Katy Mandurino, Il Sole 24 Ore 27/12/2013, 27 dicembre 2013
SENZA STRADE SPRECATI 1.500 EURO AL GIORNO
«La Pedemontana? Nemmeno l’ombra... Eppure ci siamo trasferiti in questa zona industriale sulla scia della promessa del collegamento pedemontano e anche della bretella fino a Cittadella. Dal 2009 ad oggi non abbiamo visto né l’uno né l’altra».
Simone Zulian è ad delle Fornaci Zulian, fabbrica di calce, 26 addetti e 40 autotrasportatori, 12 milioni di fatturato annuo. È a Fontaniva, alta Padovana, zona produttiva che assieme al Bassanese conta 270mila abitanti e 30mila imprese, il 6,6% della quota regionale, il 14% dell’export veneto. Oramai gli imprenditori sono stanchi di ripetere che ogni giorno l’assenza di infrastrutture porta via alle aziende e al territorio molti quattrini. «Circa 1.500 euro al giorno – spiega Zulian – se si calcola che, per fare i 12-14 chilometri in più previsti, ogni viaggio dei cento giornalieri mi costa 1,20 euro a camion». Più o meno 500mila l’anno. La Pedemontana veneta è solo una delle tante bretelle, raccordi, svincoli, tratti autostradali, che i distretti produttivi italiani aspettano da decenni. E non è solo questione di mancanza di denaro. Spesso a bloccare l’opera sono cavilli burocratici, proteste cittadine, cambi politici di amministratori locali o la mancata partenza di strumenti come il project financing, su cui si fa in anticipo un eccessivo affidamento. La Pedemontana tra Vicentino e alto Trevigiano è attesa in Veneto da 47 anni, l’investimento previsto è di 2.130 milioni, il recente decreto del Fare ha assicurato 370 milioni, ma sono in forse i contributi del Governo, che la Regione si è vista trasferire in conto capitale. I veneti aspettano anche il prolungamento della A31, la Valdastico Nord, 53 chilometri tra Vicenza e Trento. I soldi ci sono, il via libera europeo pure, ma l’opera è osteggiata dai comitati dei cittadini e dalla Provincia autonoma di Trento, che mal digerisce nuove opere sul proprio territorio. Così come resta sulla carta il prolungamento della A27 fino al Cadore, sopra Belluno.
La situazione veneta non è isolata. In Piemonte, dopo 40 anni di annunci, è sfumata la realizzazione del cosiddetto Peduncolo di Biella, che avrebbe agevolato il distretto del tessile (si veda pezzo in pagina). Mentre non è ancora finita la tormentata storia della Asti-Cuneo, autostrada monca del pezzo centrale, 800 milioni di spese per 8,9 chilometri, bloccata da lungaggini procedurali, sempre ad un passo dal via libera finale. In Liguria gli imprenditori dell’ardesia attendono da anni il tunnel Rapallo-Fontanabuona, opera da 233 milioni, di cui 25 già stanziati dalla Regione, ferma perché non inserita nella programmazione quinquennale di Autostrade per l’Italia. Dopo il crollo del ponte di Carasco a causa del maltempo, di fatto il Tigullio è isolato. Non va meglio in Lombardia, dove le imprese della Val Trompia, sopra Brescia, aspettano da mezzo secolo un raccordo autostradale di 5 chilometri tra Concesio e Sarezzo. E qui si verifica un fenomeno comune a tutta la penisola: i soldi concessi ad Anas dalla Brescia-Padova per gli espropri sono legati al prolungamento della concessione alla Brescia-Padova fino al 2026, che è legato a sua volta al progetto definitivo della Valdastico Nord. Se non arriva questo, non arrivano quelli. E sempre in Lombardia resta ostaggio delle controversie tra territorio, comuni e imprese la Broni-Mortara (investimento da un miliardo) nella provincia di Pavia.
Anche in Friuli Venezia Giulia, regione a statuto speciale, le imprese del Livenza chiedono da anni la strada del Mobile, percorso nel Pordenonese che agevolerebbe il distretto del legno-arredo. Un po’ più a est, l’alta densità di aziende del distretto del coltello, del metallo e della componentistica bramano la Cimpello-Sequals-Gemona, tratto tra la provincia di Pordenone e quella di Udine. Previsto in project financing, con un costo di più di un miliardo, il progetto è stato congelato per scelte politiche.
L’Emilia Romagna è un altro vaso da scoperchiare: oltre alla bretella Campogalliano-Sassuolo (si veda il Sole del 12 novembre), arteria vitale per la ceramica, l’opera di cui si parla da decenni è la Cispadana, 67 chilometri da Reggiolo a Porto Garibaldi, tratto che permetterebbe il collegamento tra Tirreno e Adriatico, costo complessivo un miliardo e 100 milioni; innumerevoli le diatribe, impossibile districarsi tra le competenze, le responsabilità, le norme "mutanti" che insistono sull’opera.
Man mano che si scende verso sud, lo scenario si ripete: lo sviluppo dell’Umbria è legato alla realizzazione delle opere infrastrutturali del quadrilatero Marche-Umbria. C’è l’impegno del Governo ma i soldi servono a coprire solo alcuni tratti, quindi si va avanti (negli anni) a spizzichi e bocconi. In Abruzzo da 27 anni aspettano il collegamento Montesilvano-Collecorvino, mentre sono 53 gli anni di attesa per la E78 Fano-Grosseto, investimento da 4 miliardi e 365 milioni per 270 chilometri, una manna per il distretto delle cucine di Pesaro e per le produzioni dell’alta valle del Tevere in Umbria, che dopo numerose controversie politiche ora è tra le priorità del governo Letta. E ancora: lo svincolo di Scopoli a Foligno, il collegamento Rieti-Turano lungo la dorsale appenninica nel Lazio, la statale 172 dei Trulli in Puglia, l’autostrada Ragusa-Catania in Sicilia, la statale 96 Bari-Matera in Puglia (si veda pezzo in pagina), la statale 131 in Sardegna. L’elenco è lunghissimo. Una lista sconfortante, anche se qualcosa si sta muovendo e lo dimostrano lo sblocco della Orte-Mestre e la prossima realizzazione della terza corsia della A22 tra Verona e Modena. Ma per lo sviluppo e la tutela dell’economia territoriale è insufficiente. Le opere progettate, iniziate, ostacolate e mai compiute, restano una anomalia tutta e (per lo più) solo italiana.
Prima di una serie
Le precedenti puntate sono state pubblicate il 4, 6, 10, 13, e 19/12