Claudio Antonelli, Libero 27/12/2013, 27 dicembre 2013
PER FARE AFFARI CON LE SIGARETTE MEGLIO IRAN E COREA DELL’ITALIA
Una piccola azienda di sigarette made in Italy festeggia il 2013 con due record. Vendere le Yesmoke in Corea del Nord e pure in Iran. Due nazioni considerate inaccessibili e che invece hanno aperto le porte al tabacco nostrano e lasciando aperta, a detta dei due titolari, una vera e propria prateria di crescita commerciale.
I proprietari di Yesmoke spa sono due fratelli, Carlo e Gianpaolo Messina. Nel 2007 sbarcano in Piemonte per investire circa 40 milioni di euro nella realizzazione della prima fabbrica privata italiana di sigarette su licenza dello Stato. Realizzano uno stabilimento a Settimo Torinese: 15mila metri quadrati, di cui 7mila coperti, in grado di produrre 10 miliardi di sigarette l’anno. Negli ultimi due anni da 4mila chilogrammi al mese a 50mila. La “breve” storia di Yesmoke è costellata di cause e battaglie in tribunale. Prima il colosso Philip Morris. Poi il Tar del Lazio sul prezzo minimo dei pacchetti in Italia. Una lunga serie di eventi mediatici che «ci ha fatto conoscere come produttori indipendenti e fuori dal coro e ci ha aperto alcune strade », spiega a Libero Carlo Messina, ad della Yesmoke.
Così l’ambasciata della Corea del Nord contatta gli uffici di Settimo Torinese e in due tranche ordina 31 container di sigarette. Terminate le scorte, i rapporti sono diventati continuativi e Messina (che trascorrerà la fine dell’anno a Pyongyang) ha programmato per il 2014 un viaggio ogni tre mesi nella terra di Kim Yong Un.
«I buoni rapporti con la Corea del Nord ci hanno favorito in Iran, dove dall’anno scorso rappresentiamo la Nenaegohyang Jvc, principale produttore di sigarette della Corea del Nord (paese che in Iran non paga dazi di importazione sulle sigarette, ndr)» prosegue Carlo Messina, «abbiamo visto che la fiducia riposta in noi dai Coreani è anche un biglietto da visita per la nostra azienda in altri mercati».
Così oggi Yesmoke oltre a fornire di miscele di tabacchi alla Arian Tobacco, uno dei principali produttori di sigarette dell’Iran, le fa da consulente e segue la nascita di un impianto da circa 20 milioni di euro con macchinari made in Italy.
Ati (Arian Tobacco Industry) è collegata a una delle più grandi società di Teheran, la Poushineh Industrial group che storicamente si occupa di prodotti tessili, plastica, polimeri e derivati del settore petrolchimico. Ati ha l’obiettivo di crescere sul mercato estero e superare i confini iraniani. Al momento produce due marchi distinti. Un po’ poco. Ma evidentemente nella partnership con l’Italia vede possibilità di differenziazione. D’altro canto, «i mercati dei Paesi non allineati sono ricchi di opportunità - prosegue Messina - e le multinazionali non possono dominare. Per noi comunque si rende necessario non puntare al profitto immediato ma guardare lontano, instaurando rapporti di fiducia e collaborazione nel lungo termine ».
In Italia la fabbrica di Settimo produce per il target più economico: quello dei pacchetti a 4 euro. La strategia di marketing, sbandierata sul sito della società con toni poco pacati, è creare un mercato concorrenziale dove i piccoli produttori «non siano più costretti ad aumentare il prezzo quando salgono i grandi produttori». Questo mercato più aperto dovrebbe far scendere le entrate fiscali generate dalla vendita di sigarette. «Presto verrà ricalcolata l’accisa minima, ossia il livello minimo di tasse da pagare sulla vendita di un pacchetto di sigarette. Questa è determinata dalla fascia di prezzo con più vendite che, dal 2005 ad oggi, é sempre stata la fascia più bassa del mercato» commenta Messina, «i prezzi scendono, la tassa minima scenderà, e scenderanno le entrate fiscali. Questo determinerà un circolo vizioso che costringerà lo Stato ad alzare l’ali - quota dell’accisa. Ovviamente, alzando da subito le accise, lo Stato fermerebbe la discesa dei prezzi, aumentando le entrate fiscali».
Così Yesmoke punta a sollevare un altro polverone dentro i nostri confini. Nel frattempo va avanti nei Paesi di nicchia, nei mercati paralleli e solitamente chiusi. Anche se sostiene il fondatore «per noi è più facile vendere a Pyongyang o a Teheran piuttosto che a Roma».