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 2013  dicembre 24 Martedì calendario

IL SISTEMA ANTIMISSILE CINESE VENDUTO ALLA TURCHIA CREA ALLARME

Una lettera scritta a quattro mani. Firmata François Hollande ed Enrico Letta. Diretta al premier turco Recep Tayyip Erdogan. E idealmente al numero uno della Nato, Anders Fogh Rasmussen, per conoscenza. Oggetto, un sistema antimissile del controvalore di 3,2 miliardi di dollari (2,3 mld euro).

E, in prospettiva, altre cospicue forniture militari alle Forze armate di Ankara.

Hollande e Letta ne avevano discusso al vertice italo-francese del 20 novembre scorso. Ai partner europei e occidentali, membri dell’Alleanza atlantica, del governo di Ankara non è mai andata giù la decisione adottata a fine ottobre dalla Turchia di affidare la fornitura del nuovo sistema antimissile alla China Precision Machinery Export-Import Corporation. Il problema è, prima di tutto, di sicurezza. Il sistema antimissile turco, infatti, è parte del sistema di difesa della Nato e va integrato con gli altri sistemi antimissile dell’Alleanza. Il muro della impermeabilità tra i sistemi Nato e quelli dei paesi estranei all’Alleanza non può permettersi nemmeno una incrinatura, figurarsi lo sfondamento prefigurato in questa vicenda. Non manca di certo il risvolto economico. Con produttori americani e russi (oltre al vincente cinese) concorreva anche Mbda, il consorzio missilistico di cui l’anglo-americana Bae Systems e la franco-tedesca-spagnola Eads detengono il 37,5% ciascuno e Finmeccanica il rimanente 25%. Proprio Mbda (con la parte italiana capofila nel progetto) era in pole position per l’aggiudicazione.

Poi, l’improvviso colpo di scena: ai cinesi la vittoria con, secondo indiscrezioni, alle spalle nella classifica stilata dal Ministero della difesa turco, Mbda, i russi e gli americani. Le congetture dietro la decisione di Ankara si sono sprecate: uno schiaffo agli Usa e alla Russia per il mancato intervento in Siria, la risposta al consorzio europeo per il mancato via libera all’ingresso nella Ue. Il motivo dell’aggiudicazione sarebbe principalmente economico. Il sistema FD-2000 cinese era il meno caro. Ma, evidentemente, qualcosa ad Ankara nel rapporto con Pechino non sta andando per il verso giusto: a due mesi dall’aggiudicazione il contratto non è stato ancora firmato. E la legge turca prevede che un contratto non firmato dopo tre mesi invalida l’eventuale affidamento senza il pagamento di penali.

Hollande e Letta puntano proprio a questo evidente stop. Che, però, non significa automaticamente nulla. Ankara dovrebbe affidare la fornitura al secondo classificato, ma potrebbe trovare qualche cavillo per ripetere la gara, giocando al ribasso. Emissari turchi si sarebbero già incontrati con dirigenti di Mbda ad altissimo livello. Avrebbero chiesto un drastico taglio alla offerta del consorzio (superiore, pari, ai 4 miliardi di dollari) tale da avvicinare la cifra a quella cinese. Mbda, però, avrebbe presentato una contro-offerta. I 12 sottosistemi chiesti dalla Turchia sono inutili, perlomeno con le tecnologie di Mbda. Che potrebbe offrire otto sottosistemi, sufficienti a coprire lo spazio turco, allo stesso prezzo dei cinesi: 3,2 miliardi di dollari. E mentre tecnici e militari continuano a discutere, i politici sono scesi in campo. Cercando di far capire a Erdogan che è a livello di governi, non solo di amministratori delegati e generale, che va giocata questa partita. Tanto più all’indomani della riapertura dei colloqui tra Ue e Turchia sull’eventuale ingresso di Ankara nell’Unione europea.