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 2013  dicembre 24 Martedì calendario

BABBO NATALE E I SUOI FRATELLI

LA TRADIZIONE
In questi giorni milioni di bambini sono in trepida attesa di Babbo Natale e dei suoi doni, puntualmente descritti e ordinati in letterine per tempo “spedite”. Sembra quasi che non vi sia niente di più familiare della sua tonda figura, al punto che i bambini conoscono addirittura i nomi delle renne che ne portano la slitta: Saetta, Cometa, Lampo… senza dimenticare Rudolph, quella dal naso rosso e luminoso. Eppure, nessuno lo ricorda più, ancora il 24 dicembre 1951 i canonici e i fedeli della città francese di Digione bruciavano ufficialmente il pupazzo di Babbo Natale proprio sul sagrato della cattedrale: protestavano accusandolo – così i giornali dell’epoca – “di paganizzare la festa del Natale e di essersi insidiato in essa come un cuculo occupandovi un posto sempre più grande” (France-Soir). Si incolpava, cioè, questo generoso portatore di doni di non far parte della “nostra” tradizione, di “venire da fuori”, dagli Stati Uniti.
Cosa sia esattamente una “tradizione” da un punto di vista antropologico è un problema complesso. Semplificando molto, basti dire che le tradizioni, soprattutto quelle popolari, non sono mai immutabili: si rinnovano, si perdono, si inventano e si riciclano continuamente, senza posa. Quella di Santa Claus non fa eccezione.
IL TESTIMONIAL
Tutti o quasi sanno che il Santa Claus che i bambini attendono ansiosi, almeno nella sua forma attuale, è quello disegnato da Haddon H. Sundblom nel 1931 per la Coca Cola: grosso, rubicondo, sorridente e rassicurante. Fu l’azzeccatissimo testimonial dell’omonima bibita di successo, che però all’epoca non vendeva molto in inverno.
Ma prima che arrivasse lui, Santa Claus, non è che i bambini non avessero regali, anzi, c’erano tanti portatori di doni. Piccoli doni semplici, come voleva il gusto (e l’economia) dell’epoca, non ancora tanto toccata dal “consumo vistoso”, cioè dal bisogno di acquistare cose non per il loro valore intrinseco ma per il loro potere di catapultare a uno status sociale più elevato.
Allora e nei secoli passati, come ancora oggi può accadere in Sicilia, i doni li portavano i Morti, il 2 novembre. Perché in fondo sono loro, custodi del sottosuolo, a dispensare ogni bene, alimentare e non, come già avevano capito i Romani che fecero di Plutone il dio dell’oltretomba e della ricchezza.
Così come dall’altro capo dell’Italia, ad esempio nelle provincie di Brescia e Bergamo, durante la notte del 12 dicembre potrà capitarvi di incontrare qualcuno che porta un asinello con due ceste appese al basto e dei campanellini, per avvisare i bambini di mettere la testa sotto il cuscino e chiudere gli occhi: è l’asinello che accompagna santa Lucia, carico di doni da elargire ai bambini buoni.
I SANTI
Altro generoso donatore, prima che la modernità – non Santa Claus – lo pensionasse, era sant’Andrea, che il 30 novembre riempiva di doni le calze dei bambini tedeschi. Analogamente il suo collega Basilio, festeggiato nell’est europeo il primo gennaio, porta regali, insieme alla torta che da lui prende nome.
In Toscana addirittura si faceva credere fosse il “ceppo”, un grosso pezzo di legno ardente nel camino, a portare doni: a ricordo di questa credenza, restano i simpatici modi di dire toscani come “il ceppo m’ha portatho robba” o l’usanza di appendere le calze al camino perché “i kahi ‘l ceppo”.
Inutile dire che ancor oggi in Europa, il più famoso e gettonato portatore tradizionale di doni sia san Nicola (6 dicembre), l’originale sul quale fu plasmato Santa Claus. Magro come un’acciuga, ieratico e molto meno ridanciano del suo discendente americano, è lui a portare doni ai bambini, dall’Olanda alla Puglia. Che lo si chiami Sinterklaas (Olanda), Niklaherr (Austria), Samichlaus (Svizzera) o in altro modo, è sempre lo stesso san Nicola, adattatosi nei secoli alle usanze e ai nomi locali, che va per cascine a portare regali ai bambini, resistendo con la tipica pazienza dei santi ad ogni forma di globalizzazione, con buona pace di Santa Claus.
D’altronde, per i romani che volessero vedere di persona un particolare “portatore di doni”, sotto forma di prosperità, basterà recarsi nella provincia di Latina (Borgo Montenero, Borgo San Vito, Borgo Hermada) per vedere nelle campagne bruciare una sorta di Befana nei pignarul, falò tradizionali portati nella Pianura Pontina dai veneti e dai friulani che qui vennero in epoca fascista per dare vita alla bonifica agraria. Anche questa particolare portatrice di doni, è proprio il caso di dirlo, rappresenta una tradizione mai spenta.
Claudio Corvino