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 2013  dicembre 24 Martedì calendario

L’INGEGNERE PARTITO DA UN GARAGE «COSÌ CREO LA REALTÀ AUMENTATA»

CON i casci stereoscopici, le cinture e le tute cibernetiche ci si muove come androidi in strani ambienti virtuali in tre dimensioni. Sembra quasi di toccarlo, il futuro, ma quando la mano si avvicina ai meccanismi di un impianto industriale ricostruito con i bit dalla mente del computer o si tenta di accarezzare un’opera d’arte scomparsa da secoli, la magia hi-tech diventa impalpabile e l’illusione svanisce.
Franco Tecchia, 43 anni, toscano di Massa Carrara, laurea in Ingegneria Informatica, dottorato all’University College di Londra, specializzazioni alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, questa «distruzione delle certezze» non l’ha sperimentata solo costruendo simulatori; l’ha dovuta affrontare, combattere e vincere nel lavoro. «Quando sembrava di avercela fatta, di aver conquistato la fiducia dei finanziatori per i tuoi progetti, l’incantesimo si spezzava e tutto ricominciava come prima. Sembrava la maledizione di Cenerentola», racconta sorridendo Franco, leader di Vr Media, un’azienda hi-tech con sede a Pisa nata in un garage come spin off del laboratorio di robotica percettiva Percro diretto dal professor Massimo Bergamasco. Ci sono voluti anni di lavoro, sofferenze, dubbi, angosce per vincere la scommessa e una folle pulsione che ti dà la spinta ad andare avanti, contro ogni evidenza negativa. «A un passo dal sogno — ricorda Tecchia —, i funzionari delle banche mi dicevano che il progetto era eccellente ma l’azienda troppo piccola e loro, in questi tempi di crisi, non potevano rischiare su tre ragazzi».
Siamo nel 2002 e Franco su quell’idea ci scommette tutto. Convoca i due soci, gli ex compagni di studi Sandro Bacinelli e Marcello Carrozzino, e insieme tracciano la rotta. Si va avanti nonostante i venti contrari. «L’idea iniziale è quella di fare un’Internet in tre dimensioni — ricorda —, poi arriva la bolla speculativa e decidiamo di realizzare sistemi immersivi di realtà virtuale e aumentata. Rompiamo i salvadanai e investiamo tutti i nostri risparmi». Inizia la progettazione e poi la costruzione di macchine da indossare: telecamere che sembrano occhi bionici, tute e guanti con ritorno di forza, strani set sui quali, grazie a sistemi di proiezione in tre dimensioni e all’uso di occhiali, si ha la sensazione di essere in luoghi reali.
A che cosa servono? «Ad addestrare ingegneri, tecnici e operai, a lavorare in impianti, anche pericolosi, ricostruiti in realtà virtuale — spiega Franco — e, grazie alla realtà aumentata, a dare informazioni in più su chi sta lavorando a quegli impianti, con la possibilità di vedere meccanismi nascosti o ricevere informazioni visive in tempo reale su come agire durante un’emergenza o una normale operazione di manutenzione».
È il futuro, ma ai finanziatori sembra solo fantascienza di tre giovani visionari. «Nel 2004 siamo a un punto di non ritorno — ricorda Tecchia —. Il lavoro non c’è, i nostri risparmi sono scomparsi. Ci guardiamo negli occhi e decidiamo di continuare». La svolta arriva due anni dopo. Una multinazionale li contatta, sono impressionati dalla tecnologia di questi ragazzi ormai un po’ cresciuti. Arriva la prima commissione. Subito dopo ne seguono altre, la minuscola azienda decolla, il bilancio vola in attivo, il fatturato supera in poco tempo i 300 mila euro annui. Dal garage, la Vr Media si trasferisce al Cerfitt, un incubatore di aziende tecnologie di Pontedera. E infine apre un ufficio all’interno dei nuovi laboratori di robotica percettiva della Sant’Anna. «Non è una scelta casuale quella di lavorare all’interno di un’università — spiega Franco — perché qui siamo sempre in contatto con la ricerca, facciamo innovazione, riusciamo a mettere sul mercato le ultime tecnologie ed essere competitivi in tutto il mondo. Anche nella battaglia contro i grandi gruppi industriali».
Il futuro? «Diventare i leader europei dell’uso della realtà aumentata nell’ambito industriale», risponde senza esitare Franco. Perché qui, alla Vr Media, reale e virtuale, sogno e realtà, sono la stessa cosa. Basta crederci.
Marco Gasperetti