Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  dicembre 22 Domenica calendario

WAGNER, MUSA DI D’ANNUNZIO


Le cose più infami su Wagner sono state scritte da Federico Nietzsche: almeno nell’Ottocento, ché il Novecento le ha raccolte, parafrasate, involgarite. Nel centenario di Bayreuth e in quello della morte del Sommo si videro enormità nella stessa infamia. Ma nel Novecento si ebbe un’enormità nell’infamia già nel 1933, cinquantenario della morte: Thomas Mann pronunciò a Monaco un discorso commemorativo a seguito del quale un manifesto intitolato Monaco città wagneriana insorse: tra i firmatari due sommi compositori quali Richard Strauss e Hans Pfitzner, direttori d’orchestra quali Siegmund von Hausegger e Hans Knappertsbusch. Gli argomenti nicciani contro Wagner vengono riesposti in un saggio da Mann denominato Dolore e grandezza di Richard Wagner che va per la maggiore presso i retori e gl’ignoranti.
Gabriele d’Annunzio non perse un giorno per confutare gli argomenti di Nietzsche. E siccome il suo è il caso dell’artista della letteratura che ha avuto i più profondi rapporti con la musica, in questo anno che celebra anche il centocinquantenario dannunziano occorre che ne facciamo cenno.
A quel che dicono gli specialisti, Gabriele non conosceva il Tedesco, onde la sua presa di possesso di Nietzsche avvenne pel tramite delle traduzioni francesi di Daniel Halévy: ma si tratta d’una presa di possesso assoluta e totale, anche perché in Gabriele tratti sovrumanisti (vulgo detti superomistici) si reperivano già prima del verbo nicciano. E allora tre articoli sulla napoletana Tribuna, apparsi nel 1893 (e ripubblicati quest’anno per l’editrice Elliot a cura di Paola Sorge) fanno addirittura piazza pulita e si pongono alla sommità dell’esegesi wagneriana. D’Annunzio attacca Nietzsche dal punto di vista filosofico dimostrando la fallacia della sua idea della décadence e dell’aver considerato Wagner l’espressione culturale più intensa di detta Decadenza. Il filosofo oppugna l’etica della Compassione affermata da Wagner; e il valore della Rinuncia, che Wagner pone al vertice della scala insieme colla Compassione.
Abbiamo da fare qui soprattutto col Parsifal. Il re Amfortas, che ha il fianco affetto da un’orribile piaga destinata a non sanarsi mai, mentr’è in preghiera è visitato da un’apparizione angelica: e gli si profetizza: «Durch Mitleid wissend der reine Tor: harre sein den ich erkor». «Colui che fu reso sapiente dalla Compassione, il puro Idiota, attendilo: io l’ho eletto». La Compassione è il Mitleid: e chi trascorre per essa diviene sapiente. La Rinuncia è invece l’Entsagun e il Parsifal ne è tutto contesto: nel secondo atto il Puro Idiota, ossia quegli che non vive di preconcetti, insegna a Kundry a rinunciare e attraverso la rinuncia anch’ella sarà salvata, sebbene la salvezza per lei significhi il poter morire, condannata alla sopravvivenza attraverso gli Eoni per aver insultato colla risata al Cristo condotto al Calvario. Qui ci sarebbe da affrontare un tema non toccato da d’Annunzio: noi lo enunciamo soltanto. Le ultime parole della Festa scenica sacra, così possiamo tradurre il Bühnenweihfestspiel di Wagner, sono Erlösung dem Erlöser, ossia Redenzione al Redentore, e l’interpretazione del verso è complessa come ciascuno può immaginare. Per ciò che concerne la Rinuncia, aggiungiamo che d’Annunzio qui dimentica il ruolo che essa ha nei Maestri cantori: in questa partitura ha addirittura un Motivo suo proprio sul quale è basato il meraviglioso Preludio al secondo atto (Mann ne fa un’oscena ridicolizzazione nel Romanzo scritto durante la Seconda Guerra mondiale, il Doktor Faustus).
Nei tre articoli Ariel musicus giunge a una verità fondamentale: lungi dall’essere il genio istrionico che Nietzsche pretenderebbe, Wagner è supremo musicista assoluto e la sua musica possiede una profonda bellezza a prescindere dalla funzione teatrale. «Qui è il grossolano errore, o la vana ingiustizia. Per me, e per i miei pari, la superiorità di Riccardo Wagner sta appunto in questo: che la sua musica è, in gran parte, bellissima, ed ha un alto e puro valore di arte indipendetemente dalla faticosa macchinazione teatrale e dalla significazione simbolica sovrapposta». E il terzo degli articoli napoletani in chiusura si esprime con queste parole stupendissime: «Riccardo Wagner non soltanto ha raccolto nella sua opera tutta questa spiritualità e questa idealità sparse intorno a lui, ma, interpretando il nostro bisogno metafisico, ha rivelato a noi stessi la parte più occulta di nostra intima vita. Ciascuno di noi, come Tristano nell’udire l’antica melodia modulata dal pastore, deve alla virtù misteriosa della grande musica la rivelazione diretta d’una angoscia nella quale ha creduto di sorprendere l’essenza vera della sua propria anima e il segreto terribile del Destino».
I rapporti di Ariel musicus con Wagner non si fermano qui; a prescindere che saggi di grandi Scrittori (Ettore Paratore e Piero Buscaroli in primis) mostrano i legami strettissimi del Poeta con tutta la musica; e la rivendicazione del nostro Rinascimento polifonico e rappresentativo; e del nostro Settecento. Io mi limito a ricordare, giacché sul tema anch’io oserò aggiungere un libro a questi due grandi nomi, che nella collana Il Vittoriale degli Italiani d’Annunzio pubblicò il fac-simile della partitura autografa della Norma di Bellini; su questo autografo già prima di essa straordinaria pubblicazione Gino Marinuzzi aveva basato la propria edizione del capolavoro i suggerimenti della quale sono tutti accolti nella recentissima edizione critica.
Gli specialisti dannunziani sostengono l’influenza di Wagner estendersi alla medesima tecnica costruttiva dei Romanzi: essendo questa concepita giusta sistema tematico, coi temi che vengono esposti, giustapposti, soggetti a metamorfosi, estinti. Il medesimo ritengono per Mann gli specialisti manniani, per Proust gli specialisti proustiani; e che la cosa per d’Annunzio avvenga con profondità maggiore e superiore tecnica narrativa, non è questo il luogo per illustrare. Veniamo piuttosto a mostrare come Wagner divenga soggetto narrativo stesso.
Il trionfo della morte è del 1894. D’Annunzio vi narra la vicenda d’un poeta e musicista, Giorgio Aurispa, il quale nutre in sé gli opposti impulsi d’una violenta carnalità e d’un desiderio di sopprimere da sé la carne. Il Romanzo si concluderà con Giorgio che si precipita da un’alta rupe trascinando con sé l’amante Ippolita. Si tratta non d’un Liebestod, con che si termina il Tristano e Isolda, una Morte d’Amore, bensì d’un Hassetod, una Morte d’Odio. Tuttavia il Tristano ha nel Romanzo un ben maggior ruolo. Giorgio si ritira con Ippolita in un eremo ove si fa raggiungere da un pianoforte e una piccola biblioteca musicale: vi campeggia il Tristano. È questa l’occasione per una parafrasi letteraria della somma partitura che non ha eguali nell’intera storia letteraria per ampiezza e profondità, in un vibrante sermo numerosus, ossia prosa ritmica, che aderisce alle movenze e al ductus di Wagner. Poiché d’Annunzio non possedeva i fondamenti tecnici del linguaggio musicale, occorreva necessariamente si fosse rifatto a una fonte; ch’è stata individuata nel libriccino d’un certo Nerthal (nessuno è riuscito a identificarlo) intitolato La passion dans un drame wagnerien e dedicato al Tristano. Lo posseggo anch’io, avendolo acquistato negli anni Settanta da un ambulante su di un Lungosenna insieme con i libelli dello stesso autore sul Tannhäuser e sul Parsifal. Il divario tra la fonte e il risultato ridonda, occorre dirlo?, tutto a onore del Pescarese.
Nel successivo Fuoco d’Annunzio immagina la vicenda d’un altro artista italiano, Stelio Effrena, poeta e musicista, il quale vuole concepire un Dramma, ispirato a quello classico greco, da contrapporre alla creazione cui è dedicato un teatro sulla collina bavara. Della tecnica costruttiva delle opere di Stelio la descrizione è minuta e di nuovo si torna a un sistema tematico d’impronta wagneriana. Ma v’è di più: del Romanzo Wagner è anche personaggio. D’Annunzio lo descrive, pallido e minuto, nei giorni veneziani che precedono la morte; e se la descrizione è un capolavoro letterario, è un capolavoro anche di pietas. Nessun Tedesco è riuscito a suscitare nel lettore tanta tenerezza parlandosi di Richard.
Ci sarebbe tantissimo da dire ancora: a principiare degli Statuti di Fiume conquistata dal poeta-soldato e dal luogo in essi fatto alla musica. Mi termino qui: ma per aggiungere che, celebrandosi in questo anno anche il centenario verdiano, l’Ode di Gabriel in morte di Giuseppe Verdi non è un capolavoro della poesia italiana, lo è di quella mondiale .