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 2013  dicembre 24 Martedì calendario

LORENZIN: «UN ERRORE PORTARE LA CURA IN UNA STRUTTURA PUBBLICA»

«Il metodo Stamina non sarebbe dovuto nemmeno entrare all’ospedale di Brescia». Il ministro alla Salute Beatrice Lorenzin ripercorre sette mesi al governo con in mano una questione delicatissima e ancora aperta. Non ne pronuncia mai il nome, ma nelle sue parole traspare una critica al suo predecessore, Renato Balduzzi, per come ha affrontato la vicenda.
Già nel 2012 Nas e Aifa lanciarono accuse durissime contro Vannoni e i suoi. Perché Governo e Parlamento hanno avviato la sperimentazione?
«Per me è ancora oggi incomprensibile come quel metodo sia entrato in un ospedale pubblico. Dopo le ispezioni e la sospensione dell’attività, si è parlamentarizzata la vicenda. Un errore che si poteva evitare dopo l’esperienza della cura Di Bella».
I pazienti hanno continuato a fare le applicazioni in base a sentenze di giudici del lavoro.
«Quando le verifiche scientifiche, mediche, sulla sicurezza dicono che una pratica è pericolosa per i cittadini, come fa un magistrato ordinario che non ha alcuna competenza tecnica a disciplinare la materia? I giudici hanno fatto accedere al trattamento malati di tutti i generi, senza priorità legate al tipo di malattia, alla gravità e all’urgenza».
Come si esce da questa situazione?
«Tutti devono fare solo la loro parte. Il 27 dicembre nominerò il nuovo comitato scientifico, con esperti stranieri e italiani. Avrei potuto ricorrere al Consiglio di Stato contro il Tar che ha sospeso la decisione del comitato precedente, ma non avrei dato una risposta chiara alle famiglie con le loro storie drammatiche. Ci affidiamo a nuovi esperti, per risolvere una vicenda che sta diventando di ordine pubblico».
Perché non rende pubblico il protocollo di Stamina?
«Abbiamo preso un impegno di riservatezza. Però invito Vannoni a farlo. Condivido l’appello dei tantissimi medici che gli hanno chiesto di pubblicarlo».
Non può interrompere i trattamenti di Brescia?
«Ci vorrebbe una nuova legge, ma andrebbe approvata dopo un eventuale giudizio negativo del nuovo comitato. Mi regolerò su quello che dicono gli esperti. Stimo
e rispetto anche quelli bocciati dal Tar».
Si chiude un anno movimentato per la sanità. Avete sventato un taglio al fondo e con le Regioni avete promesso di risparmiare. A che punto siete?
«Sono entrati in vigore i costi standard, che a regime faranno risparmiare 3 o 4 miliardi. Puntiamo sull’e-health, un sistema che conterrà i dati dei cittadini, i certificati, le cartelle cliniche, le prescrizioni, ma anche gli esiti degli ospedali. Recupereremo, secondo Federsanità, 7 miliardi. Poi avvieremo centrali uniche di acquisto, e risparmieremo il 20% sugli appalti. Mettendo in pratica le azioni del Patto per la salute, che sarà chiuso a gennaio, recupereremo altre risorse per ridurre le tasse. Oggi nelle Regioni dove la sanità non funziona si paga l’Irpef più alta».
Cosa farete con i soldi risparmiati?
«Renderemo più tecnologico il sistema e investiremo nella ricerca, che è il nostro petrolio perché attiva l’industria. Ricordiamoci che la sanità non è solo un comparto di spesa pubblica ma produce salute, coesione sociale e lavoro».
Prestazioni sanitarie e farmaci sono sempre più cari, resisterà il sistema pubblico?
«La sfida è quella di reggere di fronte a una medicina sempre più personalizzata e alla maggiore longevità. Spenderemo molto di più e non possiamo pensare di dividere i cittadini tra chi ha un’assicurazione e chi no. Il nostro sistema deve continuare a essere universalistico, va razionalizzato e reso più efficiente».