Gianluca Veneziani; T.M., Libero 24/12/2013, 24 dicembre 2013
ANZICHÉ ABOLIRLE OCCUPANO LE PROVINCE
[due pezzi]
La presunta lotta del Pd contro la Casta serve soltanto a un gioco politico che potrebbe tornarle utile. La sinistra vuole infatti abolire le Province al fine di sistemare i sindaci rossi dei grandi Comuni – future Città metropolitane – al posto degli attuali presidenti di Provincia. Nel decreto Delrio, meglio noto come «svuota-Province» e approvato alla Camera due giorni fa, è prevista «la coincidenza obbligatoria tra sindaco del comune capoluogo e sindaco metropolitano », nonché l’assenza di elezioni per designare quest’ultimo.
l momento, i nove Comuni che dovranno diventare Città metropolitane (Milano, Torino, Genova, Roma, Napoli, Bari, Firenze, Bologna e Venezia) sono tutti amministrati da sindaci di centrosinistra. Ciò significa che, se il disegno di legge passasse anche al Senato, i sindaci rossi potranno riciclarsi automaticamente come sindaci metropolitani, restando in carica fino al 2017 e finendo per controllare un territorio molto più ampio di quello da loro amministrato al momento. Sarebbe il caso di Pisapia, che prenderebbe il posto dell’attuale presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà, di centrodestra, senza passare dalle urne. O di Luigi De Magistris e Marco Doria che di colpo, senza il consenso dei cittadini, si ritroverebbero a controllare rispettivamente le aree provinciali di Napoli e Genova, sostituendosi agli attuali amministratori (Antonio Petangelo, di Forza Italia, nel primo caso, il commissario prefettizio Giuseppe Piero Fossati nel secondo). Sarebbe singolare anche la posizione di Piero Fassino che, da sindaco di Torino, verrebbe promosso a sindaco metropolitano, scaricando così il presidente della Provincia nonché presidente dell’Upi Antonio Saitta, tra i più strenui avversari della riforma Delrio. Palesemente iniqua appare anche la situazione di Bari, dove il Pd, pur con un Emiliano a fine mandato, potrebbe sfruttare il consenso avuto dall’ex sindaco nel capoluogo per eleggere un sindaco metropolitano di sinistra, al posto dell’attuale presidente di Provincia, il berlusconiano Francesco Schittulli.
L’eliminazione delle Province, d’altronde, non produrrebbe benefici economici. Come ha sottolineato Renato Brunetta, la soppressione degli enti provinciali garantirebbe un risparmio pari soltanto a 100 milioni, ovvero il costo delle mancate elezioni. Secondo Saitta, invece, il provvedimento «non solo non produrrà risparmi, ma porterà a un aumento della spesa pubblica e a un proliferare di enti strumentali e agenzie regionali». L’abolizione di questi enti andrebbe peraltro in controtendenza rispetto all’effettiva volontà dei cittadini. Come dimostra una recente indagine Ispo, tre italiani su quattro sono orgogliosi delle proprie Province e solo il 15% ritiene prioritario abolirle. Le ragioni di questo legame riguardano l’immagine positiva che le Province trasmettono, in quanto non tassano (a parte l’Rc auto e l’imposta per il passaggio di proprietà delle auto), sono meno soggette a scandali e garantiscono servizi di sostegno allo studio, al lavoro e alle fasce più deboli. Ne è un esempio la Provincia Bat che ha recentemente stanziato 2 milioni di euro per finanziare famiglie disagiate, fornire borse di studio e lavoro a giovani e disoccupati, e assicurare un fondo di garanzia per le start up di impresa. «Un progetto storico, in grado di soddisfare le esigenze dei cittadini, pur in tempi di crisi», lo ha definito il presidente della Provincia Francesco Ventola (Fi).
Considerando infine che il decreto Delrio è stato bocciato preventivamente dalla Corte dei Conti, per vie delle «basse possibilità di risparmio per gli enti» e il «rischio di confusione amministrativa nell’indefinito periodo di transizione», questo progetto di abolizione delle Province si presenta inutile dal punto di vista economico e dannoso dal punto di vista burocratico, oltreché fazioso e antidemocratico dal punto di vista politico. Su questa base, forse non sarebbe male se il 2014 portasse alla bocciatura del disegno di legge, autorizzando il rinnovo delle 52 amministrazioni provinciali previsto per la prossima primavera.
Gianluca Veneziani
ECCO COME CAMBIA LA GEOGRAFIA–
La legge costituzionale che abolirà le Province, di una sola riga, nelle intenzioni del governo dovrebbe essere approvata definitivamente entro il 2015. Intanto il governo, per preparare il terreno alla loro cancellazione, preme il piede sull’acceleratore per quanto riguarda lo svuotamento dei poteri degli enti.
Il disegno di legge messo a punto da Graziano Delrio, ministro degli Affari regionali, incassato il primo via libera della Camera è atteso adesso dall’esame del Senato, dove i numeri sono più incerti. Palazzo Chigi punta ad una «rapida approvazione» del testo - entro gennaio - così da evitare le elezioni amministrative in primavera.
Sull’iter, tuttavia, pende la spada di Damocle rappresentata dal fronte trasversale che si oppone al testo governativo: Lega-Forza Italia-Udc, con Antonio Saitta (Pd) nume tutelare in quanto presidente dell’Upi, l’Unione delle province italiane. Proprio tra i democratici, c’è da registrare la rivolta di Beatrice Draghetti, presidente della Provincia di Bologna, contro il suo segretario Matteo Renzi, accusato di affermazioni «populiste e demagogiche» sui 5mila amministratori costretti a «tornare a lavorare».
Una volta approvato, il provvedimento trasformerà le Province in enti di secondo livello. Giunte, presidenti e consiglieri spariranno. E la gestione passerà direttamente ai sindaci dei Comuni interessati, che riuniti in assemblea si occuperanno solo delle cosiddette funzioni di area vasta, come la pianificazione del territorio, dell’ambiente, delle rete scolastica. L’unica funzione di gestione diretta che resterà in capo alle Province riguarderà la pianificazione, costruzione e manutenzione delle strade.
Ma a quel punto, come spiegato in più di un’occasione dallo stesso Delrio, «le Province diventeranno di fatto una sorta di agenzia funzionale a servizio dei Comuni». Il risparmio per le casse dello Stato, ha conteggiato il ministro, si aggirerà sul miliardo di euro all’anno.
In dieci casi - Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli, Roma e Reggio Calabria - le funzioni delle Province (inclusi patrimonio, risorse e personale) passeranno alle città metropolitane di nuova istituzione (arriveranno dal 1° gennaio). In tutti gli altri casi, il vertice sarà costituito dai sindaci dei Comuni del territorio, che formeranno un’assemblea all’interno della quale sarà scelto il nuovo presidente. Saranno i sindaci, così, a scegliere il presidente della Provincia, e non più i cittadini. Almeno fino all’approvazione della legge costituzionale che modificherà la Carta cancellando l’ente. Il percorso, però, è ancora pieno di ostacoli. Il leghista Roberto Maroni, presidente della Regione Lombardia, anticipa che lui e i suoi colleghi governatori stanno pensando di ricorrere alla Corte costituzionale contro il disegno di legge Delrio: «Assolutamente sì, studieremo come procedere, come Regioni potremmo farlo, mi pare che l’Upi ci stia pensando ». Il democratico Saitta, del resto, è sul piede di guerra da tempo: «Viene impedito ai cittadini di scegliere. Le Province esisteranno con un sistema elettorale di secondo grado e questo significa un ritorno a prima dell’antico. Si impedirà ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti, realizzando un ultraporcellum».
T.M.