
LO STRANO CASO DEI CONTI CORRENTI CON I COSTI PIÙ ALTI D’EUROPA
ROMA. Chi ha inventato il concetto di conto corrente doveva essere un genio. In pratica, questo è l’unico caso al mondo in cui paghiamo qualcuno per prestargli i nostri soldi, mentre di solito è la parte finanziata che paga, non il finanziatore.
In effetti, le banche guadagnano due volte: la prima, facendo pagare per la gestione del conto corrente; la seconda, utilizzando i risparmi dei correntisti per prestare poi il denaro e fare affari attraversola concessione di mutui immobiliari, finanziamenti, e chi più ne, più ne metta. L’unica cosa che ogni correntista ottiene per il disturbo è un misero tasso d’interesse, che però, come tutti sperimentiamo, ogni anno si assottiglia sempre un po’, tanto da non bastare nemmeno a contrastare l’incedere dell’inflazione.
Il problema è che in Italia - sarà perché la banca più antica del mondo è nata proprio da noi, a Siena - le spese di gestione del conto corrente sono ben al di sopra della media europea. Anzi, tra i più salati al mondo. Ma di quanto? Difficile dirlo. Però c’è chi ha provato a fare una stima. Secondo l’associazione di consumatori Adusbef, un conto corrente italiano in media costa la bellezza di 347 euro l’anno contro una media Ue di circa 114. La Commissione europea ha stimato invece una tariffa annuale vicino a 250 euro, ma va detto che le statistiche di Bruxelles sono un po’ datate e risalgono al 2009. Il problema è che stiamo parlando di costi che, in un modo o nell’altro, ogni anno aumentano un pochino.
Secondo un’analisi di Of-Osservatorio finanziario, un istituto che si occupa di monitorare l’andamento dei prezzi dei prodotti bancari, il costo medio annuo per gestire un conto corrente nel 2013 è di 76,12 euro con un aumento del 15,77 per cento rispetto alla media del 2012, che era di 65,75 euro. Insomma, quantificare la reale media dei costi di un conto corrente è pressoché impossibile ma tutti concordano su un punto: le spese per averne uno ogni anno salgono sempre un po’.
Fra l’altro, capire a quanto ammontano è cosa tutt’altro che semplice. Per questo la Banca d’Italia ha provato a rendere la vita degli italiani un po’ più semplice attraverso i profili di operatività e l’Isc, l’Indice sintetico di costo. In poche parole, sul materiale informativo di ogni conto corrente viene riportato un valore che misura la spesa complessiva annua necessaria per gestire ogni deposito bancario e che viene calcolato per diverse categorie di correntisti (famiglie, giovani, pensionati), in base al numero di operazioni che si effettuano ogni anno.
L’Isc serve quindi da bussola in un settore dove la trasparenza è un bene per pochi. In ogni caso, chi non è felice del proprio conto corrente può cambiarlo seguendo la tabella di marcia consigliata da PattiChiari, il consorzio di banche nate il 9 settembre 2003 per aumentare la trasparenza nei confronti dei risparmiatori.
«Sono soprattutto i nuovi conti correnti a essere più cari di prima, perché contengono numerosi servizi aggiuntivi rispetto agli standard» spiega Francesca Tedeschi Di Dario responsabile di Osservatorio finanziario, «soprattutto alcuni conti per famiglie emessi per lo più da banche territoriali come ad esempio Bpm, comprendono anche modalità di risparmio che tendono a far risparmiare sulle commissioni e calcolano le spese a forfait. Mentre i conti correnti fai-da-te costano meno o almeno mantengono i costi di un tempo ». E ancora: «Però, ad esempio, sia UniCredit sia Intesa Sanpaolo hanno eliminato la soluzione a zero euro dal loro carnet prodotti, mentre CheBanca! ha cambiato la policy suddividendo il conto in due, quello gratuito che si usa solo online e quello che si usa anche in filiale, che invece è a pagamento. E questa è la tendenza di tutti gli istituti per spingere sempre più i clienti che non hanno bisogno di altri prodotti a non andare in filiale e a fare da soli» conclude. Sembra dunque chiaro che a fare salire il prezzo non è il conto in sé ma l’insieme dei servizi annessi. «Quando ho sottoscritto un mutuo con Intesa Sanpaolo, mi è stato chiesto di aprire contestualmente un conto corrente » spiega Francesca, una ragazza milanese di 33 anni che ha appena comprato casa. «Sono riuscita a contrattare di non pagare il canone mensile, ma quando non ritiro contante dai bancomat del circuito Intesa, devo pagare due euro di commissione. Prima ero cliente di un’altra banca e non funzionava così» spiega.
Il conto corrente, in realtà, è un po’ come il medico: non si cambia mai, se non per stringente necessità. Basti pensare che, secondo un sondaggio di Ipr Marketing, un italiano su due è cliente dello stesso istituto di credito da oltre dieci anni. Tutto questo, nonostante non siano più previsti costi per la chiusura del conto e nel disegno di legge collegato alla Legge di stabilità del governo Letta sia prevista una norma che consentirebbe al cliente di spostarsi di volta in volta nell’istituto che offre le migliori condizioni senza alcun vincolo e spesa.