Pierfrancesco Curzi, Il Fatto Quotidiano 23/12/2013, 23 dicembre 2013
SUL PULLMAN DELLE BADANTI DESTINAZIONE BULGARIA
Un viaggio che vuol dire lacrime, soprattutto. Non c’è gioia nei loro volti, corrono verso il freddo delle campagne bulgare e avranno il tempo di salutare la loro vecchia vita, l’infanzia, e tornare al lavoro. Stringeranno i figli, i genitori, i mariti. Avranno qualche giorno per raccontarsi uno o due anni di vita, lasciare nelle casse di casa un po’ di soldi e poi sarà l’ora di abbracciarsi ancora e pronunciare quell’arrivederci a chissà quando. E’ la via dei nuovi poveri che raccoglie su un pullman le badanti d’Italia e le riporta in Bulgaria, nelle loro case di origine, per la breve parentesi delle feste. Sono le 2 di notte, la prima tappa è Zagabria. Meno cinque. Al terminal terrestre si accede salendo rampe che immettono in un ambiente rialzato dove le serrande di negozi e biglietterie sono abbassate. Il freddo può uccidere e chi vive in domicili di fortuna non può trovare di meglio di un angolino protetto. Nel tratto di percorso da Lubjana, i passeggeri del torpedone partito a mezzogiorno da Firenze, sono caduti nei loro sonni. Compresi noi che abbiamo fatto il viaggio con loro, ascoltato le storie. Le loro vite.
Siamo vicini alle feste di Natale, rito sacro in Italia quanto nell’ex Paese al di là della Cortina di Ferro. Natale coi tuoi, specie per quelle donne che, strozzate da un’economia in ginocchio, hanno deciso di armarsi di coraggio per avviare una carriera temporanea di emigrante nei Paesi occidentali ricchi. Specializzate nell’accudire i nostri vecchi, visto che gli italiani non lo vogliono più fare, disposte a buttare giù bocconi amari e, magari tra 5-10 anni, tornare a casa dalla famiglia con un gruzzolo niente male. Tra queste c’è Stefka, magra come uno stecchino, i caratteri marcati, i capelli raccolti in uno chignon: “Sono arrivata in Italia per la prima volta alla fine del 2008 - racconta in un italiano stentato - consigliata dall’amica di una mia amica. Lei aveva iniziato a fare la badante a Prato un paio di anni prima. Quando le cose in Bulgaria sono iniziate ad andare davvero male, io e mio marito abbiamo deciso che qualcosa andava fatto. In Italia c’era bisogno di badanti. Potevo contare sulla mia connazionale che mi ha aiutata. Ormai ho preso il via, il lavoro non mi manca. Certo è dura. Adesso però voglio pensare solo alla mia famiglia, alle due figlie, a ritrovarmi coi parenti a Natale”.
Si parte per tornare a casa
Il bus partito da Firenze è pieno per poco più della metà. Ci si sorprende ad essere l’unico uomo e l’unico italiano. Pure gli autisti sono balcanici, serbi e bulgari. Le 22 ore di viaggio spaventano, ma con un prezzo abbordabile, il pullman è molto più conveniente dell’aereo. Un volo può costare, nel migliore dei casi, attorno ai 300 euro, su gomma si risparmia almeno il 60%. Il grosso dei passeggeri sale a Mestre e a Trieste. Mirella, al contrario di Stefka, è molto più giovane, eppure sembra già invecchiata. É salita a Mestre: “Sono fortunata”, racconta dopo aver parlato con la sua datrice di lavoro che la chiama, la segue al telefono preoccupata che tutto stia procedendo bene. “Dopo un paio di anziani difficili”, racconta Mirella, “adesso ho trovato un angelo. Sono una di famiglia, i figli della signora mi hanno riempita di regali. Quasi mi dispiace tornare a casa. Scherzo, sono felice di trovare i miei. Figli? No, neppure marito”. La sosta a Lubjana mette in mostra una città mitteleuropea e accogliente, buona per le vacanze. Al ristorante della stazione clienti benestanti si accalcano per reperire un tavolo, mentre una vecchia clochard dorme distesa lungo il corridoio che conduce ai bagni.
Passata Zagabria, la notte torna a cullare i sonni dei passeggeri. Appena fuori Belgrado altra sosta. Al freddo si è unita una spessa coltre di neve. Il grosso delle passeggere resta accuciato sui sedili, protetto dai piumoni. Meno Stefka, piccola grande donna, disposta a sfidare il freddo con addosso un maglioncino. L’aria sa di fresco, di pulito, solida e trasparente al tempo spesso. L’esatto contrario dell’abitacolo, dove il caldo esalta gli umori del riposo. Da Belgrado, attraverso Nis, la strada cambia, abbandonando le comode autostrade dell’ex Jugoslavia a doppia corsia. In mezzo ai monti che separano Serbia e Bulgaria, il pullman procede piano, l’autista prudente evita i brutti scherzi portati da ghiaccio e curve insidiose. Un’alba luminosa racconta di un paesaggio lunare, ibernato. Poco prima delle 8 ecco la frontiera. I serbi non vedono l’ora di liberarsi del bus dall’Italia, i bulgari si dimostrano tranquilli. Prima delle 10 il mezzo entra a Sofia. Ognuna delle passeggere ha qualcuno ad accoglierla. É il momento dei ricongiungimenti, dopo mesi, a volte anni. Ci scappano lacrime e ampi sorrisi. Stefka, Mirella e le altre prendono la loro strada. “Sono stata 7 anni in Italia, in provincia di Catanzaro, facevo la badante. Qui in Bulgaria era dura. Una conoscente rientrava a Sofia e serviva qualcuna che la sostituisse. Non ci ho pensato su due volte. Ho sofferto, sono stati anni durissimi. Atti di intolleranza, persino violenze. Voi italiani sapete essere persone cattive. Per fortuna ho trovato anche brava gente. Quando sono riuscita a mettere da parte un po’ di soldi sono tornata a casa, l’anno scorso, e ho aperto questa attività”. Difficile decifrare l’età di Dany, una cinquantina o dieci di meno portati male. La incontriamo per puro caso, alla ricerca di un chiosco dove mangiare qualcosa di veloce che non sia un McDonald’s o un caffè alla moda. Lavora a due passi dal Palazzo della Cultura. Panino con la bistecca e caffè nero, 2,50 leva, poco più di 1 euro: "Ora sono tranquilla - prosegue Dany -, con mio marito gestiamo il nostro bar. In Bulgaria le condizioni generali stanno peggiorando”.
Se all’andata il pullman portava una quarantina di donne, tutte bulgare e tutte, più o meno, marchiate col timbro della badante, al ritorno le cose cambiano. A bordo sono in dodici. Due coppie, una giovanissima, uomini soli e poche donne. Una di queste è Costanza. Energica, di bell’aspetto. A Sofia l’abbiamo vista caricare nella pancia del pullman due valige enormi. Alla dogana serba, un funzionario la ferma e le impone di spiegare il motivo di quel carico. Costanza, poco a poco, si sta trasferendo in Italia, a Trieste, dove l’aspetta un compagno italiano che intende sposare. Nei valigioni ha caricato i propri effetti personali, ma anche piatti, utensili, gli oggetti della vecchia vita che potrebbero esserle utili in quella nuova: “I doganieri pensavano che stessi portando prodotti da vendere senza alcuna autorizzazione. Ero una badante. Quest’anno, a marzo, ho incontrato un uomo italiano, ci siamo innamorati e mi ha chiesto di sposarlo e di andare a vivere con lui. Non ci ho pensato su due volte”. E’ l’unica storia che assomiglia al Natale.