Marco Belpoliti, La Stampa 24/12/2013, 24 dicembre 2013
HANNO IMPICCATO BABBO NATALE
Il 23 dicembre 1951 l’effigie di Babbo Natale è impiccata alle grate della cattedrale di Digione, poi gettata sul sagrato della chiesa e lì bruciata. Alla spettacolare esecuzione partecipano centinaia di bambini. A decretare la messa a morte rituale è il clero della chiesa, che ha condannato Babbo Natale quale usurpatore ed eretico. L’accusa mossagli dai sacerdoti cattolici, cui si aggiungono membri della chiese protestanti, è di aver paganizzato la festa. Si rimprovera a Babbo Natale di essersi introdotto in molte scuole francesi là dove il presepe è invece bandito. L’inviato di France Soir, all’epoca il giornale più diffuso di Francia, racconta come alle tre del pomeriggio lo sventurato uomo in barba bianca abbia pagato per una colpa di cui erano in verità colpevoli coloro che plaudivano alla sua esecuzione.
Di questo incredibile episodio non sarebbe rimasta memoria se un illustre antropologo francese, Claude Lévi-Strauss, non avesse conservato il ritaglio con il pezzo e non lo avesse utilizzato per un suo saggio comparso l’anno seguente sulla rivista di Jean-Paul Sartre Les temps modernes. Citato all’inizio di Le Père Noël supplicié (tradotto in italiano da Einaudi, poi da Sellerio), il fatto di cronaca gli permette di ragionare sull’invenzione di Babbo Natale, una festa a suo dire essenzialmente moderna, nonostante i molti lati arcaicizzanti.
La questione che l’antropologo si pone non è perché la festa piaccia tanto ai bambini, quanto piuttosto perché gli adulti siano stati spinti a inventarla. Il suo successo deriva da quello che un altro antropologo, Kroeber, chiama «diffusione per stimolo»: ovvero, funziona come catalizzatore di un bisogno già presente. Del resto, il rituale natalizio, come la stessa figura di Babbo Natale, era già attivo nella cultura popolare ben prima che nel 1930 la Coca-Cola usasse Santa Claus per la sua pubblicità, e Haddob Sublom ne disegnasse la figura con i colori bianchi e rossi, che conosciamo ancora oggi, come raccontano Matyne Perrot in Etnologia del Natale (Eleuthera) e Nicola Lagioia in Babbo Natale (ebook doppiozero.com). La forma americana è solo la più moderna delle reincarnazioni.
Vestito in rosso scarlatto nella tradizione, Babbo Natale è un re. Non è propriamente un essere mitico, appartiene piuttosto alla famiglia delle divinità. È la divinità di una classe di età della nostra società, quella dei bambini, rigorosamente distinta dagli adolescenti e dagli adulti (non a caso gli adolescenti detestano il Natale). La sua funzione più profonda è di avere a che fare con riti di passaggio e d’iniziazione. Nelle società umane i riti e i miti d’iniziazione hanno una funzione pratica: «aiutano gli adulti a mantenere i piccoli nell’ordine e nell’obbedienza». Per tutto l’anno si parla dell’arrivo di Babbo Natale, che porterà i doni solo se i bambini faranno i bravi. Nel contempo serve a limitare a un breve periodo – Lévi-Strauss scrive all’inizio degli Anni Cinquanta – il momento in cui i piccoli possono esigere doni. Non si tratta perciò di una mistificazione, bensì il risultato di «una transazione costosissima fra due generazioni».
Un tema, quello del passaggio generazionale, di grande attualità in una società come la nostra che fa fatica per varie ragioni a determinare il transito tra le generazioni. Il centro del saggio di Lévi-Strauss, complesso e ricco di suggestioni, è che le credenze connesse a Babbo Natale «dipendono da una sociologia iniziatica» e mettono in evidenza una contrapposizione tra adulti e bambini, che a sua volta nasconde una contrapposizione ancora più radicale, quella tra morti e vivi. Facendo ricorso ai rituali degli indiani Pueblo, ma anche ai Saturnali romani, da cui la festa di Natale deriverebbe, l’antropologo francese mostra come dietro a questa festa all’apparenza inoffensiva ci siano le figure di bimbi morti, le larvae, che nella tradizione nordica San Nicola, stampo antico di Babbo Natale, resuscita e colma di regali. Nel Babbo Natale moderno, quello che precede l’americanizzazione della Coca-Cola, che ci ha invaso dalla fine della seconda guerra mondiale, si nascondono per fusione sincretica molti personaggi, da Abbé de Liesse, vescovo-bambino francese, allo stesso San Nicola. La Chiesa ha cercato di incamerare tutte queste tradizioni di provenienza precristiana con l’istituzione del Santo Natale il 25 dicembre, per sostituire le commemorazioni pagane, ma ha dovuto abdicare davanti al trionfo di Babbo Natale.
Si tratta del medesimo problema, argomenta Lévi-Strauss, che si è posto con la festa di Halloween, dove nei paesi anglosassoni – e da un paio di decenni anche da noi – i bambini mascherati da fantasmi e scheletri perseguitano gli adulti fino a che questi non li placano con regalucci. Così nella festa di Christmas sono invece gli adulti a prendere l’iniziativa e a colmare di doni i bambini per esaltarne la lvitalità. Non è sorprendente che Natale come Capodanno – doppione del Natale – siano feste basate sui regali: «la festa dei morti è essenzialmente la festa degli altri, poiché il fatto di essere altro è la prima immagine ravvicinata che possiamo rappresentarci della morte».
La credenza che a portare i regali, i giocattoli, sia un personaggio che proviene da un mondo «altro», una sorta di «aldilà» nordico, ci riporta ai significati della relazione tra vivi e morti che soggiacciono nei simboli espliciti e impliciti del Natale. Icasticamente, scrive Lévi-Strauss, «i regali natalizi restano un vero e proprio sacrificio alla dolcezza del vivere, la quale consiste in primo luogo nel non morire». Noi adulti desideriamo che i bambini credano all’esistenza di Babbo Natale perché così facendo ci aiutano a credere nella vita. Forse gli ecclesiastici di Digione non si sbagliavano troppo nell’individuare in Babbo Natale uno dei focolai più attivi del paganesimo sopravvissuto a secoli di cristianesimo, ma suppliziandolo sulla piazza, conclude l’antropologo francese, hanno provato ancora una volta la perennità dei riti che legano i vivi e i morti. Forse proprio per questo noi adulti percepiamo nel Natale qualcosa di ambiguo, o almeno di ambivalente. Una volta che non siamo più bambini lo subiamo. Ci piace, ma, sotto sotto, ci auguriamo che passi in fretta.