Paolo Di Stefano, Corriere della Sera 24/12/2013, 24 dicembre 2013
STORIA DI UN’ICONA
Babbo Natale è un mutante pressoché ubiquo. All’inizio non scendeva dal camino, non portava pacchi-dono, non viaggiava sulle slitte trainate da renne, non vestiva di rosso, non proveniva dalla Lapponia e non si chiamava nemmeno Babbo Natale. La sua è una vita lunga circa 1700 anni, anzi una catena di vite, che ha origine con un certo Nicola, nato in Licia, in Asia minore, intorno al 270 dopo Cristo. Il giorno della ricorrenza è fissato convenzionalmente al 6 dicembre, che nell’antichità segnava l’inizio dell’inverno. Divenuto vescovo a Mira, Nicola partecipò al concilio di Nicea del 325 e morì una ventina d’anni dopo. Gli si attribuisce, tra l’altro, l’elargizione di monete d’oro a un poveraccio che voleva costringere le tre figlie a prostituirsi per il bene della famiglia. Nel Purgatorio , Dante accenna alla «larghezza / che fece Niccolò alle pulcelle, / per condurre ad onor lor giovinezza». Altre fonti agiografiche aggiungono che lo stesso vescovo di Mira avrebbe resuscitato cinque bimbi rapiti e uccisi da un oste, soccorso dei marinai dal naufragio, debellato terribili carestie, condotto dei ladri a più miti consigli.
Fatto sta che le reliquie del santo vennero trafugate e traslate a Bari nel 1087. Nacque così San Nicola di Bari, la cui leggenda conquistò Europa più o meno con un identikit che lo avvicina al Babbo Natale di oggi: lunga barba, tunica, cappuccio, bastone. È da lì che prende avvio il racconto popolare del generoso elargitore di doni ai bambini buoni. Nemmeno Lutero riesce a spegnere nel folclore religioso il culto del «santo d’azione» e tutore dell’ordine sociale. Il tentativo di sostituire Niklaus con Gesù Bambino come portatore di regali (non più il 6 ma il 25 dicembre) finisce per creare una gran confusione. Nei Paesi Bassi, dove prende il nome di «Sinter Klaas», San Nicola resiste più che altrove e saranno gli olandesi, nel XVII secolo, emigrando negli Stati Uniti, a trasferirlo oltreoceano, esattamente a Nuova Amsterdam (poi New York).
Dall’Asia all’Europa, dall’Europa all’America: una tortuosa Odissea, con tutto ciò che comporta il passaggio dal Medioevo agricolo alla civiltà dei consumi. In un bel libro, intitolato Babbo Natale e pubblicato nel 2005 da Fazi, Nicola Lagioia ricostruisce in parallelo le molteplici metamorfosi che portano san Nicola a diventare prima Santa Claus e infine il Babbo Natale che conosciamo. Intanto, la «festa dei bambini» viene fissata dalla cristianità alla vigilia, cioè al 24 dicembre. L’ascesa dell’ex vescovo asiatico in America è irresistibile. Nel 1793 viene inserito nel calendario newyorkese e in breve la sua figura trionfa nella letteratura popolare per l’infanzia e nell’iconografia, pipa in bocca, ormai lontanissimo dalle origini, non di rado rappresentato come un eroe nordista che conforta i soldati di Lincoln. Verso la fine dell’Ottocento si diffonde un’altra leggenda: Babbo Natale viene in slitta dal Polo Nord, e non sempre trainato da asini, cavalli o renne. In una immagine del 1880 a far viaggiare il vecchietto ci sono due oche.
Il Polo Nord non convince i finlandesi, che gli danno asilo in Lapponia, dove almeno può nutrire le sue renne. Ma è il 1931 a fissare definitivamente il suo cliché a imperitura (e globale) memoria: per aggirare una legge che proibisce (per via del contenuto di caffeina) l’uso di immagini pubblicitarie in cui i minorenni bevono Coca-Cola, la multinazionale di Atlanta adotta Santa Claus come testimonial. Autore della campagna pubblicitaria, un grafico geniale di origine svedese, Haddon Sundblom, che amava l’alcol e che avrebbe continuato a disegnare i suoi rubicondi Babbi Natale fino al 1964. Il vescovo turco che partecipò al Concilio di Nicea era ormai un pallido ricordo.