Filippo Facci, Libero 27/12/2013, 27 dicembre 2013
LE PAROLE PER DIRLO
Le città sono rase al suolo, non esistono strade, ferrovie, trasporti, uffici postali, scuole; le banche sono chiuse, il denaro non vale nulla, gli ospedali sono un caos, non esistono istituzioni né polizia né tribunali né linee telefoniche, la radio non trasmette, i giornali non escono, i negozi sono distrutti o depredati, le sole attrezzature disponibili sono tra le macerie, soprattutto non c’è cibo, la gente ruba ciò che riesce, uomini in armi vagano per le strade e saccheggiano, violentano, si vendicano persino sui bambini. Questo era il dopoguerra europeo tra il 1944 e il 1945, ciò che gli storici chiamano «Stunde null», ora zero. Io continuo a ripensarci dopo le parole del centro studi di Confindustria, che per impressionarci ha parlato di un’Italia «con danni commisurabili solo con quelli di una guerra ». Ecco, forse il centro studi non ha studiato abbastanza. E vien da chiedersi, di fronte alla triste condizione del nostro Paese, se non dovremmo anche ricominciare a riappropriarci del linguaggio, del suo senso reale, della Storia, della misura: anziché perpetuare un drogatissimo e inservibile vocabolario mediatico che ha reso non credibili politici, giornalisti e ora - benvenuti - anche gli amici di Confindustria. La verità è sufficiente, per raccontarcela abbiamo bisogno di ritrovare il significato delle parole, non di vendercele tra di noi come un prodotto da strillare. Buone feste. Che significa solo: buone feste.