Sergio Romano, Corriere della Sera 24/12/2013, 24 dicembre 2013
LETTERE DI ROMANO
La senatrice Cattaneo sul Corriere del 19 dicembre ipotizza un organo dello Stato che «elabora analisi tecniche e produce elementi conoscitivi» e che dovrebbe essere composto da «figure con elevate competenze tecnico scientifiche in diversi settori e di una statura intellettuale riconosciuta». La descrizione sembra corrispondere al Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) come previsto dalla riforma del 1963. Il Cnr era per legge un «organo dello Stato» che contribuiva a definire la politica della ricerca. Sarebbe troppo lungo raccontare la trasformazione del Cnr da «organo dello Stato» in «ente del parastato» e da «consiglio» rappresentativo della comunità scientifica in ente di ricerca isolato dal mondo universitario. La responsabilità di questa trasformazione ricade soprattutto su una comunità scientifica divisa, che non è stata in grado di gestire i compiti di carattere generale che, attraverso il Cnr, la legge le assegnava. Saprebbe far meglio il Senato della scienza e della cultura auspicato dalla senatrice Cattaneo?
Alessandro Figà Talamanca
professore ordinario a r.
Sapienza Università
di Roma
Caro Figà Talamanca,
A nche il Cnr sembra avere subito la sorte degli altri Consigli, dal Cnel a quello dei beni culturali e ambientali, che erano stati creati dai costituenti o dal legislatore per fornire al governo e alle Camere il contributo delle loro conoscenze ed esperienze. Occupato e presidiato dai partiti, il Parlamento approva leggi e distribuisce fondi, anche in materie di grande delicatezza e complessità, secondo criteri di convenienza politica ed elettorale. Non sorprende quindi che un giornalista culturale (Armando Massarenti) e una studiosa divenuta senatrice a vita (Elena Cattaneo) approfittino del dibattito sulle riforme costituzionali per proporre la trasformazione del Senato in Camera della cultura.
Molto dipende dalle funzioni del nuovo Senato. Se diventerà una Camera delle regioni e se il suo principale obiettivo sarà quello di armonizzare i rapporti fra il centro e la periferia, i suoi membri verranno probabilmente scelti dal corpo elettorale o dal Consiglio della regione da cui provengono. I nuovi Senatori saranno quindi politici, notabili, amministratori locali. Vi saranno anche professionisti e uomini di cultura, ma scelti per la loro lealtà a un partito e per la loro capacità di farsi strada nella giungla della politica locale. È difficile immaginare che da un’assemblea così composta possano emergere grandi proposte culturali o dimostrazioni d’indipendenza scientifica.
Se l’idea di un Senato della cultura si farà strada, invece, occorrerà risolvere il problema della sua composizione e della scelta dei suoi membri. Chi proporrà le candidature? Chi sarà chiamato a votarle? Il suffragio universale, in questi casi, non dà buoni risultati. Il suffragio limitato a un più piccolo numero di persone (i laureati, per esempio) sarebbe incompatibile con le moderne democrazie di massa. La «nomina regia» sarebbe altrettanto inaccettabile. Potremmo affidare ai Consigli e ai Comitati già esistenti – Economia e Lavoro, Magistratura, Pubblica Istruzione, Difesa, Beni culturali, Sanità, Bioetica – il compito di designare una rosa di nomi. Ma non converrebbe allora ridare ai Consigli quel compito di analisi e proposte che hanno progressivamente perduto?